Sabino Chialà "Credi tu questo?"
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Lugano, domenica 19 gennaio 2025
Anche quest’anno ci è data la grazia di vivere insieme un momento di preghiera condivisa tra cristiani appartenenti a Chiese e tradizioni diverse. Dico la grazia, perché di questo si tratta! Ed è bene che ce lo ridiciamo. C’è infatti il rischio di vivere momenti come questo per abitudine o, peggio ancora, con una vena di scetticismo, ritenendoli momenti puramente celebrativi e di nessuna efficacia. Momenti di cui si avverte più il peso che la grazia.
E invece no! Siamo qui, insieme, per rendere grazie di una comunione che, benché non ancora piena, è tuttavia reale e di una fraternità che non è mai scontata. Dovremmo ricordarcelo soprattutto in tempi come questi, abbrutiti dalle tante guerre che si combattono anche accanto a noi. Sappiamo infatti per esperienza che quando smettiamo di incontrarci, quando viviamo ignorandoci, anche senza volerlo, alimentiamo un vuoto in cui, presto o tardi, troverà terreno fertile la violenza.
Quest’anno la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani apre un tempo particolare per i cristiani: il 1700esimo anniversario del primo concilio ecumenico, il concilio di Nicea del 325. Inoltre, per una particolare coincidenza di grazia, cristiani d’Oriente e d’Occidente, quest’anno avremo la gioia di celebrare la Pasqua alla medesima data.
Sono solo segni, ma che ci ricordano la direzione verso la quale siamo chiamati a camminare e il desiderio che non dobbiamo smettere di coltivare: la riconciliazione e il ristabilimento della piena comunione tra le nostre Chiese.
Ma da dove cominciare e dunque cosa mettere a fondamento del nostro cammino verso la piena comunione? La domanda non è inutile né peregrina, perché l’unità la si può desiderare e ricercare per le ragioni più diverse, e noi sappiamo che la ragione per cui si persegue un qualsiasi obiettivo non è indifferente.
La ricorrenza del 1700esimo anniversario del concilio di Nicea può indicarci la via. A Nicea si è celebrato il primo concilio che, insieme a quello di Costantinopoli del 381, costituisce l’unico evento conciliare ad essere riconosciuto da tutte le Chiese d’Oriente e d’Occidente. In questi due concili è stato anche fissato il testo del Credo che esprime la fede che tutte le Chiese confessano, il Credo Niceno-Costantinopolitano.
Ecco dunque l’indicazione: l’unità va cercata nella fede e non in altro. Non tanto in una formula - anche se i testi restano importanti - ma nel mistero che confessiamo e celebriamo, e nel quale cerchiamo ispirazione per la nostra vita e per l’unità sperata.
Credo importante ribadire questo orientamento, che dissente da quanto invece non di rado e sempre più frequentemente si sente ripetere, che cioè nella fede non troveremo mai un accordo, perché le differenze sono troppo grandi, perché per secoli abbiamo camminato per vie diverse sviluppando idee e visioni teologiche troppo distanti. Di conseguenza, sarebbe più realistico ridimensionare le aspettative e accontentarsi di quella certa unità che può esprimersi nella collaborazione in questo o quel campo di azione e servizio, o nella lotta contro questo o quel presunto nemico comune.
Si tratta di scorciatoie inefficaci e soprattutto pericolose. Certo la collaborazione è sempre utile e valida, ma solo se ha a fondamento una comune ricerca di fede! Anche la testimonianza comune è importante, ma solo se è ispirata dal Vangelo e se offerta secondo i modi di Cristo, e dunque si nutre di fede.
Quella che siamo chiamati a ricercare e coltivare, dunque, non è un’unità strategica, magari contro altri e in difesa di presunti valori cristiani, ma un’unità nell’unico Signore di cui vogliamo tutti diventare sempre più discepoli.
