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Matteo Ferrari "Il pellegrinaggio nella Bibbia, da Abramo ai cristiani"

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Matteo Ferrari 
priore di Camaldoli, biblista 
gennaio-febbraio 2025 

Il pellegrinaggio è una esperienza umana e religiosa fondamentale. Tutte le culture e tutte le religioni vedono nel cammino verso una meta una metafora della vita, una esperienza di crescita e di purificazione.

L’essere umano è homo viator, appartiene alla sua identità essere in cammino, sempre teso verso nuovi orizzonti e in ricerca di pace, di unità e di pienezza. Nella Bibbia il tema del pellegrinaggio è molto presente e significativo sia nel Primo che nel Nuovo Testamento. 

Il pellegrino Abramo 

La storia del popolo di Dio inizia con Abramo la cui vocazione è la chiamata ad un pellegrinaggio: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò» (Gn 12,1). Abramo è chiamato a lasciare la sua terra per intraprendere un cammino verso una terra sconosciuta che il Signore gli indicherà. È un viaggio che Abramo deve intraprendere e che ha già delle caratteristiche ben precise che ci dicono qualcosa sul valore del pellegrinaggio. 
Innanzitutto l’espressione ebraica lek lekà tradotta con “vattene” può avere differenti sfumature di significato. Potrebbe significare “vai per te”, quindi per il tuo bene. Il viaggio che Abramo è chiamato ad intraprendere è per il suo bene, per la sua vita e la fecondità della sua discendenza. Chiedendogli di mettersi in cammino Dio si prende cura di Abramo. Infatti tutta la storia di Abramo non è altro che una pedagogia divina per far crescere il Padre dei credenti e rendere veramente feconda la sua esistenza. In secondo luogo l’espressione ebraica potrebbe significare “vai verso di te”. Il viaggio di Abramo è un cammino verso la scoperta della verità di sé stesso, verso la sua vera identità. Abramo scopre il suo vero nome percorrendo il cammino che il Signore gli ha indicato. Potremmo dire che, a partire dalla vicenda di Abramo, il pellegrinaggio ha sempre come meta autentica la scoperta di sé e della propria vera identità, del proprio nome. 
Ma il cammino di Abramo comporta la necessità di lasciare la sua terra, la sua parentela e la casa di suo padre. Ogni pellegrinaggio comporta un distacco dalla propria terra con tutto ciò che questo comporta: beni, cultura, usanze… Ma occorre distaccarsi anche dai legami affettivi, dalla parentela, che al tempo di Abramo poteva significare anche la sicurezza. Infine occorre lasciare la casa paterna: saper prendere le distanze sia dal proprio passato, sia dai propri beni materiali. La partenza per un viaggio lungo e impegnativo comporta necessariamente un “alleggerimento”, la disponibilità a lasciare il superfluo per poter camminare con maggiore libertà e affrontare le fatiche del viaggio. In questo cammino di Abramo e dei patriarchi il popolo di Israele ha riconosciuto un aspetto irrinunciabile della sua identità. Infatti nel “piccolo credo storico” nel Deuteronomio così ci si esprime: «Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa» (Dt 26,5). 

Tra esodo ed esilio 

Nella storia del popolo di Dio ci sono altre due esperienze centrali che ci parlano del significato del pellegrinaggio: l’esodo e l’esilio. 
L’esodo, esperienza fondante per la vita di Israele, luogo dell’incontro con Dio e della stipulazione dell’alleanza, consiste nel passaggio dalla terra della schiavitù alla terra del libero servizio del Signore, esperienza di purificazione e di conoscenza di Dio. 
L’esodo, prima esperienza che forma e plasma l’identità del popolo di Dio, consiste nel lasciare una terra che non è nostra per rientrare in possesso di ciò che ci appartiene. Questo è anche il senso del giubileo come viene descritto nel Levitico: «Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia» (Lev 25,10). Vivere l’esperienza dell’esodo e del giubileo significa ritornare in possesso di ciò che veramente ci appartiene e che abbiamo perduto. Il senso del pellegrinaggio è anche questo: mettersi in cammino per ritornare in possesso di ciò che veramente ci appartiene. 
Anche l’esilio è una esperienza che segna la storia del popolo eletto, come pure la vita di ogni uomo e donna. Andare in esilio significa lasciare la propria terra, le proprie sicurezze, a volte false, per andare verso una terra straniera. Il pellegrinaggio è anche l’esperienza purificatrice dell’esilio che consiste nel lasciare le proprie false sicurezze per un cammino di purificazione e di rinascita. Entrambi, esodo ed esilio, sono due esperienze fondamentali dell’esistenza umana e della vita dei credenti che ci possono insegnare qualcosa sul senso del pellegrinaggio. Chi è pellegrino vive allo stesso tempo un’esperienza di esodo e di esilio. 

