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Jean Louis Ska "I Salmi poesia e preghiera"

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Piano di lavoro 2024/25

Introduzione

Una delle migliori introduzioni alla preghiera dei salmi, a mia conoscenza, è uno scritto di sant’Atanasio, patriarca di Alessandria in Egitto (295 ca. – 373), in una lettera rivolta a un certo Marcellino che, malato, dedica tempo alla meditazione dei salmi e chiede qualche consiglio ad Atanasio per la sua lettura. Atanasio confida di avere parlato a lungo dei salmi con un anziano, uno studioso, che conosceva molto bene la materia e ne parlava con grande chiarezza e persuasione. Condivide, perciò, con suo amico Marcellino le intuizioni e riflessioni dell’anziano studioso. 
In poche parole, vi sono due caratteristiche del salterio che lo distinguono dal resto della Scrittura. Da una parte, il salterio offre un riassunto di tutta la storia della salvezza, dalla creazione fino all’età messianica, fino al Nuovo Testamento. 
Certo, su questo ultimo punto, Atanasio legge l’Antico Testamento come i Padri della Chiesa, vale a dire come prefigurazione del Nuovo Testamento. D’altra parte, il salterio descrive tutti i sentimenti umani, dall’allegria alla tristezza e allo scoraggiamento, dalla gratitudine all’ira e persino al desiderio di vendetta. Ogni sentimento umano, tuttavia, è trasformato e, potremmo dire, trasfigurato nella preghiera rivolta a Dio. Atanasio descrive il processo di purificazione in particolare nel canto. 
Riprendiamo gli elementi più importanti della lettera di Atanasio a Marcellino. Il primo aspetto evidenziato dal patriarca di Alessandria sorprende alquanto il lettore odierno. È vero che troviamo salmi che parlano della creazione, ad esempio il Salmo 104, o l’inizio del Salmo 136. Lo stesso Salmo 136 continuo con l’esodo fino all’entrata nella Terra Promessa. Solo alcuni salmi descrivono gran parte della storia dell’antico Israele, dai patriarchi all’esodo e al dono della terra, vale a dire i Salmi 78, 105 e 106. Il Salmo 78 prolunga la storia fino alla monarchia di Davide e il Salmo 106 allude anche all’esilio e al ritorno dall’esilio. Vi sono accenni alla storia d’Israele in altri salmi, però sono meno numerosi di quanto si potrebbe pensare. Il Salmo 89, ad esempio, è centrato sulle promesse fatte a Davide e sul destino della monarchia davidica. Abbiamo lamentazioni sulla distruzione di Gerusalemme nei Salmi 74 e 79, e il Salmo 126 è un canto di giubilo per il ritorno degli esuli nella loro terra. Altrimenti, dobbiamo confessare che gran parte dei salmi siano legati a situazioni particolari di individui o di piccoli gruppi, nella vita quotidiana o nella vita pubblica dei villaggi o rioni di cittadine. Il re (Sal 72), il tempio e la città di Gerusalemme sono presenti alle volte (Sal 46, 48, 76, 84, 87, 122), ma non in tutto il salterio. 

La giustizia nel mondo biblico 

Tali osservazioni ci fanno pensare che il salterio sia, in gran parte, l’espressione della pietà popolare piuttosto che della religione ufficiale. Fra le preghiere comuni, notiamo, ad esempio, molte lamentele di individui accusati in processi non sempre ben definiti. Forse vale la pena ricordare che, nel mondo antico e nel mondo biblico, l’amministrazione della giustizia era molto diversa dalla nostra. Non esisteva un sistema giudiziario completo, non esistevano procedure ben definite e non esistevano codici precisi che coprivano la maggioranza dei casi nel diritto penale o nel diritto civile. Per dirlo con uno specialista del diritto del Vicino Oriente antico: 

I regni antichi non avevano una legislatura in senso moderno della parola, ma avevano assemblee che, a livello locale, erano in grado di creare regole vincolanti. Non avevano una teoria del diritto come la intendiamo noi, ma svilupparono una scienza pragmatica di liste di casi che serviva come veicolo per la teorizzazione e la categorizzazione del diritto, anche se per deduzione. Non avevano giuristi, ma la stesura di decreti, contratti e trattati rivela un vocabolario giuridico consacrato e una capacità di utilizzare la terminologia per proteggersi dalle eventualità scomode. Non avevano un sistema formale di citazione, ma facevano riferimento a decreti e precedenti e si affidavano a una saggezza formalizzata per tracciare alcune delle linee di forza di una consuetudine informe e colmare alcune delle sue lacune. Non avevano una mentalità legalista, con il suo affidamento alla rigida lettera della legge, ma mostravano una certa consapevolezza della nozione di diritto nella loro attenta formulazione dei giuramenti e nell’uso creativo delle finzioni giuridiche che si muovevano tra le categorie giuridiche se non ancora tra i termini giuridici (1). 

