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Jean Louis Ska "Salmo 23. Il Signore pastore e oste"

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Piano di lavoro 2024/25

Salmo 23. Il Signore pastore e oste

1. Breve introduzione: un salmo e due immagini 

“Il Signore è il mio pastore” è forse il salmo più conosciuto e più cantato nella liturgia. Due cose sono da dire, però, sin dall’inizio a proposito del Salmo 23. Primo, l’immagine del pastore è presente in tutta la cultura del Vicino Oriente antico e anche nella cultura classica quando si parla dei dirigenti, governanti, e anche delle divinità. Ritroviamo l’immagine nell’allegoria del Buon Pastore nel vangelo di Giovanni (Gv 10,1-10). 
Ad esempio, il famoso re Hammurapi di Babilonia si chiama sé stesso “pastore del suo popolo” (Codice di Hammurapi, prologo 18), e ciò significa nello stesso tempo autorità sul popolo e cura del popolo, soprattutto dei più deboli. L’eroe mesopotamico Gilgamesh è presentato come “il pastore della suo ovile, la città di Uruk” (Gilgamesh I,86-87). I faraoni d’Egitto sono spesso rappresentati con, in mano, uno scettro che ha la forma del bastone dei pastori. Anche Omero usa l’immagine del pastore quando parla dei re greci, ad esempio a proposito di Agamennone, “pastore del suo popolo” (Iliade I,263 e almeno 53 volte). 
Tutto ciò per dire che il primo versetto del salmo ha un significato ben preciso: “Il Signore è il mio pastore – e nessun’altro sovrano, senza eccezione”. Nello stesso modo, quando Gesù dice: “Io sono il Buon Pastore” (Gv 10,11.14), afferma che egli è l’unico vero pastore, il pastore annunziato dai profeti, in particolare Ger 23,1-4; Ez 34,1-31. Il Salmo 23, quindi, suppone una scelta fra diverse autorità e, soprattutto la scelta di un’autorità suprema, superiore a tutte le altre. “Chi è il tuo pastore?” significa, pertanto, “Chi è il tuo Dio?”. 
In secondo luogo, il salmo non si limita all’immagine del pastore che occupa solo la prima parte del poema (vv. 1-4). Nella seconda parte del salmo appare un’altra immagine, quella di un oste che riceve l’orante come ospite alla sua mensa (v. 5). Vi è probabilmente un legame fra le due immagini: il pastore, come sovrano, riceve il suo fedele alla sua tavola e gli permette di vivere alla sua corte. Nell’Antico Testamento, sarà il caso del re di Giuda, Ioiakìn, esiliato in Babilonia, che sarà riabilitato e ammesso alla mensa regale secondo 2Re 25,27-30: “Ioiakìn prese sempre cibo alla presenza [del re di Babilonia] per tutti i giorni della sua vita” (2Re 25,27). 

2. Il pastore e i pastori 

La prima parte del salmo (vv. 1-4) descrive l’azione del pastore in favore del suo fedele. In poche parole, si tratta di una giustificazione del titolo “pastore”: il vero pastore – il vero sovrano – si assicura che non manchi nulla ai suoi sudditi. Segue una lista di liberalità che rimangono in linea con l’immagine del pastore e della pastorizia: procurare cibo e acqua (v. 2), guida su sentieri sicuri (v. 3), e protegge e difende in luoghi pericolosi (v. 4). Sono per lo più immagini tradizionali anche nel Vicino Oriente antico, applicate a Dio nel nostro salmo. 
Ritroviamo immagini simili, ad esempio, nella descrizione del re ideale del Salmo 72: “Abbondi il frumento nel paese, ondeggi sulle cime dei monti; il suo frutto fiorisca come il Libano, la sua messe come l’erba dei campi” (Sal 72,16). Il Secondo Isaia utilizza lo stesso linguaggio per parlare di Dio che guida gli esiliati durante il loro ritorno a Gerusalemme (1) : 

9 […] Essi pascoleranno lungo tutte le strade, e su ogni altura troveranno pascoli. 10 Non avranno né fame né sete e non li colpirà né l’arsura né il sole, perché colui che ha misericordia di loro li guiderà, li condurrà alle sorgenti d’acqua. 11 Io trasformerò i miei monti in strade e le mie vie saranno elevate (Is 49,9-11; cf. Ez 34,14-15). 

