Vito Mancuso “Abbiamo bisogno di un Papa profeta per tornare a guardare l'infinito”
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Il pontificato di Francesco ha messo in evidenza la necessità di un riferimento spirituale. Per il bene del mondo e della Chiesa il suo successore non deve disperdere questa eredità.
Di quale Papa abbiamo bisogno? Si tratta di una domanda che interessa tutti, non solo i credenti ma anche i non credenti, non solo noi italiani che abbiamo il Vaticano in casa ma anche il resto del mondo. Se c'è un dato infatti che i dodici anni di pontificato di papa Francesco hanno messo in evidenza sulla condizione del mondo, questo è il bisogno urgente di un punto di riferimento spirituale. La grande attenzione, anzi affetto, che il mondo ha riservato a Francesco dimostra il bisogno di qualcuno che parli con parole e con gesti che hanno un sapore diverso dalla politica, dal diritto, dall'economia. Un bisogno tanto più impellente, quanto più il mondo contemporaneo è sempre più schiacciato su una sola dimensione: quella orizzontale.L'aveva già intuito Marcuse: L'uomo a una dimensione. Sottotitolo: L'ideologia della società
industriale avanzata. Era il 1964, e da allora la sistematica azione di appiattimento dell'umanità è
proseguita senza sosta, metodica, pervicace. Il risultato è l'attuale spaesamento delle coscienze. La
coscienza infatti, per non risultare spaesata e acquisire un orientamento, ha bisogno di salire al di
sopra dell'orizzonte immediato acquisendo visione, panorami, quella possibilità di intravedere
l'infinito descritta da Leopardi nell'omonima indimenticabile poesia. Oggi però gli uomini hanno lo
sguardo incollato alla siepe «che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude» e non
siedono e non mirano «interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima
quiete». La siepe è diventata impenetrabile, e non perché sia cresciuta in altezza, ma perché ha
cambiato natura e ora non si chiama più siepe ma schermo, e al di là di questo schermo l'occhio
umano non sa andare perché viene catturato irresistibilmente dalle sue malie. Così gli «interminati
spazi» sono terminati, il continuo rumore ha soffocato il silenzio, e invece della profondissima
quiete imperversa nelle menti una diffusissima ansia e nei cuori una nera paura.
Il Papa di cui abbiamo bisogno, noi abitanti di questo mondo orizzontale, è uno che ci faccia alzare
lo sguardo al di là della siepe e dello schermo. Abbiamo bisogno di tornare a credere che noi umani
non siamo solo a una dimensione. La dimensione orizzontale di economia, politica, storia, diritto, è
costitutiva di noi, ma non esaustiva. Oltre alle ragioni dell'economia ci sono in noi i sentimenti che
non si possono comprare, oltre all'interesse personale c'è l'inter-essere che ci lega agli altri e ci porta
a curarci di loro (vedi i neuroni-specchio), oltre alla fredda considerazione della realtà c'è il bisogno
di speranza e di utopia. Se così non fosse, la nostra storia sarebbe completamente diversa: senza
arte, né musica, né filosofia, né poesia, né spiritualità. Queste però ci accompagnano da sempre e ci
scaldano il cuore, consentendoci di resistere all'appiattimento dominante e talora facendoci superare
la logica dell'uomo a una dimensione «do ut des» («ti do perché tu dia») per inaugurare quest'altra:
«Do ut sis», «Ti do perché tu sia». Questa è l'etica, questa è la spiritualità. Esse possono essere
religiose o non religiose, ma sono comunque accomunate dalla ricerca del bene e della giustizia.
Papa Francesco ha rappresentato per molti in questi dodici anni la possibilità di intravedere una
dimensione di questo tipo, di comprendere che i valori di sempre non sono illusioni ma il modo più
vero e più bello di vivere. E io penso che di questo gli uomini abbiano bisogno, soprattutto oggi
quando la politica un po' ovunque nel mondo ignora l'etica e la logica del bene comune per essere
solo spietata imposizione del più forte. Se il prossimo Papa ignorerà questa tensione profetica
preoccupandosi unicamente del governo ecclesiastico, il mondo perderà un punto di riferimento
importante, per non dire essenziale, vista la scarsità di riferimenti valoriali di livello internazionale.
Anche la Chiesa però perderà una chance fondamentale, probabilmente l'ultima, per tornare a essere
significativa per le coscienze contemporanee.
È sotto gli occhi di tutti, infatti, l'inarrestabile declino che in Occidente sta registrando il
cristianesimo nel processo di appiattimento a una dimensione che il nostro mondo privo di
«infinito» leopardiano sta sperimentando. Ci ritroviamo al cospetto di una situazione di povertà
antropologica, di mancanza di valori e di speranze, sia nel mondo laico che celebra solo l'economia
e il successo, sia nel mondo religioso così preoccupato del proprio declino da non essere più in
grado di proporsi come punto di riferimento. La peculiarità di papa Francesco è stata quella di
proporsi come riferimento al mondo senza preoccuparsi delle posizioni di guadagno della Chiesa
cattolica. La sua azione è stata gratuita, quindi profetica. Il prossimo Papa non deve disperdere
questa sua eredità, perché ne va del bene del mondo e della Chiesa.
Ora la questione naturalmente è se tra gli oltre centotrenta cardinali che si chiuderanno nella Sistina
esista una figura spirituale capace di interpretare questo ruolo. Io sono sicuro che esiste, ma
naturalmente si tratterà di capire se i voti confluiranno su questa persona oppure no. Tutto dipenderà
dai cardinali, se saranno capaci di seguire l'ispirazione dello Spirito Santo, la quale non va intesa
come qualcosa di magico, ma come l'impulso a seguire sempre e comunque la retta coscienza al
servizio del bene comune, e non l'interesse personale o della propria fazione.
Concludo specificando che per la Chiesa essere al servizio del mondo non significa necessariamente
dare al mondo ciò che richiede, per esempio il sacerdozio femminile o il matrimonio omosessuale o
altre richieste di questo tipo; significa piuttosto riuscire a fargli portare lo sguardo al di là di quella
siepe e così intravedere gli immensi silenzi e tornare a sentire il profumo dell'infinito. Tutto ciò
magari non avrà una traduzione immediatamente religiosa, ma sarà tale da far elevare l'anima di
molti verso la trascendenza, testimoniata nel Novecento da filosofi come Wittgenstein, Weil,
Jaspers, Arendt, Jonas, e tra gli italiani Martinetti, Caracciolo, Prini. Norberto Bobbio diede
l'incarico a questo giornale di pubblicare all'indomani della sua morte una sua lettera con le ultime
volontà, nella quale egli si congedò dal mondo con queste parole: «Non mi considero né ateo né
agnostico, come uomo di ragione, non di fede, so di essere immerso nel mistero». Si può chiamare
mistero, infinito, trascendenza, Dio, o con altri nomi ancora, ma è solo questa dimensione verticale
che può curare veramente il nostro mondo a una sola dimensione. Il Papa di cui abbiamo bisogno è
anzitutto uno che la sappia testimoniare.
Vito Mancuso, La Stampa 4 maggio 2025