Gianfranco Ravasi “Troppa superbia nella politica e sui social, oggi domina la negazione del confronto”
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intervista a Gianfranco Ravasi
a cura di Domenico Agasso
19 gennaio 2025
Il saggio del Cardinale dedicato all’alfabeto dei nostri vizi e delle nostre virtù con cui fare i conti.
Cardinale Gianfranco Ravasi, il titolo del suo nuovo libro, L’alfabeto dell’uomo (in uscita
martedì da San Paolo), suggerisce un itinerario tra i fondamenti dell’esistenza umana. Qual è
il messaggio principale che desidera trasmettere?
«È cruciale riuscire a definire ancora la figura della persona. Quando conduco il “Cortile dei
Gentili” tra credenti e non credenti, e il tema trattato è la natura umana, noto che non esiste più un
concetto condiviso. È quindi necessario riscoprire l’identità della persona.
In passato l’essenza era chiara, e da essa derivava l’agire. Oggi, non essendoci più un punto di
partenza certo, è necessario riprendere un discorso sull’alfabeto dell’uomo. In pratica, la domanda
decisiva è quella che apre la Bibbia: “Adamo, dove sei?”. E potremmo anche chiederci: “Adamo,
chi sei?”. Una delle vie principali per rifletterci è quella che ho adottato nel volume, in modo
semplice, anche divulgativo, utilizzando le categorie dei vizi e delle virtù, che rappresentano le due
dimensioni dell’uomo».
Il testo si sviluppa attorno al contrasto tra vizi e virtù. Come si può riscoprire il senso della
virtù senza cadere nel moralismo?
«Quando si parla di vizi, la tendenza è quella di considerarli come patologie psichiche,
riconducendoli a sindromi da trattare con la terapia. Il peccatore diventa un paziente, e il confessore
è sostituito dallo psicoterapeuta. Ma bisogna riconoscere che ci sono comportamenti che non
possono essere ridotti semplicemente alla dimensione psichica. La libertà umana, per esempio, non
è solo una questione di “puoi”, ma anche di “devi”, ed è qualcosa di strutturale. Non si può ridurre
tutto a un problema psicofisico. Allo stesso modo, le virtù sono spesso viste come categorie di un
passato ormai lontano,ma in realtà sono parte integrante della persona. Pensiamo alla giustizia.
Nella società contemporanea non è solo un concetto astratto, ma qualcosa di concretamente
applicabile, che riguarda temi basilari come lo sfruttamento lavorativo o l’ineguaglianza salariale.
Le virtù non sono moralistiche: sono identità personali che fanno parte dell’alfabeto dell’essere
umano».
Nell’introduzione lei parla di una società in cui non domina più l’immoralità, ma l’amoralità.
Quali sono i rischi di questa indifferenza etica?
«Quando si spogliano i vizi di una qualità morale e si riducono a questioni psicofisiche, si arriva
all’indifferenza, dove tutti i colori sono uguali. Già Isaia parlava di chi confonde il bene con il male.
Oggi regna una nebbia etica, dove i confini tra bene e male sono labili. Perciò diventa
imprescindibile riscoprire le categorie etiche di base per comprendere la vera essenza della persona
umana».
La superbia è indicata come il vizio capitale per eccellenza. Come si manifesta oggi?
«Si traduce nel rifiuto di ascoltare l’altro, nella prevaricazione, nell’imposizione della propria
verità. Oggi la vediamo nei dialoghi pubblici, nella politica, sui social, dove domina la negazione
del confronto».
Nel libro lei cita Dante, Esiodo, Shakespeare, ma anche Woody Allen e Karl Kraus. Quale
ruolo hanno oggi la letteratura e l’arte nella formazione morale dell’individuo?
«Sono fondamentali. La grande arte e la grande letteratura non si limitano a raccontare storie, ma
invitano a riflettere sul senso della vita. La Bibbia stessa è una grande opera letteraria che trasmette
un insegnamento morale oltre che spirituale. Attraverso simboli e metafore, letteratura e arte,
intrecciate con la religione, comunicano verità profonde. È bellissima la definizione dell’artista Paul Klee: l’arte non rappresenta il visibile, ma l’invisibile che è nel visibile. E mettendo la maiuscola a
“invisibile” si trova anche la descrizione della teologia, e della fede».
Papa Francesco ha parlato spesso di «peccati sociali», come l’indifferenza verso i poveri o
l’avidità nel mondo economico. Crede che oggi dovremmo aggiornare l’elenco dei vizi
capitali?
«Sì, penso che sia necessario. Alcuni vizi, come l’avidità e l’indifferenza verso i poveri, sono
diventati ancora più rilevanti. Penso poi all’ambito dell’ecologia, un campo che oggi deve essere
affrontato con urgenza, dato lo sfruttamento delle risorse naturali.
Inoltre, occorre rivedere virtù e vizi in relazione ai cambiamenti sociali e culturali, come il rispetto
per la libertà, la privacy e la lotta contro il razzismo. E l’intelligenza artificiale solleva nuovi
interrogativi etici che richiedono una riflessione profonda».
Lei affronta il tema dell’etica anche in relazione alla sessualità.
«La questione della sessualità è una delle sfide più complesse. È necessario ricostruire il concetto di
natura umana, che non può essere ridotto a un’idea rigida e statica, ma che riconosce anche la
dimensione culturale e relazionale dell’identità. Il dibattito sulla fluidità dell’identità di genere è una
delle espressioni di questa tensione tra essenza e cultura. Tuttavia, è importante non cadere nel
relativismo né nel moralismo rigido, bensì cercare un equilibrio che riconosca la dignità e la libertà
della persona».
La guerra in Ucraina e in altre parti del mondo sembra confermare che l’ira e la sete di
potere determinano ancora le vicende umana. La fede può essere una risposta?
«Questa guerra riflette vizi capitali come egoismo, superbia, orgoglio, ira e collera, da non
confondere con lo sdegno, che, invece, è una virtù, perché reagisce giustamente al male. La Chiesa,
pur non avendo potere politico, ha il compito di introdurre la carità nella storia, con azioni concrete
come il soccorso ai bambini e alle vittime. Le religioni hanno una funzione essenziale in tal senso».
Nella tregua, seppur fragile, a Gaza possiamo scorgere segni di speranza?
«Tutti auspicano la fine della logica dell’odio, che alimenta un circolo vizioso di morte e
distruzione. Il cristianesimo e le grandi religioni hanno molto da dire: non dimentichiamo il
comandamento “Ama il prossimo tuo come te stesso”, che Gesù ha portato oltre, fino ad “Ama i
tuoi nemici”. Il Pontefice lo ripete spesso: la guerra è una sconfitta per tutti. La vendetta nulla
risolve, prolunga solo il dolore. Questa tregua, per quanto fragile, è un segno di speranza, una luce
nel buio, in una tragedia iniziata il 7 ottobre 2023».
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