Era importante ricordare gli elementi essenziali dell’amministrazione della giustizia nel mondo biblico perché tali elementi permettono di capire meglio la situazione di numerosi salmisti quando parlano di giustizia, di false accuse, dei nemici o dei loro “difensori”. In effetti, l’amministrazione ordinaria della giustizia si svolgeva nei piccoli centri, i villaggi e i rioni delle città. Possiamo rappresentarci facilmente l’andamento delle cose. A causa di vecchie faide o di rivalità fra famiglie, di conflitti a proposito dei campi o delle greggi, di aspre discussioni fra persone irritabili, si spargono rumori e dicerie, ogni tanto vere, ogni tanto false, ogni tanto più o meno vere o più o meno false. Alla fine, si ritrovano i capostipiti e tutti i personaggi importanti della località sulla piazza del villaggio – la “porta della città” di cui parlano diversi testi (Sal 69,13; 127,4; cf. Gn 19,1; Rut 4,11; 2Sam 19,9; Gb 5,4; 31,21; Pro 22,22; 24,7; Is 29,21; Am 5,10.12.15). Non esiste alcuna vera procedura e tutto si svolge in una discussione aperta ove tutti parlano e tutti discutono. Ovviamente, una famiglia numerosa ha più peso (Sal 127,4), così come una famiglia più ricca e più potente. L’opinione pubblica, soprattutto l’opinione della maggioranza, ha spesso il sopravvento. Un povero innocente farà sempre fatica a provare la bontà della sua causa. “La ragione del più forte è sempre migliore” come dice una favola del famoso scrittore francese Jean de La Fontaine. La potenza prevale sulla giustizia in tanti casi. 
Is 29,18-21 illustra bene tale situazione che doveva essere frequente. Si tratta di un oracolo di salvezza che annunzia proprio la fine di tali imbrogli: “In quel giorno, i sordi udranno le parole del libro e, liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno; gli umili avranno abbondanza di gioia nel Signore e i più poveri tra gli uomini esulteranno nel Santo d’Israele; poiché il violento sarà scomparso, il beffardo non sarà più, e saranno distrutti tutti quelli che vegliano per commettere iniquità, che condannano un uomo per una parola, che tendono tranelli a chi difende le cause alla porta e violano il diritto del giusto per un nulla” (Is 29,18-21). 
Quello che può cambiare le cose è l’intervento di una persona per bene che prende la difesa dell’accusato. Sarà il ruolo di Daniele nel famoso episodio di Susanna e i due vecchioni (Dn 13,1-64). Il “difensore” è quindi una persona che si distacca dal resto dell’assemblea e fornisce argomenti nuovi e convincenti per difendere l’innocente accusato falsamente e non ha paura di contraddire l’opinione della maggioranza. “Non urla con i lupi” e, in questo modo, riesce a salvare la vita dell’in￾nocente. Il difensore o il consolato sta in genere alla destra della persona da difendere. È il caso di Dio nei Sal 16,8; 109,31; 110,5; 121,5. In alcune suppliche, il salmista si rivolge a Dio perché nessuno viene a stare alla sua destra: “Guarda a destra e vedi: nessuno mi riconosce. Non c’è per me via di scampo, nessuno ha cura della mia vita” (Sal 142,5). Così come Dio, la guardia del corpo sta alla destra di chi deve essere protetto (Is 63,12). Però anche l’accusatore può stare alla destra di chi egli vuole diffamare (Sal 109,6; cf. Za 3,1). 
L’altro caso è ben descritto nell’episodio di Nabot in 1Re 21. Conosciamo la storia: Nabot è proprietario di una vigna adiacente al demanio del re d’Israele, Acab. Il re vorrebbe ingrandire la sua proprietà e propone a Nabot di comprare – per un prezzo giusto – la sua vigna o di dargli un’altra vigna, anche migliore della sua. Nabot rifiuta per un motivo specifico: non è proprietario della vigna che è un bene di famiglia. Egli l’ha ricevuta in eredità dai suoi antenati e deve trasmetterla, intatta, in eredità ai suoi figli. Si tratta, quindi, di un bene inalienabile secondo l’antico diritto consuetudinario d’Israele. Il re Acab, sconfortato dalla risposta di Nabot, sarà consolato da sua moglie, la famigerata Gezabele, che inventa il modo di risolvere il problema. Paga due furfanti che accusano – falsamente – Nabot davanti agli anziani e i notabili della città di avere maledetto Dio e il re. Nessuno reagisce e Nabot muore lapidato. Nabot, però, sarà difeso dal profeta Elia e, secon￾do altri racconti (1Re 22 e 2Re 9-10), lì dove i cani hanno leccato il sangue di Nabot leccheranno anche il sangue del re Acab (1Re 22,38; cf. 2Re 9,25-26) e della regina Gezabele (2Re 9,36-37). Possiamo immaginare altri episodi dello stesso tipo nei piccoli paesi o nei rioni delle città. E ciò vale anche per una città come Gerusalemme di cui un salmista farà una descrizione raccapricciante: “Ho visto nella città violenza e discordia: giorno e notte fanno la ronda sulle sue mura; in mezzo ad essa cattiveria e dolore, in mezzo ad essa insidia, e non ce sano nelle sue piazze sopruso e inganno) (Sal 55,10-12). Le sentinelle della città non sono custodi della sua sicurezza, bensì tutto il contrario: sono la violenza e la discordia. Gli abitanti della città santa sono cattiveria, sofferenza e insidia, e, sulle sue piazze, si radunano sopruso e inganno. È difficile trovare una descrizione più cupa e pessimista della città di Gerusalemme. 
Però, anche il profeta Isaia sarà molto severo: “Come mai la città fedele è diventata una prostituta? Era piena di rettitudine, vi dimorava la giustizia, ora invece è piena di assassini! Il tuo argento è diventato scoria, il tuo vino è diluito con acqua. I tuoi capi sono ribelli e complici di ladri. Tutti sono bramosi di regali e ricercano mance. Non rendono giustizia all’orfano e la causa della vedova fino a loro non giunge” (Is 1,21-23). Potremmo citare altri testi, però possiamo dedurre dai testi su Gerusalemme, la città santa, che la situazione non dovesse essere molto diversa negli altri centri abitati. La giustizia e l’equità erano una rarità piuttosto che la regola. 

