Simona Segoloni "Nei nostri amori imperfetti Dio c'è. La lezione di Francesco"
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domenica 4 maggio 2025
La teologa Simona Segoloni Ruta: con Amoris laetitia ci ha regalato la libertà da pretese impossibili e da altezze spirituali che rischiano di farci diventare estraniati dalla realtà.
Comunque sia esso mi stava davanti come qualcosa da imparare, come qualcosa cui adeguarmi, certamente per il mio bene, così mi veniva offerto, per la felice riuscita della mia vita matrimoniale e familiare, ma comunque qualcosa di già definito da fare mio, come quando si impara un gioco o uno sport e si deve giocare, se si vuole giocare, secondo le regole che servono proprio a far riuscire il gioco e quindi a divertirsi.
Leggendo Amoris laetitia invece, ma anche ascoltando alcuni discorsi o interventi di papa Francesco sul tema, mi sono resa conto che fare famiglia, essere coppia, avere figli, sono non qualcosa da apprendere ma un’esperienza da interpretare cristianamente. Non c’è una tipologia cristiana della famiglia che sia a se stante rispetto alle altre. Ogni cultura, lungo il tempo e lo spazio, ha le sue modalità di legare le persone in relazione e di pensare la genitorialità: i modelli culturali sono stati innumerevoli anche dentro l’universo cristiano. Ma se i cristiani fanno famiglia secondo le regole delle culture in cui nascono, il Vangelo permette loro di cogliere in questa esperienza umana, così diffusa, così normale e così diversa per ogni contesto e per ogni persona, qualcosa del Dio di Gesù e questo la trasforma profondamente.
Amarsi, soffrire, perdonarsi, mettere al mondo qualcuno, venire al mondo, imparare la fraternità, desiderarsi sessualmente, invecchiare, scontrarsi, parlare, accompagnarsi nel cammino della vita, affrontare le vicende della vita dentro un’unica strada, sapendo di percorrere un’unica strada anche quando i sentimenti cambiano o l’attrazione finisce o qualche cesura dolorosa minaccia la vita, tutto questo può essere un luogo per conoscere come Dio ama, come si fa presente e per provare a rispondere alla sua presenza amando dell’amore che lui stesso ci riversa nel cuore. Non si tratta tanto di quali comportamenti sessuali si hanno, si tratta di una vita intera, reale, concreta, nella quale si sta confrontando continuamente con il Vangelo ciò che si prova, ciò che accade e ciò che condividiamo.
Quell’amore di Dio che i cristiani conoscono e che vogliono vivere a loro volta diventa il protagonista delle nostre prosaiche e assolutamente ordinarie giornate, case, relazioni. A questo punto non si tratta di confrontare la mia famiglia o quello che io riesco con un ideale, ma invece di cogliere ogni giorno il Dio dei legami, la cui salvezza passa proprio nella tessitura delle relazioni umane ( Evangelii gaudium, 113).
Credo che questa prospettiva sia ciò che più mi ha segnato del magistero di Francesco: il Vangelo interpreta la vita, ci fa vedere l’azione di Dio già presente e ci chiama a conversione su ciò che non è amore per una vita ancora più piena, ma Dio opera e si fa presente qui e ora, così come siamo, lì dove siamo. Le nostre famiglie non sono perfette né lo saranno mai, nessuno di noi sa leggere fino in fondo nemmeno il proprio cuore, nessuno di noi sa fino in fondo se l’amore che prova è solo amore oppure no, ma questo non importa, ciò che importa è mettere realmente la nostra vita, così com’è, a confronto col Vangelo per incarnarlo quanto più riusciamo.
Qualche anno fa il mio figlio più piccolo (aveva meno di dieci anni) mentre mi stavo truccando davanti allo specchio, mi disse che avevo un naso grosso e a poco sarebbe servito truccarmi. Ovviamente gli ho detto che era stato poco gentile. Allora lui mi ha risposto (aveva meno di dieci anni, ripeto) che non dobbiamo essere perfetti e che – ha aggiunto – nemmeno Dio vuole essere perfetto, altrimenti non potrebbe tenerci con sé. Mi è sembrata una grande lezione di vita, ma soprattutto di teologia: solo un Dio che ama e che fa dell’amore il centro di sé può legarsi a esseri imperfetti e fallibili e Dio è proprio così. Non gli interessano i percorsi netti o le performance, gli interessa amarci ed essere amato.
Ritrovo in papa Francesco questa libertà da pretese impossibili e da altezze spirituali che rischiano di farci diventare estraniati dalla realtà. Il matrimonio e la famiglia sono un’esperienza umana che assume diverse forme in base ai coneppure testi: il Vangelo ci può insegnare non solo a moltiplicare l’amore e la vita che essa porta con sé, ma anche a scorgere Dio stesso nel nostro stringerci insieme lungo i sentieri della vita. Data questa premessa, se dovessi indicare dei passaggi in particolare del magistero di papa Francesco tornerei ad Amoris laetitia e in modo particolare al capitolo quarto e al capitolo nono. Nel quarto capitolo infatti il Papa mette l’amore al centro del matrimonio e dell’esperienza familiare, non lo fa però indicando l’amore come qualcosa di astratto o irraggiungibile, ma partendo dalla concretezza del quotidiano.
