Chiara Saraceno "Ha senso discutere sulla naturalità della famiglia?"
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Chiara Saraceno, già docente di Sociologia all’Università di Trento e a Torino, ora a Berlino, sostiene non legittimo presentare il modello tradizionale di famiglia come l’unico “normale”, basato sulla natura umana; ritiene invece esista una pluralità di strutture famigliari, con sempre più complesse relazioni interne, in particolare quelle genitoriali.
La varietà, non l’unicità, è la regola nei modi di fare famiglia
Di fronte ai cambiamenti che attraversano le famiglie e alla domanda di riconoscimento come famiglia di relazioni che non rientrano nel modello cui siamo abituati e che riteniamo “normale”, c’è chi reagisce richiamando un’ideale famiglia tradizionale, definita anche come naturale: una famiglia basata su una coppia eterosessuale, orientata alla procreazione e con una netta distinzione nei ruoli di genere maschile e femminile. È, ovviamente, legittimo ritenere un determinato modello di famiglia migliore di altri. Ciò che non è legittimo sulla base dei dati storici e antropologici è presentarlo come l’unico modello universale perché basato sulla natura umana. Come hanno ampiamente dimostrato ormai da almeno mezzo secolo innumerevoli studi antropologici e storici, non esiste un nucleo minimo di famiglia che possa essere rinvenuto in tutte le culture e periodi storici. Al contrario, la pluralità dei modi di fare e intendere la famiglia è una costante della esperienza umana. La storia umana, infatti, presenta un pressoché inesauribile repertorio di modi di organizzare e attribuire significato alla generazione e alla sessualità, all’alleanza tra gruppi e a quella tra individui - di costruire, appunto, famiglie, tra società diverse e anche entro la stessa società da un’epoca all’altra. Ciò riguarda sia la “forma della famiglia”, il criterio, o la relazione, in base al quale si definisce chi ne fa parte e chi no - consanguineità o alleanza, co-residenza o autonomia residenziale e così via - sia il modo di intendere i contenuti delle relazioni famigliari, anche a parità di “forma”, sia, infine, come si regola normativamente ciò che è accettabile e riconosciuto come tale.
Anche nella storia di una stessa società si possono trovare importanti differenze e mutamenti di significato di rapporti famigliari che hanno la stessa “forma”. L’amore e la libera scelta individuale non sono sempre stati la legittimazione valoriale prevalente del matrimonio neppure in Occidente, neppure in Italia; ancor meno lo è stata e lo è la parità tra i coniugi. La sessualità nel matrimonio a lungo è stata concepita sia come valvola di sfogo e contenimento della sessualità maschile (remedium concupiscientiae - per la Chiesa Cattolica), sia come strumento necessario per la procreazione, non come attività che può avere come fine il reciproco piacere e/o essere una espressione dell’amore. I figli nati al di fuori del matrimonio per moltissimo tempo hanno avuto uno statuto inferiore a quelli nati entro il matrimonio, a difesa non tanto della “famiglia naturale” quanto di quella “legittima”.
Anche rispetto ai rapporti genitori-figli l’affettività ne è diventata il codice espressivo e valoriale solo in epoca relativamente recente. E i bambini a lungo sono stati allevati non, o non esclusivamente, dalla madre e neppure dai genitori, ma da una miriade di figure differenti a seconda del ceto e della necessità: fratelli e sorelle maggiori, zie, nonne, servitori, istitutrici e istitutori e così via.
Difficile, quindi, sostenere che, nonostante queste importanti differenze e cambiamenti, si tratti pur sempre della “stessa famiglia”, o che si tratti di stadi evolutivi diversi entro un percorso comune. Inoltre, mentre in alcune società non esiste, o non esisteva, un’unica forma familiare ritenuta normale, o accettabile, in altre, come è il caso delle società occidentali, a lungo è prevalso il modello unico, almeno nella forma, anche se il contenuto, significato, delle relazioni era diversificato tra le classi sociali, dovendo rispondere a bisogni diversi, ed è cambiato nel tempo.
Solo di recente, e in Italia più tardi che in altri paesi pure a noi vicini e somiglianti, anche a livello normativo è stata ammessa una diversificazione della “forma famiglia”. L’introduzione del divorzio ha consentito il matrimonio di chi era già sposato con altri e non era vedovo/a, di fatto scombinando le linee di demarcazione delle appartenenze familiari dei figli del primo matrimonio, ma anche dei genitori che continuano a esserne responsabili: pendolarismo o pluri-appartenenza familiare è, dovrebbe essere, la condizione normale dei figli di separati/divorziati, e una “famiglia a fisarmonica” in base alle loro entrate e uscite quella dei loro genitori, che abbiano o meno costituito una nuova famiglia con qualcun altro/a.
