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Vito Mancuso “Leone XIV, un agostiniano dopo un gesuita. La continuità nella discontinuità”

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Prevost raccoglie l’eredità spirituale di Francesco ma sarà meno protagonista del suo predecessore. Con la sua predicazione, il nuovo Papa contribuirà alla pace di cui il mondo ha bisogno: quella del cuore.

Di cosa ha veramente bisogno la Chiesa oggi? E di cosa il mondo? Sono queste le domande che mi pongo per valutare l’elezione del nuovo PapaLa risposta a entrambe le domande non è difficile. La Chiesa ha bisogno di continuità e insieme di discontinuità rispetto al papato di Francesco, e presto spiegherò in che senso; e quanto al mondo, lo vediamo tutti di cosa ha bisogno, anzi, prima ancora, lo sentiamo, nel nostro cuore inquieto, che esso ha bisogno di pace.

La Chiesa, ho detto, ha bisogno di continuità e insieme di discontinuità rispetto a papa Francesco e io credo che Robert Francis Prevost ha scelto di chiamarsi non Giovanni, né Paolo, né Benedetto, né Francesco, né un’unione tra questi nomi, ma Leone, a voler segnalare un nuovo inizio. Egli quindi può essere davvero la persona giusta per dare alla Chiesa continuità e discontinuità al contempo. Continuità, perché egli è stato umanamente e spiritualmente vicino a Papa Francesco, di cui, in quanto Prefetto del Dicastero per i vescovi, era uno dei principali collaboratoriDiscontinuità, perché il suo carattere riservato (e sembra anche un po’ timido da quegli occhi lucidi e da quell’imbarazzo mostrato dalla loggia della basilica ieri sera) lo renderà sicuramente assai diverso dall’attivismo e talora dal protagonismo del predecessore. Io penso che questa promessa di continuità e al contempo di discontinuità abbia reso Robert Francis Prevost la persona ideale agli occhi dei cardinali per rassicurare i progressisti che l’eredità di Bergoglio non andrà dispersa, e per rassicurare al contempo i conservatori che ci sarà più ordine, più rispetto della tradizione, più sicurezza nella dottrina e nessuna improvvisata fuga in avanti. Penso sia questa capacità di mediazione quale appare dalla personalità del nuovo Papa la principale caratteristica che ha fatto convergere su di lui così rapidamente i voti necessari per la sua elezione. I cardinali cioè hanno sentito che egli può essere la persona giusta per dare alla Chiesa quello di cui essa oggi ha bisogno.

Il nuovo Papa tornerà nell’appartamento papale? Probabile. Anzi, a mio avviso, sicuro, alla luce dell’abbigliamento che papa Leone ha mostrato nella sua prima benedizione quando si è presentato vestito non solo con la tradizionale talare bianca, come Francesco, ma anche con la mozzetta rossa e la stola, come Benedetto XVI, come Giovanni Paolo II e come tutti gli altri pontefici che lungo i secoli hanno abitato regolarmente nell’appartamento papale.

Ma veniamo alla domanda che riguarda il mondo e il suo bisogno di pace: come valutare da questo punto l’elezione di papa LeoneIl nome scelto a prima vista non depone per un’azione pacifica, inutile richiamare cosa immediatamente ricorda il leone alla mente di tutti. Ma a quanto mi ha detto un caro amico frate agostiniano, cioè dello stesso ordine religioso del nuovo Papa su cui poi tornerò, il motivo che ha portato Prevost a scegliere di chiamarsi Leone è la riconoscenza verso Leone XIII (papa dal 1878 al 1903) che da bambino nel suo paese di Carpineto Romano aveva fatto il chierichetto presso gli agostiniani e che poi da Papa ricompensò l’ordine con una serie di benefici, tra cui, guarda caso, la Sacrestia pontificia. Ma poi, a pensarci bene, il nome Leone non è così fuori luogo per servire la pace perché per farlo, visto che la pace non è semplice assenza di conflitti ma “opus iustitiae” come dice il Vaticano II, occorre forza, coraggio, determinazione, capacità di rischiare; occorre, a pensarci bene, un cuor di leone: forse anche per questo il nuovo Papa ha scelto di chiamarsi così? Lo vedremo, immagino, presto.

