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Teresa Forcades «Un’elezione di soli uomini è il segno del sessismo strutturale della Chiesa»

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Conclave «La Chiesa dice che non ha la potestà per cambiare lo stato delle cose ma la Commissione di Paolo VI e anche il Catechismo dicono altro. Servirebbe più coraggio», intervista alla teologa femminista, medico e monaca benedettina.

intervista a Teresa Forcades a cura di Paolo Rodari


133 uomini sono chiamati a eleggere il successore di Pietro, nessuna donna è ammessa all’elezione. Cosa pensa? 

«È il segno del sessismo strutturale della Chiesa, è una discriminazione. Non c’è una giustificazione teologica. Già Paolo VI, nel 1976, incaricò la Commissione teologica di studiare il ruolo della donna nelle Scritture e in particolare la questione dell’ordinazione sacerdotale femminile. E il parere finale della Commissione non fu negativo. Nel Catechismo, fra l’altro, nel numero 1256 si dice che qualsiasi persona, anche donna, può battezzare un bambino o un adulto in caso di emergenza e questo battesimo è a tutti gli effetti valido. Nel conclave non ci sono donne perché ci sono solo preti ordinati. La Chiesa dice che non ha la potestà per cambiare lo stato delle cose ma la Commissione di Paolo VI e anche il Catechismo dicono altro. Credo quindi che servirebbe più coraggio». 

Teologa femminista, medico e monaca benedettina che per due anni ha lasciato la clausura per impegnarsi in politica lottando in favore dell’indipendenza della Catalogna, Teresa Forcades esce in Italia con una nuova edizione di Siamo tutti diversi! (Castelvecchi). Fra le teologhe più lette al mondo, è impegnata contro la lobby delle industrie farmaceutiche, per i diritti gender e del mondo Lgbt. 

Forcades, perché diversi uomini di Chiesa parlano della necessità di valorizzare le donne, ma poi concretamente la Chiesa rimane almeno nelle sue gerarchie maschile? 

Il fatto che le gerarchie dicano che non possono cambiare le cose, che non è in loro potere, suona come una scusa. Io sono una monaca benedettina. La mia regola parla di abate e di abbadessa, entrambi come persone che nella propria comunità agiscono in persona Christi. E ancora: nel 1970 Ludmila Javorová, una donna, venne ordinata prete in segreto da un vescovo della Chiesa clandestina cecoslovacca. L’ordinazione fu un privilegio concesso da Roma a una chiesa perseguitata dal comunismo. È un altro esempio che dice che qualcosa può cambiare perché eccezioni ce ne sono state. Così anche nelle chiese anglicane dove le donne ordinate vengono mandate in parrocchie di periferia con uno stipendio più basso dei preti uomini, ma comunque vengono ordinate. Per sessismo – le cose vanno chiamate con il loro nome – i preti devono gestire nella Chiesa cattolica anche dieci parrocchie assieme mentre le donne si lasciano che diventino teologhe e scrivano libri. È una bella cosa ma non è il massimo. 

Se dovesse votare per il nuovo Papa, chi sceglierebbe? 

Ho una triade: il portoghese José Tolentino de Mendonça che anni fa fece una prefazione a un mio libro tradotto in portoghese. Ha un profilo di poeta e per questo è molto interessante. Non ha paura di incarnare la teologia nella cultura post moderna. E mi piace il suo motto episcopale: “Come i lilli dei campi”. Poi dico il cardinale inglese Timothy Radcliffe. Ha un grande senso dell’umorismo, non ha un motto episcopale perché non è vescovo. È un cardinale prete di grande umanità. Infine, il teologo amico di Francesco, il cardinale Victor Manuel Fernández, che ha un motto episcopale importante: “In mezzo al tuo popolo”. Il motto episcopale è qualcosa di intimo per ognuno, dice di una direzione da prendere. 

Almeno in Europa il cristianesimo è in grande crisi. Le chiese sono sempre più vuote. Non pensa che il modello teistico del cristianesimo – un Dio che vive nell’alto dei cieli e che da lì veglia sul suo gregge – non sia oggi più credibile? Quale cambiamento è necessario al cristianesimo per non morire? 

Deve diventare un cristianesimo kolpotico e non soltanto spermatico. Nel secondo secolo Giustino Martire sviluppa la dottrina del Logos spermatikos (ragione-verbo): esso è come “disseminato” in tutti gli uomini, cui permette di conoscere la verità. Significa che tutto il mondo è disseminato di questa presenza di Dio. Ma Dio non è solo colui che feconda il mondo, ma anche colui che riceve dal mondo, ha una sua recettività. Quindi non è solo il Dio onnipotente che governa ma anche il Dio inerme che riceve. Bisogna sviluppare oggi la dottrina del Logos kolpotikos. La parola kolpos significa vagina e viene applicata a Dio Padre e anche a Gesù nel Vangelo di Giovanni. Come la vagina della donna che si adatta a ricevere, sa ricevere, così è Dio: penetrabile per amore. 

Si dice che Francesco non abbia cambiato la dottrina. Però abbiamo visto un enorme cambio di stile: nella sua Chiesa, ad esempio, tutti dovevano sentirsi a casa senza che venisse chiesta una carta d’identità, una patente, a nessuno. Al suo funerale c’erano diverse persone transgender… Cosa pensa? 

Ricordo il documento Evangelii Gaudium (2013) che parla del godere: una sfida a tutti coloro che pensano che più si è seri più si è religiosi. Non è così. E poi Querida Amazonia del 2020, una formulazione contro il capitalismo nel senso più chiaro e devastante. Le parrocchie devono diventare ospedale da campo, aperte a tutti. Ad esempio, Francesco ha aiutato economicamente delle persone trans che lavorano come prostitute sul litorale romano. È stata di fatto una denuncia al legalismo in favore dell’amore che supera sempre la legge. 

Perché la morale sessuale della Chiesa è ancora molto chiusa? Perché il catechismo ancora condanna, di fatto, l’omosessualità? 

C’è un disequilibrio fra diverse parole che anche i Papi hanno dedicato alle persone omosessuali, dicendo che Dio non le giudica e che sono amate per come sono e il Catechismo che invece parla di orientamento intrinsecamente disordinato e condanna gli atti sessuali fra omosessuali. In questo senso c’è una incoerenza che ancora si deve correggere. 

Lei ha parlato di una “teologia queer”. Cosa significa? 

È una riflessione teologica che è arrivata prima della cosiddetta Teoria queer, sviluppatasi a partire dal 1990 come teoria critica sul sesso e sul genere. Cerca di indagare e di esplorare la sessualità umana e le identità di genere e il loro rapporto con Dio. Quando Dio ci guarda, non vede delle differenze di nazionalità o di orientamento sessuale, ma vede un pezzo unico. Questo è quello che mi interessa da un punto di vista teologico. Dio vede in noi un pezzo unico della persona cioè un’immagine di Dio che può nello spazio e nel tempo far uscire qualcosa di unico. In questo senso io uso il termine teologia queer.


Fonte: Il Manifesto


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