Per fare questo utilizza l’inno alla carità che troviamo nel tredicesimo capitolo della prima lettera ai Corinzi. Paolo lo aveva scritto per indicare ad una comunità piena di vivacità e carismi, a volte persino problematici, ciò che è capace di tenere insieme tutto e tutti, ciò che ci rende dono per gli altri, cioè qualcosa di rivolto verso di loro perché possano vivere e che, allo stesso tempo e in modo non secondario, rende gli altri dono per noi, perché nessuno di noi può vivere senza ricevere cura e amore e nessuno di noi può amare solo gli altri senza amare se stesso, come a nessuno a chiesto di distruggere per stesso per altri. Nel dare la propria vita fino alla morte di croce infatti, Gesù non cerca la propria distruzione, ma la propria vita insieme a quella degli altri, attraversa la morte solo quando non può evitarla e sono gli uomini ad ucciderlo non l’amore, perché l’amore fa sempre vivere. Giovanni, nella prima conclusione del suo Vangelo alla fine del capitolo venti, ci ricorda che ciò che è stato scritto perché crediamo e credendo abbiamo la vita. Papa Francesco per interpretare la vita delle famiglie sceglie dunque l’amore descritto da Paolo, il modo di relazionarsi che Paolo riferiva ai credenti fra di loro perché potessero nutrirsi a vicenda e insieme essere un corpo solo capace di rendere presente Cristo.
Per ogni espressione scritta da Paolo nell’inno alla carità il Papa fa una traduzione concreta nei vissuti familiari tanto che dubito fortemente che qualcuno non riesca a ritrovare i propri sentimenti o le vicende delle proprie giornate dentro queste straordinarie pagine. È un magistero in cui vita e Vangelo si intrecciano al punto che non si può comprendere l’una senza l’altro e viceversa, proprio come accade nella vita cristiana, perché questa si dà quando ciò che concretamente accade si intreccia e si comprende solo con il Vangelo, al punto che guardare questa vita ci racconta il Vangelo di Gesù anche se dentro un’altra storia, quella di un discepolo o di una discepola che danno nuovamente carne dentro la storia alla Parola di Dio. E quando la Parola si incarna noi vediamo l’amore concretizzarsi nell’ordinaria umanità che viviamo e siamo. Un amore alla portata di tutti sempre capace di crescere e approfondirsi, per diventare pieno solo nel Regno di Dio. La buona notizia è che il Regno di Dio, pur ancora atteso, è già in mezzo a noi, in casa nostra, in mezzo ai nostri amori imperfetti, a volte indicibili, e in mezzo alle nostre gioie e fatiche: è in mezzo a noi e cresce.
L’altro capitolo di Amoris laetitia che vorrei richiamare è il nono, nel quale vengono date alcune indicazioni di spiritualità familiare. Questa, ancora una volta, non è un elevato standard da raggiungere, come se la vita nello Spirito avesse a che fare con la qualità delle prestazioni. « La presenza del Signore abita nella famiglia reale e concreta, con tutte le sue sofferenze, lotte, gioie e i suoi propositi quotidiani. Quando si vive in famiglia, lì è difficile fingere e mentire, non possiamo mostrare una maschera. Se l’amore anima questa autenticità, il Signore vi regna con la sua gioia e la sua pace. La spiritualità dell’amore familiare è fatta di migliaia di gesti reali e concreti. In questa varietà di doni e di incontri che fanno maturare la comunione, Dio ha la propria dimora» (AL 315). Mistica, santificazione e amore prosaico della quotidianità sono la stessa cosa: chi vuole contemplare Dio deve semplicemente aprire gli occhi sulle proprie relazioni familiari e sarà un contemplativo e un mistico di prima qualità, condotto ogni giorno alla pienezza della santità. Inoltre proprio perché l’intreccio delle relazioni, sotto la luce del Vangelo, diventa un luogo in cui Dio si fa presente, lo stile della famiglia diventa quello della cura: ciascuna persona (senza eccezioni) è chiamata alla cura degli altri e quindi ciascuna (senza eccezioni) deve essere oggetto di cura.
Nessuno può essere solo persona che offre cura, perché tutti siamo fragili e abbiamo bisogno di essere curati: la famiglia può essere il luogo in cui ciascuno trova la propria fioritura grazie alla cura degli altri. E quando ci si accorge di questo si sa che cos’è l’amore e conoscendo l’amore si conosce Dio. «Tutta la vita della famiglia è un “pascolo” misericordioso. Ognuno, con cura, dipinge e scrive nella vita dell’altro: “La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori [...] non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente” (2 Cor 3,2-3). Ognuno è un “pescatore di uomini” (Lc 5,10) che nel nome di Gesù getta le reti (cfr Lc 5,5) verso gli altri, o un contadino che lavora in quella terra fresca che sono i suoi cari, stimolando il meglio di loro. La fecondità matrimoniale comporta la promozione, perché “amare una persona è attendere da essa qualcosa di indefinibile, di imprevedibile; è al tempo stesso offrirle in qualche modo il mezzo per rispondere a questa attesa”. Questo è un culto a Dio, perché è Lui che ha seminato molte cose buone negli altri nella speranza che le facciamo crescere» (AL 322). Amen.
Chi è Simona Segoloni Ruta
Sposata, tre figli e una figlia, è docente presso il Pontificio Istituto teologico “Giovanni Paolo II” per le scienze del matrimonio e della famiglia.
Le sue principali aree di ricerca sono l’ecclesiologia (con particolare attenzione alla sinodalità, alla questione femminile e alla famiglia), la mariologia, la trinitaria, il metodo teologico, la teologia di genere.
Tra i suoi libri: Madri, Messaggero (in uscita), Carne di donna, ITL, 2021; Gesù maschile singolare, EDB, 2020; L’amore viscerale. Maria nel grembo di Dio, EDB, Bologna 2017; Tutta colpa del Vangelo. Se i cristiani si scoprono femministi, Cittadella Editrice, 2015.