Quello che è sicuro è che un Papa può servire la pace del mondo principalmente in due modi: tramite la diplomazia e tramite la parola della predicazione. Papa Leone ieri sera ha già iniziato a farlo, visto che le sue prime parole sono state: «La pace sia con tutti voi». Non parole personali, ma una formula liturgica, la medesima con cui inizia la Messa, a sottolineare una significativa differenza con il «buonasera» con cui si presentò papa Francesco e anche con le parole più confidenziali degli altri Papi (le uniche parole personali il nuovo Papa le ha dette in spagnolo per salutare la diocesi peruviana di Chiclayo di cui è stato vescovo, da non confondere con Chicago dov’è nato). Papa Leone ha poi continuato il suo discorso con parole colme di spiritualità quali «pace del cuore», «pace di Cristo risorto», «pace che proviene da Dio». Eccoci quindi al suo essere agostiniano.

È molto significativo che papa Leone abbia voluto presentarsi dicendo di essere «figlio di sant’Agostino», cioè come frate agostiniano, membro dell’Ordo Sancti Augustini, abbreviato O.S.A., sigla che se si legge senza badare ai punti diventa un imperativo che dà coraggio. Cosa significa essere agostiniano? Significa avere un modo di vivere il cristianesimo improntato alla spiritualità di sant’Agostino, così come essere francescani significa seguire la spiritualità di Francesco d’Assisi, benedettini quella di san Benedetto e così via per tutti i numerosi ordini religiosi maschili e femminili. Ma qual è la specifica spiritualità dell’ordine agostiniano? La risposta ci proviene dallo stesso motto del nuovo Papa scelto quando venne ordinato vescovo: «In illo uno unum», espressione di Agostino che alla lettera significa: «Una sola cosa in lui solo», laddove questo lui è Cristo e la sola cosa è la comunità dei fratelli. Il che indica che lo specifico della spiritualità agostiniana è l’essere pervasa da una forte tensione orizzontale per promuovere la vita comunitaria e l’amicizia, e al contempo da un’ancora maggiore tensione verticale perché questa unità avviene tendendo tutti insieme verso Cristo, «in lui solo». Il che è la perfetta sintesi del cristianesimo, che è fratellanza ma prima ancora figliolanza, che è caritas ma prima ancora imitatio Christi.

Tornando alla pace di cui il mondo ha bisogno, il Papa vi può contribuire anzitutto con la sua predicazione. Il che non è affatto poco, perché la pace esteriore inizia dalla pace interiore, la pace delle armi inizia dalla pace delle parole. E a questo proposito, in onore del nuovo Papa, desidero concludere con una pagina delle “Confessioni” di sant’Agostino nella quale il grande teologo e filosofo cristiano rivolgendosi al suo Dio pone questa domanda: «Cosa amo, quando ti amo?». Domanda profondissima, che chiunque afferma di amare Dio dovrebbe porre a sé stesso: cosa si ama veramente quando si dice di amare “Dio”? Agostino fa una serie di ragionamenti che qui è impossibile riportare e poi sorprendentemente conclude: «Amando il mio Dio amo la luce dell’uomo interiore che è in me». La più grande trascendenza la si ottiene nella più grande immanenza, nella nostra interiorità. Il nuovo Papa, lo intuisco, vorrei dire, ne sono sicuro, contribuirà a farci riscoprire la ricchezza che in quanto esseri umani (non importa se credenti o no) portiamo dentro di noi, e in questo modo egli servirà alla perfezione la pace del mondo, perché la pace del mondo è anzitutto pace del cuore.

Vito MancusoLa Stampa 9 maggio 2025


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