Il grido del giusto innocente 

La situazione del giusto innocente perseguitato è ben illustrata dal Salmo 35: “Poiché senza motivo mi hanno teso una rete, senza motivo mi hanno scavato una fossa” (Sal 35,7); “sorgevano testimoni violenti, mi interrogavano su ciò che ignoravo, mi rendevano male per bene: una desolazione per l’anima mia. Ma io, quand’erano malati, vestivo di sacco, mi affliggevo col digiuno, la mia preghiera riecheggiava nel mio petto. Accorrevo come per un amico, come per un mio fratello, mi prostravo nel dolore come in lutto per la madre. Ma essi godono della mia caduta, si radunano, si radunano contro di me per colpirmi di sorpresa. Mi dilaniano di continuo, mi mettono alla prova, mi coprono di scherni; contro di me digrignano i loro denti” (Sal 35,11-16). 
In questo contesto non sorprendono i molti gridi dei salmisti che si rivolgono a Dio per chiedere giustizia: “Signore, quanti sono i miei avversari! Molti contro di me insorgono. Molti dicono della mia vita: «Per lui non c’è salvezza in Dio!» (Sal 3,2-3). “Il nemico mi perseguita, calpesta a terra la mia vita; mi ha fatto abitare in luoghi tenebrosi come i morti da gran tempo. In me viene meno il respiro, dentro di me si raggela il mio cuore” (Sal 143,3-4). 
Ci sorprende ogni tanto, in questo contesto giuridico, le “proteste di innocenza”, come, ad esempio, nel Salmo 59: “Ecco, insidiano la mia vita, contro di me congiurano i potenti. Non c’è delitto in me, non c’è peccato, Signore; senza mia colpa accorrono e si schierano. Svegliati, vienimi incontro e guarda!” (Sal 59,4-5). Il salmista protesta ovviamente contro le accuse che gli sono rivolte. Non si tratta, in questi casi, di un “esame di coscienza” completo. Il salmista afferma con forza di essere innocente dei reati di cui i miei avversari l’accusano, non di essere “senza alcun peccato” (Sal 7,4-6; 25,4-6; 73,13). 
In alcuni salmi, troviamo una risposta divina in un oracolo. Secondo alcuni specialisti, l’orante si recava nel santuario per aspettare, qualche volta durante tutta la notte, la risposta divina. Non abbiamo molti dettagli sulla ”procedura che può far pensare a un’ordalia, a un “giudizio divino”. Il caso più chiaro è quello del Salmo 12. Dopo la preghiera del salmista che chiede giustizia contro un gruppo di calunniatori, arriva la risposta di Dio: “Per l’oppressione dei miseri e il gemito dei poveri, ecco, mi alzerò – dice il Signore –; metterò in salvo chi è disprezzato” (Sal 12,6). Dio, quindi, non rimane silenzioso o inattivo. Al contrario, interviene direttamente per risolvere il caso in favore del giusto. Il Salmo 5 descrive probabilmente un rituale in cui l’orante si reca in un santuario per aspettare un oracolo divino al mattino: “Al mattino ascolta la mia voce; al mattino ti espongo la mia richiesta e resto in attesa” (Sal 5,4). Altri testi parlano di un oracolo divino in seguito a una preghiera o un sacrificio, ad esempio Nm 23,1-6; 1Sam 1,9.17. Infine, in diversi salmi, l’orante chiede a Dio di intervenire direttamente per salvarlo: “Sorgi, Signore! Salvami, Dio mio!” (Sal 3,8; cf. 7,7; 68,2; Nm 10,35; Is 33,3). 

