Siamo in un tempo di incertezza, non serve ricordarlo. Nell’ovvio, però, non tutto va da sé. Tra ciò che non possiamo dare per scontato c’è la nostra postura nel flusso degli eventi. Seppure muta, essa non smette di dare voce all’esperienza. Seppure non vista, essa continua a dare forma alla storia. Seppure ignorata, essa insiste a generare saperi. Accade perciò che le parole e le pratiche si vanno trasformando in modo non sempre trasparente e condiviso: non sappiamo bene da dove vengano né tantomeno che effetto ci stiano facendo. Uno dei punti d’osservazione di queste trasformazioni ruota attorno alla vita dei corpi e alle sue narrazioni. Le forme in cui sono regolate le distanze tra i corpi, infatti, producono sempre teorie, immaginari, discorsi e abitudini. Il Covid-19 ha toccato queste distanze, accorciate a volte fin troppo nelle case e dilatate al massimo nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nei negozi, nelle piazze.