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Paolo Crepet "Cecchettin, giusto andare da Fazio?"

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Non ha lasciato indifferenti la partecipazione di Gino Cecchettin, il papà di Giulia – uccisa lo scorso 11 novembre dall’ex fidanzato Filippo Turetta – a “Che Tempo Che Fa”, la trasmissione condotta domenica sera da Fabio Fazio sul Nove. Composto e dignitoso, ha catalizzato l’attenzione degli spettatori, ma ha anche diviso l’opinione pubblica sull’opportunità della sua decisione. C’è chi ha parlato di “tritacarne mediatico”, chi di “parabola sconcertante”, chi ancora di “colpe” a carico del papà di Giulia.


Congetture e teorie, alcune anche complottiste, si sono accavallate nel corso delle ultime ore, ma una cosa è certa: Gino Cecchettin, e il suo messaggio, “Voglio amare, non odiare”, hanno trafitto il piccolo schermo. Per riflettere sul significato e sulle implicazioni della partecipazione di Gino Cecchettin a “Che Tempo Che Fa” Affaritaliani.it ha interpellato Paolo Crepet, psichiatra, sociologo e saggista.

La scelta del papà di Giulia di partecipare a una trasmissione televisiva come può essere letta?

Potrebbe essere un modo per non affrontare il proprio dolore. Se fosse così, però - e sarebbe comprensibile - questa necessità di andare a cercare, spiegare ciò che lui stesso ha imparato da questa enorme disgrazia dovrebbe anche fare i conti con il fatto che finita la trasmissione lui torna a casa ed è solo. Insomma, se fosse così dovrebbe al più presto trovare altri strumenti per comunicare questa sua, per esempio, intenzione abbastanza esplicita di fare una fondazione.

Una fondazione che ha definito “contro il patriarcato”...

Non si tratta di cose così facilmente ottenibili. È molto complicato tenere viva l’attenzione per una persona che non fa questo di lavoro.

Ma andando in tv, di fatto, si è avvicinato molto a “quel” lavoro? A quel mondo da cui aveva dichiarato di voler “prendere le distanze”?

Io penso che tutti quelli che stanno lì a prendere appunti se abbia fatto bene o male, se doveva chiudersi nel silenzio e sparire dai radar, oppure no… insomma, tutta questa querelle mi sembra di pessimo gusto. Io rispetto profondamente quest’uomo, qualsiasi cosa faccia o decida di fare.

Non vede nessuna controindicazione nelle ultime mosse pubbliche della famiglia Cecchettin?

L’unico e principale rischio cui va incontro Gino Cecchettin, ma anche sua figlia Elena, è quello di rimanere solo. Questo è il grande problema, e chi non si occupa di questo è una persona abietta. Entrambi dovranno fare i conti con un’immensa solitudine, ancora più roboante perché c’è stata una vera e propria parata mediatica. Io spero che non ci sia davvero qualcuno che pensa possa essere colpa di quest’uomo.

C’è chi ha messo in discussione anche la volontà della famiglia di Giulia di organizzare un funerale così aperto e pubblico…

La piazza piena dei funerali è stata voluta soprattutto dai ragazzi e dalle ragazze. Una piazza bella. C’è davvero qualcuno che si domanda cosa avrebbe dovuto essere, per esempio un funerale privato dentro una chiesina della campagna veneta? Evidentemente non sanno cosa vuol dire perdere una figlia in quel modo. Quello è stato l’unico modo per sopravvivere, e dare un senso a quella cosa.

Cosa ne pensa del messaggio “Voglio amare come Giulia, non odiare”? Una dichiarazione forte, visto che ha dichiarato difficile il perdono per Turetta

Odiare è una cosa, perdonare è un’altra. Il perdono è personale e intimo, e tale deve rimanere. Se uno in cuor suo perdona buon per lui, ma lo stesso anche per chi non riesce a farlo… . L’odio è un’altra cosa, e che quest’uomo dica “Io non odio” è un principio civile quasi ovvio, dato quello che è successo. Non dire questo significherebbe mettersi dalla parte degli odiatori, ossia quelli che hanno ucciso sua figlia.

Si dovrebbe indagare di più all’interno della famiglia Cecchettin? Alcuni ci hanno provato ma...

Tutto ciò che riguarda i rapporti all’interno della famiglia di Giulia non dovrebbe interessare noi persone estranee, neppure astrattamente persone che svolgono una certa professione. Se il padre Gino e la sorella Elena, sopravvissuti a questa doppia tragedia, volessero – loro stessi – capire, indagare su cosa avrebbero potuto o dovuto fare… lo decideranno loro. Non deve rientrare nel nostro voyeurismo.

Noi chi siamo per sapere se vogliono capire che ruolo avrebbero potuto avere? Gino Cecchettin, del resto, si è già posto questa domanda, e chiunque si farebbe una domanda del genere. Ma non sono nessuno per volerlo e poterlo sapere, ci mancherebbe altro che questo venisse dato in pasto ai media e ai social.

Un commento su come è stata gestita l’intervista al padre di Giulia

Non è stata una vera intervista, e ho apprezzato questa scelta editoriale. Non si tratta di un’ospitata sfuggita di mano, ma – al contrario – di una gestione oculata della partecipazione di Gino Cecchettin. Un modo di dare, “regalare” al padre di Giulia uno spazio di comunicazione. E il fatto che “Che Tempo Che Fa” abbia fatto bene in termini di ascolti nella fascia relativa dimostra, a fronte di una tragedia immane come questa, che c’è ancora molto interesse reale per la vicenda.


 

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