I Salmi e la mentalità odierna 

Vale la pena dire due parole su un aspetto ostico dei Salmi per la mentalità odierna: penso alle imprecazioni contro i nemici. Come si sa, durante il concilio Vaticano II, il papa Paolo VI è intervenuto in persona per escludere alcuni salmi dal breviario e per cancellare alcuni versetti considerati come offensivi. Un solo esempio: sparisce dal breviario l’ultimo versetto del Salmo 137, una maledizione contro Babilonia, dopo la conquista di Gerusalemme: “Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sfracellerà contro la pietra” (Sal 137,9). Certo, è impossibile riconciliare questo versetto con lo spirito delle beatitudini e l’amore dei nemici (Mt 5,43-48; Lc 6,27-29). Non si può giustificare tale imprecazione né dal punto di vista cristiano neanche da un punto di vista della morale naturale. I neonati sono innocenti e non devono subire le conseguenze di azioni compiute da adulti. Come capire questo versetto che fa parte della “Scrittura ispirata”? In primo luogo – ed è una spiegazione, non una giustificazione – il linguaggio usato dal salmo è convenzionale e si ritrova altrove, nella letteratura del Vicino Oriente antico così come nella Bibbia. E non si tratta solo di linguaggio, si tratta anche di usanze comuni nelle guerre, purtroppo. Si vedano 2Re 8,12; Is 13,16; Os 14,1; Naum 3,10. Anche il Dio della Bibbia chiede di uccidere i lattanti in 1Sam 15 quando impartisce a Saul l’ordine seguente: “Va’, dunque, e colpisci Amalek, e vota allo sterminio quanto gli appartiene; non risparmiarlo, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini” (1Sam 15,3). 
Siamo quindi in una cultura violenta e crudele, e alcuni testi della Bibbia partecipano di questa cultura. Occorre certamente prendere distanza da tale linguaggio e da tali usanze. Significa, in altre parole, che è necessario fare una lettura critica dei testi, in particolare di alcuni salmi, e non prendere tutto alla lettera. Abbiamo alcuni criteri, ad esempio nel vangelo, per permetterci di leggere e pregare i salmi con discernimento. 
Inoltre, possiamo anche rimettere tali salmi nel loro contesto, un contesto di estrema brutalità. Le imprecazioni contro i nemici che incontriamo nei salmi sono reazioni di persone che hanno subito la violenza, che hanno assistito alla violenza o temono la violenza in tutto il suo orrore. Preghiamo i salmi in luoghi tranquilli, ove si respira la serenità, e che invitano alla meditazione. Alcuni salmi, invece, riflettono l’atmosfera dei campi di battaglia o l’impotenza di chi vive situazioni di crudele ingiustizia. 
Vi è forse un modo di pregare tali salmi. In primo luogo, vi sono ancora oggi molte persone che vivono in situazioni simili. Guerre ingiustificabili e cruenti, op￾pressione, corruzione, iniquità, violenza e brutalità sono, purtroppo, ancore presenti nel nostro mondo e alcuni salmi sono espressioni di chi vive in simili condizioni intollerabili. Li possiamo pregare in nome di persone, gruppi o popoli che vivono in tali situazioni. In secondo luogo, occorre distinguere meglio la volontà di cancellare il male dalla volontà di vendicarsi contro i nemici. Certo, le imprecazioni dei salmi sono rivolte a persone concrete. Spetta a noi, nella lettura e la meditazione dei salmi, convertire le imprecazioni contro le persone, contro i nemici, in preghiere contro la violenza e non contro i violenti, contro l’oppressione e l’iniquità che abitano certe persone per chiedere la conversione di un’umanità spietata. 
In terzo luogo, vale la pena ricordare che, nella maggioranza dei casi, le imprecazioni e le maledizioni dei nemici sono rivolte a Dio. Si affida a Dio il castigo e la vendetta, e si tratta di un primo passo di purificazione. È un primo modo di prendere una certa distanza dalla propria esperienza e di introdurre un elemento nuovo nel sentimento di impotenza di chi soffre l’ingiustizia, o subisce calunnie e false accuse. Non cerca di vendicarsi, aspetta un intervento in suo favore che viene dal cielo e che dovrebbe concretizzarsi nell’intervento di un “difensore” o “consolatore”, di qualcuno che reagisce per difenderlo dai suoi accusatori. 
Infine, occorre ricordare che non preghiamo solo per noi stessi. I salmi fanno parte della preghiera della Chiesa e sappiamo che molte persone, in particolare comunità religiose, comunità monastiche, pregano i salmi ogni giorno. Preghiamo nella Chiesa e per la Chiesa, e per tutta l’umanità e, in questo modo, trasformiamo a poco a poco il nostro mondo. L’opera di purificazione dei sentimenti umani, molto umani, che possono abitarci sono trasformati e trasfigurati dalla preghiera e dalla poesia dei salmi. Perciò, per tornare alla lettera di Atanasio a Marcellino, il patriarca di Alessandria insiste sul ruolo del canto. La ragione principale è semplice: il canto introduce un ritmo e una sistemazione nella preghiera e, quindi, permette di organizzare, di ordinare i sentimenti ogni tanto istintivi e “primitivi” che possono animare il salmista. In conclusione, possiamo oggi ancora ritrovare nei salmi tutte le nostre esperienze e le nostre situazioni, dagli elementi più positivi agli elementi più negativi, dalla gioia più pura (ad esempio Sal 150) alla disperazione più cupa (ad esempio Sal 88). 