Emergono anche forme di genitorialità allargata, quando i nuovi compagni/e dei genitori si trovano a dover o voler condividere responsabilità educative, e nuovi tipi di “parentele acquisite”, quando i genitori o/e/fratelli/sorelle dei nuovi compagni di uno o entrambi i genitori si fanno coinvolgere in una relazione affettiva. “Cespugli famigliari” li aveva definiti una volta la psicologa dell’età evolutiva Tilde Giani Gallino, ben prima che Murgia parlasse di famiglia queer perché non basata né su rapporti univoci di coppia né su rapporti di sangue, ma di elezione. Certo, non sempre le cose stanno così e anzi ci possono essere conflitti ed estraneità; ma non sono impossibili e tantomeno andrebbero ostacolati in nome di appartenenze e confini familiari da difendere a ogni costo.
Il matrimonio egualitario ormai diffuso in molti paesi, e in forma più riduttiva le unioni civili in Italia, pur ribadendo la forma coniugale della famiglia legittima, basata sulla coppia, consentono che questa sia formata da due persone dello stesso sesso, che in molti paesi possono accedere anche alla filiazione, vuoi solo via adozione, vuoi anche, se donne, via riproduzione assistita con donatore, se uomini, via ricorso alla gestazione per altri. Anche le convivenze senza matrimonio hanno acquisito crescente legittimità, non solo come fase nel processo di formazione della famiglia, ma come modalità alternativa, facilitata anche dall’equiparazione dei figli nati dentro e fuori un matrimonio, che quindi non è più richiesto a protezione dei secondi.
Nell’Italia a bassissima fecondità ormai un bambino su tre nasce fuori dal matrimonio, di norma entro un rapporto di coppia convivente. La figura della mamma sola oggi, anche in Italia, inoltre, non si riferisce più principalmente a una donna abbandonata da chi l’ha messa incinta e neppure a una mamma separata o divorziata, ma anche a una donna che desidera diventare madre senza dover anche stare in un rapporto di coppia.
L’esemplificazione potrebbe proseguire. Ciò che importa qui sottolineare è che non esiste una ideale famiglia naturale, qualsiasi cosa si intenda con questo termine, cui tendere o cui tornare, o dalla prospettiva della quale giudicare la richiesta di riconoscimento di relazioni che non vi si conformano.
Anche il riferimento alla tradizione ha un fondamento debole, non solo perché spesso viene idealizzata, ma perché la tradizione non è né univocamente neutra né sempre positiva, almeno non per tutti coloro che vi sono coinvolti. Le tradizioni, infatti, sono l’esito e la sedimentazione di rapporti di potere, tra gruppi sociali, istituzioni, sessi e generazioni. L’imposizione della tradizione come unica modalità di regolazione dei comportamenti e dei rapporti tra i sessi, le generazioni, i gruppi sociali, è lo strumento utilizzato da chi vuole imporre e mantenere il proprio potere.
Invece che evocare una famiglia naturale che non esiste e/o a una tradizione che può essere più o meno problematica (e comunque anch’essa plurale, a seconda dei paesi e delle culture), occorre valutare come sostenere forme di appartenenza e l’assunzione di responsabilità reciproche durature, che rispettino i principi di libertà, uguaglianza, dignità personale, oltre a riconoscere il bisogno di dare e ricevere cura nel corso della vita - principi che sono lungi dall’essere condivisi in tutte le culture e forme familiari, dato che sono essi stessi esito di mutamenti storico-sociali.
Cambiano i rapporti tra i sessi e le generazioni e il contesto demografico
I mutamenti del modo di fare e intendere la famiglia che sperimentiamo oggi nel mondo occidentale e anche in Italia, infatti, sono l’esito di complessi mutamenti che, non senza conflitti e resistenze, a livello dei singoli e a livello sociale e politico, hanno coinvolto i rapporti tra uomini e donne, modificando i modelli e le aspettative di genere. Hanno anche sempre più disimplicato sessualità e procreazione, con effetti apparentemente irreversibili sui tassi di fecondità, anche se questi possono essere accentuati o viceversa attenuati dalle politiche nei confronti dell’occupazione femminile, della possibilità delle giovani generazioni di farsi una vita autonoma dalle famiglie di origine, delle pari opportunità di crescita e sviluppo delle proprie capacità fin dalla nascita.
I mutamenti demografici, accanto a quelli culturali e nei rapporti di potere tra i sessi e le generazioni, sono in effetti una componente importante del mutamento nel modo di fare e intendere la famiglia oggi: si fanno sempre meno figli ed è in aumento la quota, pur minoritaria, di donne che non hanno figli. Ma si vive molto più a lungo e la presenza a lungo di anziani nella rete parentale, e diventare adulti avendo uno o più nonni, per lo più nonne, viventi, sono diventate esperienze diffuse. Mentre è sempre più raro crescere con più fratelli e sorelle, è sempre più frequente rimanere figli a lungo, anche quando si diventa genitori e talvolta nonni a propria volta. I ruoli famigliari, specie generazionali, cambiano forma nel corso di cicli di vita sempre più lunghi, in cui sempre più spesso può succedere di dover assumere un ruolo “genitoriale”, di accudimento, sostegno, supervisione, verso i propri genitori diventati fragili.
