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Emanuela Buccioni "Il Tempio e l’accesso femminile al sacro"

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Rocca 7 Gennaio 2025


Nei giorni più corti dell’anno nel mondo ebraico si celebra la Festa delle luci, quella festa della Dedicazione del Tempio (Hanukkah) che anche Gesù ha vissuto a Gerusalemme (cfr. Gv 10,22) e che ricorda la nuova consacrazione del Tempio dopo la profanazione dei selèucidi.

Il Tempio di Gerusalemme è stato il centro della vita religiosa ebraica per secoli: costruito inizialmente sotto il regno di Salomone (circa 960 a.C.), distrutto dai Babilonesi (586 a.C.), ricostruito dopo l’esilio (515 a.C.) e infine ampliato da Erode il Grande, rimase il cuore del culto ebraico fino alla sua distruzione definitiva nel 70 d.C. per mano dei Romani. 

Questa rilevanza veniva ribadita con l’inaccessibilità di alcune sue parti ai pagani, ma creando anche una disparità fra gli stessi membri del popolo d’Israele. 

In particolare rispetto all’accesso delle donne ai luoghi sacri l’Antico testamento offre una visione complessa e talvolta contraddittoria. C’è un passo in 2Re 11 in cui si parla di Atalia che regnava al posto del figlio ucciso e che si muove all’interno del Tempio e di Ioseba che nasconde «presso di lei nel tempio del Signore» un bambino che sarebbe divenuto re successivamente. 

Nel Pentateuco, quando il Tempio è la tenda mobile, le indicazioni per i sacrifici rituali sono molto stringenti. Ad es. in passi come Lv 1 o Nm 18 si enfatizza il ruolo esclusivo dei sacerdoti maschi presi solo dalla tribù di Levi, suggerendo che le donne fossero escluse non solo da queste funzioni ma anche dalle aree in cui venivano svolte. 

D’altra parte nel Nuovo testamento, leggiamo della vedova che offre le sue monete al tesoro del tempio, indicando che le donne potevano accedere almeno a certe aree del complesso templare (Mc 12,41-44 e Lc 21,1-4). Anzi nei racconti dell’infanzia di Gesù è menzionata Anna la profetessa che «non si allontanava mai dal tempio», suggerendo una presenza femminile regolare in alcune parti dell’edificio (cfr. Lc 2,36-38). Quando Pietro e Giovanni guariscono il paralitico (At 3,1-10) presso la porta Bella del tempio è presente tutto il popolo suggerendo che questa zona fosse accessibile sia agli uomini che alle donne. 

IL CORTILE DELLE DONNE 

Spesso abbiamo sentito parlare della struttura con diversi cortili del tempio compreso quello delle donne, ma l’informazione non viene dalla Bibbia. È Giuseppe Flavio, che nella sua opera Antichità Giudaiche, fornisce una descrizione dettagliata del Tempio di Erode, menzionando esplicitamente il Cortile delle donne. Questo spazio, accessibile sia agli uomini che alle donne, rappresentava il limite oltre il quale le donne non potevano procedere. 

Gli scavi archeologici del Tempio di Erode hanno portato alla luce importanti elementi che arricchiscono la nostra comprensione dell’accessibilità femminile. La struttura del complesso templare, con i suoi diversi cortili e recinti, sembra seguire una gerarchia di santità e di accesso. Il Cortile delle donne, come descritto da Giuseppe Flavio, era accessibile a tutte le donne ebree, mentre aree come il Santuario e il Santo dei santi rimanevano riservate esclusivamente ai sacerdoti maschi. Iscrizioni archeologiche, come quella trovata sulla cosiddetta “Stele di Erode”, indicano divieti specifici di accedere a determinate zone del Tempio per alcune categorie di persone (in particolare chi aveva delle imperfezioni fisiche). Sebbene non menzionino esplicitamente le donne, queste epigrafi confermano che vi fossero limitazioni all’accesso anche per la popolazione femminile: l’essere donna, come altre condizioni fisiche, come la pratica di alcune professioni, implicava una implicita impurità che impediva l’accostarsi alla zona del sacro, temporaneamente o permanentemente. 

TRA FONTI E INTERPRETAZIONI 

Dopo la distruzione del secondo Tempio nel 70 d.C., le principali opere rabbiniche – come la Mishnah e il Talmud – costituiscono la principale fonte di informazioni sull’accesso delle donne agli spazi sacri. Queste fonti post-bibliche offrono una visione sistematica, ma talvolta idealizzata, delle pratiche cultuali. La Mishnah, ad esempio, descrive una gerarchia di santità degli spazi all’interno del Tempio, con il Cortile delle donne come l’area più accessibile alle fedeli. Il Talmud, discute le limitazioni relative alle donne, come l’esenzione da alcuni comandamenti positivi legati al Tempio. 

Queste interpretazioni rabbiniche, elaborate diversi secoli dopo la distruzione del Tempio, mostrano un certa idealizzazione del passato nel tentativo di preservare l’identità ebraica in un contesto di esilio. 

È interessante notare come la storia della Chiesa cristiana abbia attinto più all’interpretazione rabbinica post-biblica che alle evidenze bibliche dirette riguardo all’accesso delle donne agli spazi sacri. Le restrizioni imposte dalle autorità ecclesiastiche sulle donne, come il divieto di accedere all’altare o di ricoprire cariche sacerdotali, riflettono in larga misura le interpretazioni rabbiniche successive alla distruzione del Tempio, piuttosto che il quadro più sfumato e meno categorico presentato nell’At e nel Nt. In molte chiese ortodosse vige tuttora il divieto per le donne di accedere alla zona intorno all’altare o di toccare calice e pisside. 

Anche leggendo molti altri passi del libro del Levitico che regola tempi, modalità e gesti delle varie forme di offerte e sacrifici, si notano delle enormi somiglianze con i gesti e le prescrizioni nell’ambito del culto cristiano. La pratica della purificazione della donna che ha partorito veniva seguita in pieno XX sec., ad esempio. Questo solleva molte domande: il Tempio è stato distrutto, Gesù ha lasciato ai suoi discepoli altri gesti e altre modalità per onorare Dio «in Spirito e verità», eppure per moltissimo tempo è stato considerato normale riprodurre delle forme del passato, che corrispondevano ad una visione gerarchica dell’umanità, alcune delle quali, con fatica, sono ora superate nello stesso mondo ebraico. 

Questo fenomeno mette in luce una tendenza generale: le rielaborazioni e le letture successive di un fenomeno religioso possono talvolta prevalere sulle testimonianze originarie, plasmando in modo significativo le pratiche e le credenze future. Comprendere le proprie radici identitarie e i profondi dinamismi interni è complesso ma essenziale per non associare l’identità a espressioni rigide e preservare invece la vitalità, nel caso cristiano, del corpo ecclesiale.










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