Salendo a Gerusalemme 

Non si può parlare di pellegrinaggio nella Bibbia senza incontrare i salmi delle salite. Quindici canti che segnano i passi di un pellegrino che sale verso Gerusalemme, verso il tempio. Sono molte le ipotesi sulla formazione e l’utilizzo di questa raccolta di brevi salmi (Sal 120-134) che troviamo nel Salterio. Ciò che lega tra di loro questi salmi e che li rende una raccolta all’interno del Salterio è la presenza di una “soprascritta” che li identifica in ebraico come shir hamma´alot e che non compare in nessun altro caso. Si tratta di un insieme di “canti di pellegrinaggio”, componimenti poetici messi in mano ai pellegrini che salivano al tempio di Gerusalemme, secondo quanto prescritto nel Libro del Deuteronomio: «Tre volte all’anno ogni tuo maschio si presenterà davanti al Signore, tuo Dio, nel luogo che egli avrà scelto: nella festa degli Azzimi, nella festa delle Settimane e nella festa delle Capanne (Dt 16,16). 
Poiché Gerusalemme è situata in montagna, a circa 800 metri sul livello del mare, recarsi in pellegrinaggio alla Città santa e quindi al tempio era sempre una salita. Da qui l’espressione «canti per/delle salite», una raccolta di canti come sussidio per accompagnare il cammino verso Gerusalemme. In questa prospettiva, i Salmi delle salite diventano il sussidio che può accompagnare il cammino di ogni uomo e di ogni donna in quel pellegrinaggio che è la nostra vita. In particolare i salmi delle salite ci mostrano il percorso di un uomo oppresso dalle angustie della propria vita (cf. Sal 120) verso la scoperta di una meta inattesa e sorprendente: la comunione con i fratelli e con Dio (cf. Sal 133-134) ritrovata nel tempio di Gerusalemme. I salmi di questa raccolta ci mostrano le tappe di questo cammino percorso da un pellegrino in un vero itinerario di purificazione e di riscoperta della propria fede. 

In cammino verso la Pasqua 

Il tema del pellegrinaggio è centrale anche nel Nuovo Testamento. In primo luogo possiamo riconoscere che anche Gesù ha vissuto come un pellegrino. Nel vangelo di Luca si afferma che egli si incammina decisamene verso Gerusalemme (Lc 9,51). La vita del Figlio di Dio è tutta riassunta nell’immagine del pellegrino che sale a Gerusalemme per vivere la sua Pasqua, il compimento della sua obbedienza al Padre. Compiendo un pellegrinaggio ogni discepolo, ogni discepola, si rende somigliante al suo Signore, che fu un pellegrino, in cammino verso il dono totale di sé e della propria esistenza. 
In questo senso il Nuovo Testamento definisce i credenti «stranieri e pellegrini» (1Pt 2,11). Questi due termini hanno certamente un significato legato alla condizione “sociale” dei cristiani che vivono in una società prevalentemente “pagana”; ma questi due termini, con i quali l’autore definisce i cristiani, hanno principalmente un significato profondamente religioso. I discepoli di Gesù, come il loro maestro, sono “stranieri e pellegrini” per identità. È significativo il testo della Lettera a Diogneto che descrive la vita dei cristiani: «Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri; rispettano e adempiono tutti i doveri dei cittadini, e si sobbarcano tutti gli oneri come fossero stranieri; ogni regione straniera è la loro patria, eppure ogni patria per essi è terra straniera» (Lettera a Diogneto, 5). 


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