D’altro canto, il profeta Ezechiele condanna in un lungo oracolo i pastori malvagi e iniqui d’Israele: 

1 Mi fu rivolta questa parola del Signore: 2 «Figlio dell’uomo, profetizza contro i pastori d’Israele, profetizza e riferisci ai pastori: Così dice il Signore Dio: Guai ai pastori d’Israele, che pascono sé stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? 3 Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. 4 Non avete reso forti le pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. 5 Per colpa del pastore si sono disperse e sono preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate. 

La reazione divina non si fa aspettare. Dio in persona si prenderà cura del suo gregge: 

15 Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. 16 Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia (Ez 34,15-16). 

Sono immagini familiari che ritroviamo nella parabola della pecorella smarrita del vangelo (Lc 15,3-7; cf. Mt 18,12-14). Il vero pastore si preoccupa del benessere e della felicità del suo popolo, e interviene pertanto ogniqualvolta è necessario. Quando il vangelo di Giovanni parla del “Buon Pastore”, invita i suoi lettori a identificare Gesù di Nazaret con il pastore ideale annunziato in particolare da Ezechiele: 

23 Susciterò per loro un pastore che le pascerà, il mio servo Davide. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore. 24 Io, il Signore, sarò il loro Dio, e il mio servo Davide sarà principe in mezzo a loro: io, il Signore, ho parlato. 25 Stringerò con loro un’alleanza di pace e farò sparire dal paese le bestie nocive. Abiteranno tranquilli anche nel deserto e riposeranno nelle selve (Ez 34,23-25). 

Nel Nuovo Testamento, Gesù di Nazaret si presenta come il pastore annunziato da Ezechiele e dai profeti in Gv 10,1-14, e come un pastore diverso da quelli descritti in Ez 34: 

7 Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8 Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9 Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10 Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. 11 Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore» (Gv 10,7-11). 

Troviamo in questi testi una riflessione sui i criteri che permettono di distinguere dirigenti capaci di espletare degnamente la loro funzione. 

3. L’oste e i suoi ospiti 

Come detto sopra, vi è un probabile legame fra l’immagine del re-pastore e del re-oste perché il sovrano può invitare alcuni suoi fedeli o alcuni privilegiati alla sua mensa. Possiamo menzionare, ad esempio, Merib-Baal, nipote di Saul, nutrito alla tavola del re (2Sam 9,11; 19,29). Barzillài, uno dei benefattori del re, rifiuta un tale privilegio a causa della sua età (2Sam 19,32-39). Possiamo anche menzionare “i quattro cento profeti di Astarte che mangiano alla tavolo di Gezabele” (1Re 18,19) e il re Ioakìn di cui abbiamo parlato in precedenza (2Re 25,27-30). 
Il v. 5 del salmo contiene due elementi. Il primo è la cenno agli “avversari”, i “nemici” presenti in diversi salmi. Il salmista deve affrontare ostilità e, forse, deve rispondere a false testimonianze o false accuse. Cerca rifugio nel santuario così come si chiede al re di rendere giustizia. Si può pensare al famoso giudizio di Salomone (1Re 3,16-28; cf. 1Sam 12,1-7; 14,1-20; 15,2-4). Il salmista, ricevuto alla mensa del re-giudice, il Signore, si trova di fronte ai suoi avversari perché la sentenza emanata è stata a suo favore. Certo, non abbiamo molti particolari né sul “processo” né sugli avversari. Il salmo esprime la gratitudine di chi ha ottenuto dal Signore quello che desiderava. 
La seconda parte del versetto descrive alcuni riti di ospitalità: non si parla della lavanda dei piedi, forse perché fuori contesto, bensì dell’unzione (cf. Sal 104,15; Amos 6,6; Mi 6,15; Lc 7,46), e della presentazione di una coppa, forse di vino. È anche possibile leggere nel versetto un accenno a un rituale nel tempio, un sacrificio di ringraziamento accompagnato da una “coppa di salvezza”, così come nel Salmo 116: 

12 Che cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto? 
13 Alzerò la coppa della salvezza e invocherò il nome del Signore. 
14 Adempirò i miei voti al Signore, davanti a tutto il suo popolo (Sal 116,12-14). 

