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Gianfranco Ravasi “Il nuovo Papa davanti al mondo”

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11 maggio 2025

È spontanea una premessa circostanziale. Nella sequenza dei giorni che sono passati dal nero funebre eppure striato di luce della morte di papa Francesco al bianco candido della veste e dell’ingresso gioioso del nuovo pontefice Leone XIV sulla scena della storia non solo ecclesiale, la filigrana è stata affidata a una dimensione umana fondamentale ritenuta però in crisi, quella simbolica.

Basterebbe solo evocare la tomba spoglia di Francesco a S. Maria Maggiore, ma anche il fascino esercitato dalla maestosa sacralità delle celebrazioni liturgiche con la loro complessa densità di parole, atti e canti. O ancora la fissità quasi mistica di una folla enorme su un modesto comignolo, ma anche la solennità di un rituale com’è stato quello del Conclave. E, infine, l’apparizione finale del nuovo papa su un balcone incastonato nel frontale di un tempio mirabile.

Si è, così, manifestata la potenza dei simboli in un mondo aridamente tecnologico; è ritornato il fascino del sacro in una cultura secolarizzata; si è svelata – a partire dal saluto cristologico di Leone XIV, “La pace sia con voi” – la grandezza del Vangelo e del suo messaggio in una società ritenuta ormai scristianizzata. Non riprendiamo ora gli infiniti profili del nuovo pontefice elaborati in migliaia e migliaia di pagine stampate o televisive o social. Molto liberamente riproponiamo qualche sguardo su quell’orizzonte in cui da adesso papa Prevost sarà coinvolto in prima persona. In esso il suo predecessore aveva già tracciato vari itinerari di evangelizzazione che sono ora da riprendere da parte del successore, come ha testimoniato nel suo discorso di apertura.

Certo, non è un orizzonte facile da attraversare, segnato com’è da guerre insensate che bagnano di sangue tante regioni e avvolto in molti paesi in quella sorta di nebbia che è il fenomeno dell’indifferenza morale e religiosa. L’etica diventa, così, mobile secondo le convenienze e le circostanze e la verità è simile al disegno di una ragnatela che ciascuno produce estraendone il filo da sé stessi e non ricevendolo dall’alto. Eppure è un orizzonte che apre tanti squarci di luce. C’è una sorta di appello che risuona ai nostri giorni in modo forse implicito ma autentico e riguarda le domande basilari di senso sulle realtà ultime della vita, della morte e dell’oltrevita, della persona e della libertà, del male e della sofferenza, dell’amore e della felicità, della giustizia e dell’ingiustizia, della verità e della menzogna, della pace e della violenza, dell’armonia con la terra.

È per questo che molti provano un’attrazione quando sentono risuonare la Parola evangelica che inquieta le coscienze intorpidite, che consola, che libera, che spinge alla speranza e all’impegno fraterno, che fa conoscere la compassione e la tenerezza. Una Parola che non è indifferente al male giudicandolo, eppure punta soprattutto al perdono e alla salvezza di ogni creatura umana, perché – come ammoniva san Paolo – «Dio nostro salvatore vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (1 Timoteo 2,4).

Come ha subito dichiarato papa Leone XIV, la figura di Cristo riesce ancora ad attraversare le vie della modernità. Sono molti i crocevia dove il messaggio cristiano può essere intercettato dai passanti a prima vista distratti. C’è innanzitutto proprio l’ambito della secolarizzazione che ha appiattito le culture, ma non ha potuto cancellare la verità del monito di Pascal secondo cui «l’uomo supera infinitamente l’uomo», impedendogli di eliminare la domanda spirituale e quella sul senso dell’esistenza, né tanto meno ha potuto far tacere totalmente una radicale coscienza etica.

C’è, inoltre, il grande respiro delle culture giovanili con le loro nuove grammatiche espressive e operative che possono sconcertare e che non di rado corrono sul crinale del rischio e della degenerazione, ma che custodiscono terreni fecondi di amicizia, di volontariato, di libertà, di creatività. C’è il mondo della tecnica che pone sul tappeto pesanti questioni di bioetica, ma che al tempo stesso trasfigura la comprensione della realtà e trasforma la qualità della vita. Lo sguardo del papa e della Chiesa, infatti, deve fissarsi con attenzione sulla trama di meraviglie ma anche di rischi connessi alla scienza: dal fondo cosmico primordiale fino all’elica del DNA, dalle neuroscienze alla sorprendente Intelligenza Artificiale che sembra mirare a un nuovo modello antropologico.

Capitale ai nostri giorni è, poi, l’opera che la Chiesa deve offrire al superamento dello scontro delle civiltà per lasciare spazio a un’interculturalità multiforme che si basa sul dialogo e sull’incontro, come ha affermato subito papa Leone XIV. In questa opera, le identità specifiche non devono stingersi o estinguersi in un sincretismo relativistico – come purtroppo sta accadendo a un’Europa “smemorata” e superficiale – ma quelle identità non devono neppure indurirsi in un fondamentalismo aggressivo, esclusivo e repulsivo.

Il nuovo pontefice – anche attraverso le competenze dei vari Dicasteri vaticani – non potrà nemmeno ignorare i grandi intrecci e ribaltoni economici che, purtroppo, in questi ultimi tempi generano squilibri sociali, miseria, disoccupazione e producono scandalosi ed enormi accumuli finanziari, capaci solo di alimentare ingiustizie. Tuttavia l’economia rimane uno strumento necessario per lo sviluppo sociale, per l’esercizio di una politica che sia attenta alla vita della gente e alla promozione del bene comune. Similmente è importante per la Chiesa essere sempre accanto alla famiglia, cuore della società, un cuore non di rado dissanguato o ferito, ma anche pronto a battere con la sua carica d’amore, così da tornare ad essere ancora una sorta di ecclesia domestica, come accadeva alle origini del cristianesimo. E qui entra in scena tutta la complessa questione della natura umana della quale non esiste più nella cultura contemporanea una concezione comune condivisa.

La Chiesa deve, però, vivere al suo interno con intensità l’unità nella pluralità, ancorandosi certo alla coordinata verticale del primato petrino, ma anche a quella orizzontale della “sinodalità”, che comprende la collegialità episcopale, l’impegno del clero e dei religiosi e il coinvolgimento attivo ed esplicito dell’intera comunità ecclesiale, a partire dalla presenza femminile il cui contributo è decisivo e ancora troppo secondario. E, se si vuole allargare il respiro, la comunità cristiana al suo interno deve vivere la dimensione spirituale della preghiera, della liturgia, degli ambiti di presenza anche missionaria nel mondo (come lo è stato il vescovo Prevost in Perù), deve coltivare l’amore per la bellezza e per la casa comune del creato in un mondo spesso segnato dalle ferite della bruttezza, inquinato e devastato.

Queste e altre ancora solo le sfide che già aveva raccolto il suo predecessore Francesco e che ora sono davanti a colui che regge le «somme chiavi» ecclesiali, come diceva Dante (Inferno XIX, 101), a partire da giovedì scorso al termine di un conclave così veloce e corale probabilmente per un ampio di storia.



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