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Enzo Bianchi “L’eredità più importante di Francesco”

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giugno 2025 
L’eredità più importante di Francesco
per gentile concessione dell'autore


Quel 13 marzo 2013, dopo la fumata bianca, il cuore di molti di noi era in grande apprensione: le previsioni della vigilia sulla scelta del Papa fatta dai cardinali in conclave si orientavano su un'ipotesi di Chiesa non certo ispirata al concilio Vaticano II, ispirazione che era stata seguita invece, anche se in un'interpretazione a volte restrittiva, da Benedetto XVI.

Ma quando sulla loggia della basilica di San Pietro apparve Francesco, vestito solo della talare bianca senza alcun ornamento, con un sorriso appena trattenuto, e dopo aver detto di essere stato scelto come vescovo di Roma, chiese al popolo di Dio la benedizione su di lui, anziché darla subito nella sua maestà, abbiamo capito che il Signore ci donava un pastore, un padre che ama le sue pecore e i suoi agnelli. 

Veniva quasi dalla fine del mondo, inatteso, e si presentava in modo inedito, augurando a tutti "buonasera". Io sapevo che il cardinal Bergoglio aveva origini italiane, figlio di una famiglia astigiana di un paese vicino al mio in Monferrato, e provai una naturale empatia per lui, il suo modo di muoversi, di parlare. E poi il nome che aveva scelto, "Francesco" non lasciava dubbi: nessun Papa prima di lui aveva preso quel nome che significava riforma della Chiesa sotto l'egemonia assoluta del Vangelo, amore della povertà e dei poveri, scelta di una via che conteneva anche umiliazioni. 

Mi ricordai di come Hannah Arendt aveva definito Giovanni XXIII: «Un cristiano sul trono di Pietro». Sì, anche di papa Bergoglio, sin dai primi gesti, si poteva dire che era diventato Papa un cristiano, non nel senso di battezzato, ma nel senso di discepolo che cerca di essere conforme al suo Cristo e Signore. E, certamente, durante tutto il ministero petrino di Francesco, saranno i gesti molto semplici, ma compiuti con creatività personale, a manifestare la sua grandezza evangelica e spirituale. Non sarà facile dimenticarli: da poco eletto, getta nelle acque di Lampedusa una corona di fiori per onorare i migranti morti nel Mediterraneo; poi insieme al Patriarca ecumenico Bartholomeos visita i migranti dell'isola di Lesbo e ne porta un gruppo con sé a Roma; sosta a lungo in silenzio dinanzi al muro che divide Gerusalemme in due; e durante la pandemia va in piazza San Pietro, da solo, per un'intercessione silenziosa davanti al Crocifisso. 

E poi i gesti quotidiani, innumerevoli, dalla lavanda dei piedi a poveri, donne, malati, non cristiani, carcerati, peccatori... a quegli incontri con coloro che sono giudicati indegni di appartenere alla Chiesa di Cristo dai cosiddetti "giusti". 

Ma Francesco ha dato alla Chiesa anche testi importanti, dopo i quali la Chiesa non potrà più camminare come prima: la Laudato si, che delinea il rapporto del cristiano con il pianeta e l'umanità, e la Fratelli tutti, che indica come orizzonte la fraternità universale, oltre i confini della Chiesa. Il Papa, inoltre, ci ha donato omelie che sono nutrite dalla fonte della parola di Dio. E ha avuto il coraggio dell'ammonizione profetica fino all'accusa dei mali presenti nelle istituzioni ecclesiastiche, mettendo in guardia dal clericalismo. 

A volte le affermazioni di Francesco stupivano e accecavano per la luce che contenevano. A proposito degli omosessuali ha detto: «Chi sono io per giudicare?»; oppure: «Anche nel peccatore più grande può abitare e agire la grazia di Dio!». Non erano boutades, anche se necessitavano di spiegazioni ulteriori: tuttavia erano un invito alla misericordia di Dio, che vince sulla sua giustizia come già avevano rivelato i profeti; misericordia di cui la Chiesa dev'essere ministra sempre, senza porre condizioni. Papa Francesco possedeva una profonda teologia della misericordia e del perdono. E per questo non solo volle l'anno della misericordia, ma più volte chiese una misericordia da attuare nella vita delle diverse Chiese. 