Note 

1 Raimond Westbrook, «Introduction: The Character of Ancient Near Eastern Law», in A History of Ancient Near Eastern Law I (ed. Raymond Westbrook et al.) (Handbook of Oriental Studies. I. The Near and Middle East 72.1; Leiden – Boston, MA: Brill, 2003) 87. 


Breve bibliografia sui Salmi 

Alonso-Schökel, Luis – Cecilia Carniti, I Salmi. Edizione italiana a cura di Antonio Nepi. 2 vol. (Commenti biblici; Roma: Borla, 1992-1993). 

Lancellotti, Angelo, I Salmi. Versione - introduzione – note. 3 vol. (Nuovissima versione della Bibbia dai testi originali 18; Roma: Paoline, 1984).* 

Lorenzin, Tiziano, I Salmi. Nuova versione, introduzione e commento (I libri biblici. Primo Testamento 14; Milano: Paoline, 2000, 2 2002). 

Mays, James Luther, Salmi (Strumenti 50; Torino: Claudiana, 2010).* 

Ravasi, Gianfranco, Il libro dei Salmi. Commento e attualizzazione. 3 vol. (Bologna: Dehoniane, 1981-1984). 

Scippa, Vincenzo, Salmi. Introduzione e commento (Dabar, logos, parola. Lectio divina popolare; Padova: Messaggero, 2002-2003).* 

Viganò, Lorenzo, Il Libro delle Lodi = Sefer Tehilim. Il messaggio del Salterio (Senza luogo: Lorenzo Viganò, 2016). 

Weiser, Artur, I Salmi. Traduzione e commento. I: Ps. 1 – 60. II: Ps. 61 – 150 (AT 15; Brescia: Paideia, 1984). 

Per iniziare la lettura, meglio prendere i volumi di A. Lancelotti, J.L. Mays o V. Scippa, più semplici e meno tecnici.




Le sei meditazioni proposte da padre Jean Louis Ska:
  1. Salmo 1
  2. Salmo 27
  3. Salmo 103
  4. Salmo 23
  5. Salmo 122
  6. Salmo 139
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