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Matteo Maria Zuppi «Il Conclave, esperienza di comunione»

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Matteo Maria Zuppi 

Avvenire

domenica 11 maggio 2025

In questi giorni drammatici e umanissimi, di tristezza, di assenza, di speranza, di comunione, di gioia, giorni di resurrezione, abbiamo contemplato la bellezza e l’umanità della Chiesa, che contiene il mistero della presenza di Cristo attraverso la sua e nostra santità, ma anche sempre con la nostra umanità piena di miserie e contraddizioni.

Disse, in occasione della sua ultima udienza da successore di Pietro (e si succede sempre nella storia al suo successore perché la Chiesa vive nella storia) papa Benedetto XVI: «Ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto». 

È Gesù, quindi, che la guida e non la «fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte» o le «soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi», perché «la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo», disse papa Francesco che ha sempre messo al centro Cristo e l’annuncio del suo Vangelo, ma non in astratto, nella vita e con la nostra vita. A Pentecoste del 2020 ci aveva ricordato: «Il mondo ci vede di destra e di sinistra, con questa ideologia, con quell’altra; lo Spirito ci vede del Padre e di Gesù. Il mondo vede conservatori e progressisti; lo Spirito vede figli di Dio. Lo Spirito ci ama e conosce il posto di ognuno nel tutto: per Lui non siamo coriandoli portati dal vento, ma tessere insostituibili del suo mosaico». 

Il mosaico è la Familia Dei, affettiva in un mondo di protagonisti egocentrici, una famiglia che vive la gioia in un mondo che illude con il benessere individuale, una famiglia universale in un mondo attratto dalla pericolosa logica della forza, del riarmo, del confronto e non del dialogo, del vivere senza e non insieme agli altri, dove si corrompe con il “prima io” facendo credere che così l’io è protetto, mentre si condanna alla paura e l’io diventa una prigione. L’io senza il noi si perde. Ecco, il noi che abbiamo vissuto in questi giorni nei quali - in modi diversi, vicini o più distanti, consapevoli o meno – abbiamo accompagnato papa Francesco nel suo ultimo tratto del cammino terreno e la Chiesa a designarne il successore. 

La tentazione di letture da “tutto il conclave minuto per minuto”, di leggere le differenze - peraltro evidenti e chiare - come divisioni, contrapposizioni, calcoli, manovre e non ricchezze, addirittura di crearle con fake news a comando o secondo interessi e personalismi, non ha affatto condizionato questa realtà, così spirituale e umana allo stesso tempo. È stata esperienza di comunione, misteriosa e visibile, che mette in relazione gli uni agli altri proprio perché tutti in relazione con Dio. 

Lo abbiamo contemplato, appena la fumata si è rivelata bianca, nella partecipazione di persone di tante provenienze, di tantissimi giovani, di anziani e parlamentari, di professori e studenti che hanno riempito piazza san Pietro, in realtà fino a tutta via della Conciliazione. Lo stesso popolo che ha salutato papa Francesco per l’ultima volta. Guardandolo dall’alto, dai balconi laterali a quello delle benedizioni, tutti i cardinali avevano le lacrime agli occhi, credo anche colui che da cardinale era appena diventato Papa e che avrà pensato come San Giovanni XXIII «La mia persona conta niente, è un fratello che parla a voi, diventato Padre per la volontà di Nostro Signore». «Paternità e fraternità e grazia di Dio, tutto, tutto!». Fratres sumus!”. Sì, fratres sumus! Era una folla che si perdeva a vista d’occhio, quei «tutti, tutti tutti» che le braccia del colonnato come quelle della madre Chiesa vogliono abbracciare, contenere, proteggere dal caos, dall’insignificanza, dalla violenza, dalla guerra, dall’inimicizia, dall’indifferenza così complice. 

Abbiamo sperimentato la stessa unità nella ricerca di colui che deve presiedere nella carità, il servo dei servi, la pietra su cui è fondata la Chiesa. «Pace a voi», ha annunciato papa Leone XIV, ripetendo la parola del Signore risorto. Pace a noi perché questa nostra Madre continua a volere la pace nei cuori e tra le persone, a gridare che la guerra è una sconfitta dell’umanità e a lavorare per combatterla sollecitando con audacia e intelligenza il dialogo come unica via per la composizione dei conflitti. «Una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante», una pace che «inizia nel parlare con tutti e costruire ponti perché Proviene da Dio, Dio che ci ama tutti incondizionatamente». 

La Chiesa non diviene un consultorio, una organizzazione di servizi o una composizione di rivendicazioni, perché è comunione, condivide tutto con il prossimo, particolarmente con i poveri con il di più dell’amore. «L’umanità necessita di Lui come del ponte per essere raggiunta da Dio e dal suo amore», ha detto papa Leone. Non è una logica interna, ma la compassione per tanta enorme sofferenza di un mondo in guerra e ingiusto o davanti a un solo bambino che muore di fame o perché non ha medicine o sotto i bombardamenti. «Aiutateci anche voi, poi gli uni gli altri a costruire ponti, con il dialogo, con l’incontro, unendoci tutti per essere un solo popolo sempre in pace». 

Ecco l’impegno che il mite papa Leone ci ha rivolto. Non facciamo mancare il nostro amore, amiamo e difendiamo sempre l’unità, perché «quello che avranno i singoli sarà comune a tutti, in tal modo ognuno avrà anche ciò che non ha, perché (pur non avendolo egli stesso) lo ama nell'altro (e, amandolo, lo possiede)» e perché «la carità che non cerca il proprio tornaconto va intesa nel senso che antepone le cose comuni alle proprie, non le proprie alle comuni». «Dio ci vuole bene, Dio vi ama tutti, e il male non prevarrà! Siamo tutti nelle mani di Dio. Pertanto, senza paura, uniti mano nella mano con Dio e tra di noi andiamo avanti!». 

Impareremo a conoscere papa Leone, ma già lo amiamo e amando lui aiutiamo le nostre comunità perché siamo case di pace e di amore in mezzo a tanta solitudine, ingiustizia, individualismo. “In Illo Uno Unum” è il suo motto. In lui vediamo il pastore di cui abbiamo bisogno e che ci aiuterà a seguire il Buon Pastore per essere “unum”, fratelli tutti e vivere la comunione anticipo dell’essere per sempre una cosa sola.


Matteo Maria Zuppi è cardinale, arcivescovo di Bologna presidente della Cei


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