Non è difficile ammettere, tuttavia, che Francesco aveva un carattere non facile e spigoloso, e che era restato anche da Papa un uomo passionale e dunque soggetto a collere che gli suggerivano giudizi molto duri, come quando disse che Donald Trump non era molto cristiano o definì un "aguzzino" un ex ministro italiano per il suo comportamento verso i migranti. 

Sì, Francesco amava la verità a costo di essere rifiutato per le sue posizioni; anche se, fedele alla tradizione ignaziana, Francesco ha sempre ritenuto che ogni comportamento debba essere valutato nel suo contesto, nella singolarità delle persone implicate, perché se i princìpi sono importanti, occorre sempre chiedersi se la situazione concreta non richieda un'interpretazione nello spazio dell'oikonomía, in modo che la persona non sia mai schiacciata dal peso della legge. Occorre guardare al bonum animorum e aiutare ogni persona a non sentirsi condannata ma perdonata dal Signore, che anticipa la grazia al peccato. 

E Francesco sarà ricordato proprio per questo esodo, questa uscita che lui voleva come cammino della Chiesa nella storia. Andare verso le periferie significava per il Papa aprire nuovi cammini, incontrare la diversità, vedere in modo differente e, dunque, modificare lo sguardo su sé stessi, sulla Chiesa e sull'umanità. Per lui era obbedienza ai segni dei tempi e dei luoghi questo non temere la novità, il disordine a volte necessario per costruire una comunione plurale e di diversi, proprio come vuole lo Spirito santo che nei testi di Basilio, spesso citati da Francesco, è presentato come «l'armonia della Chiesa e delle Chiese». 

Ma il processo più decisivo che Francesco ha iniziato, e non ha potuto concludere, è quello della sinodalità. Questa resta, senza dubbio, la novità e l'eredità più importante di Bergoglio. Avendo la certezza che il sensus fidei non è solo prerogativa del magistero papale ma abita il popolo di Dio, che è "infallibile in credendo" (Evangelii gaudium 119), poco per volta egli ha compreso la sinodalità in modo inedito per la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse. Se all'inizio diceva che dobbiamo imparare la sinodalità dagli ortodossi, che hanno un Sinodo di vescovi che attornia il Primate-Patriarca, il Papa è poi giunto a formulare la sinodalità come un processo che deve coinvolgere il popolo di Dio: synodos, un camminare insieme di tutti, perché «ciò che riguarda tutti da tutti dev'essere trattato e deliberato!». E così ecco il Sinodo che interroga vescovi e popolo di Dio sulla sinodalità, in un percorso che si snoda su tre anni, con un'attenzione all'ascolto e al confronto in ogni comunità, in ogni Chiesa locale, in ogni Chiesa singola e nella Chiesa universale. 

Quanto all'ultimo Sinodo a Roma, Francesco volle che si svolgesse in due tappe, due sessioni, perché ci fosse più tempo di approfondimento e di maturazione. E così il Sinodo termina e inizia la fase di attuazione o di ricezione nelle Chiese locali, ma questo poteva risolversi in un augurio ed essere lasciato cadere dal Papa che veniva dopo. E così, il 14 marzo 2025, mentre era in ospedale, Francesco legiferò che il Sinodo avesse una fase di ricezione e di attuazione che si dovrebbe concludere nell'autunno del 2028, con un'assemblea mondiale della Chiesa cattolica chiamata a elaborare delle Proposizioni che poi diventino leggi, cioè diritto canonico, e non solo parole di auspicio! Straordinario gesto di un Papa morente! 

La sinodalità è ormai inscritta nella vita della Chiesa e anche papa Leone XIV dovrà tenerne conto e attuarla. Anche se, nell'omelia esequiale di Francesco si sono ricordati tutti i gesti eloquenti, profetici e di carità che il Papa ha fatto, ma non è stata ricordata né la sinodalità, né l'attenzione alla situazione delle donne nella Chiesa. Ma la sinodalità chiederà che queste realtà emerse dai lavori sinodali non siano dimenticate, ma siano tenute vive nel confronto ecclesiale. 

Papa Francesco contraddittorio? Papa Francesco profeta a metà? Papa Francesco incompiuto? Sì, queste definizioni di papa Francesco colgono dei limiti anche nel pontificato che noi abbiamo come una grazia. 

Avremo ancora molte occasioni per tornare a ringraziare Dio per il Papa che ci ha dato come "cristiano sul trono di Pietro".





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