L’irruzione dell’amore ha rotto i confini della “famiglia”
La famiglia delineata nell’enciclica Amoris laetitia, insieme coniugale e basata sull’amore tra i suoi componenti, lungi dall’essere un modello universale perché espressione di una natura umana immutabile e sostanzialmente identica attraverso la storia e le culture, riflette un lungo processo di cambiamento avvenuto nei modi e motivazioni della famiglia coniugale in Occidente. Un cambiamento che può essere letto anche come uno scardinamento dall’interno, che ha indebolito le ragioni dei divieti e chiusure rispetto a quali rapporti possono essere riconosciuti come familiari. Se, infatti, è l’amore che fonda un rapporto che si desidera duraturo e rispetto al quale si assumono responsabilità, ovvero si forma una famiglia, da un lato non si capisce perché ne debbano essere escluse le persone dello stesso sesso, o perché non possano trovare forme di riconoscimento sociale famiglie di persone che intendono prendersi cura le une delle altre nel corso della vita, anche senza essere legate da rapporti di sangue, di matrimonio, di adozione.
Tra queste, potrebbero trovare una forma di riconoscimento le relazioni che in diversi casi si instaurano tra la coppia che è ricorsa alla gestione per altri e la donna gestante (talvolta anche la donatrice di ovuli) attorno al bambino/a nato per questa via. Succede pressoché esclusivamente quando a diventare genitori per questa via è una coppia gay, ed è diventata una indicazione normativa tra quelle che appartengono all’associazione delle famiglie Arcobaleno, che in questo modo riconoscono, e restituiscono esplicitamente ai figli, la complessità relazionale della loro venuta al mondo. Le coppie di persone di sesso diverso che pure sono la maggioranza tra coloro che ricorrono alla gestazioni per altri, al contrario tendono a censurare questa complessità, al loro intorno sociale e ai figli, e a interrompere ogni rapporto con la gestante una volta nato il figlio/a. Personalmente ritengo che l’impegno a mantenere una relazione tra loro e con il bambino/a in modo da dare a quest’ultimo/a la possibilità di conoscere ed elaborare la propria storia, integrando i rapporti che vi hanno dato origine dovrebbe essere messa tra le condizioni in ogni valutazione sulla ammissibilità della gestazione per altri, insieme alla garanzia che non vi sia sfruttamento, né puro mercato e alla libertà della gestante non solo rispetto al controllo del proprio corpo e della propria gestazione, ma anche rispetto alla possibilità di cambiare idea e tenere il bambino/a.
Ma ha anche introdotto un nuovo elemento di fragilità
Se l’affettività e l’amore sono diventati un fondamento e un codice potente delle relazioni familiari, sono diventati anche una possibile fonte di vulnerabilità. La famiglia basata sull’amore e l’affettività, comunque costituita, diviene più vulnerabile, non potendo più essere tenuta insieme dalle reciproche convenienze o dal controllo delle parentele. Se non c’è più amore e interesse reciproco, ancor più se sono sostituiti dal disamore e/o dalla disistima, viene meno il fondamento, la legittimazione del legame. Purtroppo questo spesso comporta anche, in caso di presenza di figli, l’incapacità a distinguere tra la fine del rapporto di coppia e la fine della co-genitorialità.
La perdurante forza culturale e psichica della famiglia coniugale rischia, infatti, di confondere (o fondere) il rapporto di coppia con quello generativo, nascondendo questo in quello, così che quando il primo finisce non si ha sempre la capacità di distinguere e/o di riconoscere le capacità genitoriali dell’altro/a, o di essere genitori senza più essere partner. Ovviamente, la cogenitorialità è possibile quando rimane un rapporto di fiducia e quando questo non è stato minato da violenze. Imporre una co-genitorialità simmetrica anche in casi di rapporti finiti per violenza, gravi abusi, o forte disinteresse, come vorrebbero alcuni, è rischioso per il benessere dei bambini più ancora del ritenere, come avveniva prima della riforma delle norme sull’affidamento dei figli, che in caso di separazione e divorzio ci sia sempre un genitore “più adatto”.
Chiara Saraceno
Esodo n° 4 ottobre-dicembre 2024
Famiglia, famiglie
contributi di
Ambrosini, Beraldo, Bolpin, Bruno, Campedelli, Checchini, Chinosi, Dalla Zuanna, Grillo, Naso, Pace, Salvarani, Saraceno, Savogin, Ska, Vecchio
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