La prefetta e il battesimo
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
13 gennaio 2025
In questi giorni, dopo la nomina a Prefetta del Dicastero per la vita consacrata di suor Simona Brambilla, non mancano commentatori che esprimono stupore perché scoprono che l’esclusione dai gradi sacerdotali del ministero (presbiterato ed episcopato) non comporta anche l’esclusione dall’esercizio del potere di governo. “Potere sì, ministero no”: è questo il punto di arrivo del discernimento sinodale sul ruolo delle donne (Documento finale, n. 60)? In realtà sembra piuttosto un punto di partenza, perché, mentre la riflessione sul ministero deve rimanere aperta, l’Assemblea sinodale invita “a dare piena attuazione a tutte le opportunità già previste dal diritto vigente relativamente al ruolo delle donne, in particolare nei luoghi dove esse restano inattuate. Non ci sono ragioni che impediscano alle donne di assumere ruoli di guida nella Chiesa: non si potrà fermare quello che viene dallo Spirito Santo”. Si tratta di riconoscere l’abilitazione battesimale di tutte e tutti. Sulla quale ci soffermiamo qui, anche attraverso una analisi del sistema canonico nel suo complesso.
Abilitazione battesimale e potere
Chi accoglie con stupore la nomina della Prefetta Brambilla, rivela la persistenza del pregiudizio secondo cui ogni potere è indissolubilmente legato ai gradi sacerdotali dell’ordine, e di conseguenza battezzate e battezzati potrebbero essere coadiutori, ma non titolari della potestas. A sostegno di questa tesi, alcuni citano alla lettera il §1 del can. 129 (“Sono abili alla potestà di governo, che propriamente è nella Chiesa per istituzione divina e viene denominata anche potestà di giurisdizione, coloro che sono insigniti dell'ordine sacro…”), omettendo di citare il secondo paragrafo: “Nell'esercizio della medesima potestà, i fedeli laici possono cooperare a norma del diritto”. Altri interpretano questo secondo paragrafo in senso minimalista, come se significasse che laici e laiche possano essere solo dei collaboratori. Tale approccio supino nei confronti delle formulazioni dei canoni non aiuta la comprensione. Sul tema del potere, il codice presenta effettivamente dei canoni contraddittori, segno di discussioni ancora aperte nei primi anni ’80, quando si portava a termine l’opera davvero complessa di traduzione giuridica del Vaticano II.
Non deve sorprendere che, su diverse questioni, si siano trovate delle formulazioni compromissorie per rendere più accettabili le nuove regole; per esempio, la formula originale del can. 129, §2 dichiarava che le persone battezzate possono “prendere parte” all’esercizio del potere, espressione certamente più chiara dell’attuale “cooperare nell’esercizio”, che tuttavia non esclude la titolarità del potere. Lo stesso codice contiene il can. 228 che dichiara l’abilitazione delle persone battezzate ad essere assunte in uffici ecclesiastici; il can. 1421, §2 prevede che una persona battezzata possa essere titolare del potere giudiziario ed esercitare l’ufficio di giudice; inizialmente tale possibilità ha incontrato resistenze, ma nel tempo la figura del giudice laico/a si è evoluta fino alla riforma del can. 1673, che al § 3 attualmente ammette la possibilità che nelle cause matrimoniali il giudice chierico si possa trovare in minoranza. Molti altri esempi potremmo riportare, ma quel che ci preme è ribadire che l’ordinamento è un sistema complesso, quindi non si devono prendere alla lettera singole parti di canoni, senza tener conto dell’insieme.
Le relazioni di genere in riassetto
La materia è magmatica e vitale, come si vede anche dall’evoluzione della disciplina della Curia Romana; la nomina della Prefetta Brambilla non ha generato alcuna confusione normativa, come sostenuto da alcuni articoli sulla stampa generalista in questi giorni; d’altro canto, non è nemmeno una rivoluzione inimmaginabile, come affermano altri.
La costituzione apostolica Praedicate Evangelium (2022), afferma che l’aggiornamento della Curia romana “deve prevedere il coinvolgimento di laiche e laici, anche in ruoli di governo e di responsabilità. La loro presenza e partecipazione è imprescindibile, perché essi cooperano al bene di tutta la Chiesa e, per la loro vita familiare, per la loro conoscenza delle realtà sociali e per la loro fede che li porta a scoprire i cammini di Dio nel mondo, possono apportare validi contributi…”. Il numero di donne con incarichi di responsabilità nel governo della chiesa universale è un dato in costante crescita negli ultimi anni, senza esclusione di materia: ha suscitato diverse reazioni, per esempio, la nomina di tre donne al Dicastero dei Vescovi.
Anche la novità di questi giorni era ampiamente prevedibile: Praedicate Evangelium, nel secondo capitolo, numero 5, afferma: “… qualunque fedele può presiedere un Dicastero o un Organismo, attesa la peculiare competenza, potestà di governo e funzione di quest’ultimi”.
Nessuna confusione normativa, e nessuna rivoluzione copernicana; una donna, in forza del munus regendi conferitole nel Battesimo e della missio canonica data dal Pontefice, assume il ruolo di Prefetta: non è una quota rosa, né una supplente, bensì una fedele che vive il suo Battesimo.
La realtà è superiore all’idea: donne in ruoli di autorità producono un nuovo immaginario e impegnano a maturare relazioni ecclesiali più corrispondenti al Vangelo che abbiamo ricevuto.