Nella conclusione del salmo (v. 6) – “Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, abiterò ancora nella casa del Signore per lunghi giorni” – il salmista si augura di poter godere per sempre dell’ospitalità divina nel santuario, oppure esprime la sua fiducia che il Signore gli permetterà di beneficiare della sua protezione durante tutta la sua vita. Il linguaggio simbolico, ricco di immagini, si presta a più di un’interpretazione. 

4. Qualche suggerimento per la meditazione 

“Il Signore – e nessun altro – è il mio pastore” è, in realtà, un’affermazione di fede. Possiamo chiederci anche noi chi è il nostro “pastore”, vale a dire dove cerchiamo concretamente appoggio, sostegno, aiuto nelle difficoltà? Dove ritrovare fiducia e speranza? E che cosa facciamo per aiutare persone scoraggiate, ogni tanto disperate? Nella Bibbia, quando si grida verso Dio, la risposta è “qualcuno”. Chi può essere il “qualcuno” che è la risposta di Dio ai gridi d’appello della nostra umanità sofferente? 
Il salmo traccia, in parte, il ritratto del “bon pastore”, del buon sovrano o del buon governante. Dio, ovviamente, è quel “bon pastore” ideale. Ci possiamo chiedere, alla luce di tale ritratto, qual è il tipo di autorità e di potere che ci auguriamo in questo mondo? Quali sono i nostri criteri di scelta? Dobbiamo rimettere in questione nel nostre scelte dopo aver letto il Salmo 23 o Ezechiele 34? 
Infine, che cosa significa, nel mondo di oggi, essere ospite del Signore? Che cosa significa essere ricevuto alla mensa del Signore? Come tradurre in un linguaggio moderno le espressioni dell’ultima parte del salmo: “Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, abiterò ancora nella casa del Signore per lunghi giorni” (Sal 23,6)? Come definire concretamente la “bontà” e la “fedeltà” che saranno le compagne del fedele? 

Note: 

1) A. Lancelotti, Salmi (1-41) (Nuovissima Versione della Bibbia 18.1; Roma: Edizioni Paoline, 1977) 193.


Breve bibliografia sui Salmi 

Alonso-Schökel, Luis – Cecilia Carniti, I Salmi. Edizione italiana a cura di Antonio Nepi. 2 vol. (Commenti biblici; Roma: Borla, 1992-1993). 

Lancellotti, Angelo, I Salmi. Versione - introduzione – note. 3 vol. (Nuovissima versione della Bibbia dai testi originali 18; Roma: Paoline, 1984).* 

Lorenzin, Tiziano, I Salmi. Nuova versione, introduzione e commento (I libri biblici. Primo Testamento 14; Milano: Paoline, 2000, 2 2002). 

Mays, James Luther, Salmi (Strumenti 50; Torino: Claudiana, 2010).* 

Ravasi, Gianfranco, Il libro dei Salmi. Commento e attualizzazione. 3 vol. (Bologna: Dehoniane, 1981-1984). 

Scippa, Vincenzo, Salmi. Introduzione e commento (Dabar, logos, parola. Lectio divina popolare; Padova: Messaggero, 2002-2003).* 

Viganò, Lorenzo, Il Libro delle Lodi = Sefer Tehilim. Il messaggio del Salterio (Senza luogo: Lorenzo Viganò, 2016). 

Weiser, Artur, I Salmi. Traduzione e commento. I: Ps. 1 – 60. II: Ps. 61 – 150 (AT 15; Brescia: Paideia, 1984). 

Per iniziare la lettura, meglio prendere i volumi di A. Lancelotti, J.L. Mays o V. Scippa, più semplici e meno tecnici.




Le sei meditazioni proposte da padre Jean Louis Ska:
  1. Salmo 1
  2. Salmo 27
  3. Salmo 103
  4. Salmo 23
  5. Salmo 122
  6. Salmo 139
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