Le strategie ci hanno sempre divisi. Sono state infatti proprio queste - strategie politiche o di politica ecclesiastica - a lacerare la Chiesa, anche se poi abbiamo astutamente ricoperto tutto di teologia! Lo vediamo ancora oggi: non è la fede a contrapporre popoli cristiani in lotta tra loro, ma interessi umani, strategie politiche e alleanze, che presto o tardi troveranno soccorso in argomenti teologici. La storia mostra quanto siamo abili nel verniciare tutto di valori, principi, belle parole in difesa di questo o quel comportamento giudicato cristiano o non cristiano. Non è Cristo né la fede in lui che ci ha divisi e ancora ci divide, bensì le nostre miserie umane, che presto ricopriamo di ragioni più presentabili.
O dunque fondiamo in Cristo l’unità desiderata, oppure quello che oggi ci unisce domani ci metterà gli uni contro gli altri. Ce lo ricorda molto saggiamente un’immagine ben nota che ci viene da un padre della Chiesa, Doroteo di Gaza, che così indica la via verso l’unità:
Immaginate che per terra vi sia un cerchio, una linea circolare tracciata con un compasso dal punto centrale. Si chiama centro il punto che sta proprio in mezzo al cerchio. Prestate attenzione a quel che vi dirò. Immaginate che questo cerchio sia il mondo, il punto centrale del cerchio Dio e i raggi che dalla circonferenza vanno al centro siano le vie cioè i modi di vivere degli uomini. Poiché dunque i santi, spinti dal desiderio di avvicinarsi a Dio, avanzano verso l’interno, quanto più avanzano, tanto più si avvicinano gli uni agli altri. Quanto più si avvicinano a Dio, tanto più si avvicinano gli uni agli altri; e quanto più si avvicinano gli uni agli altri, tanto più si avvicinano a Dio. E immaginate nello stesso modo la separazione. Infatti è chiaro che quando si separano da Dio e ritornano verso l’esterno, quanto più escono e si allontanano da Dio, tanto più si allontanano gli uni dagli altri; e quanto più si allontanano gli uni da gli altri tanto più si allontanano anche da Dio (Insegnamenti spirituali 77-78).
A partire da questa considerazione possiamo intendere anche il senso di quanto i padri del concilio di Nicea hanno inteso fare. Certo, si tratta di un evento cui va riconosciuto l’indubbio valore politico. Quel concilio fu voluto dall’imperatore Costantino, che aveva intuito la grande risorsa che il cristianesimo costituiva per la coesione dell’impero. È lui infatti che volle e convocò il concilio. Ma nell’evento sinodale di Nicea cogliamo anche l’azione dello Spirito, che ha guidato comunità divise e disorientate verso una compaginazione lenta e faticosa ma che ha portato il suo frutto. Un’unità, appunto, ritrovata nella fatica di dire insieme l’essenziale della propria fede.
È così che nasce il Credo di Nicea: dal desiderio di confessare insieme l’essenziale irrinunciabile. Ed è da lì che anche noi, a 1700 anni di distanza, possiamo ripartire, per percorrere ciascuno il proprio cammino, in una diversità riconciliata. Le vie saranno diverse, perché diversi i luoghi, le storie, i contesti culturali, le tradizioni e le sensibilità, ma condivisa la fonte cui tutti tornano a ritrovare senso e forza. Una fonte che non si esaurisce in un insieme di parole o di concetti, realtà cui spesso riduciamo il Credo, ma che è l’essere stesso di Dio e il suo comunicarsi agli umani, secondo modalità che quelle parole e quei concetti tentano di indicarci.
Il Credo Niceno-Costantinopolitano non consiste infatti in una formula asettica o magica, anche se è così che spesso lo avvertiamo nella recita distratta delle nostre celebrazioni. Come un susseguirsi di parole distanti dalla nostra sensibilità e sempre meno comprensibili, che poco o nulla hanno a che fare con la nostra vita.
Proviamo invece a scorgere in esse come una traccia, una mappa per esplorare la qualità della nostra fede, a partire dalla domanda scelta come titolo di questa Settimana di preghiera: “Credi tu questo?”. Una domanda rivolta a ciascuno di noi!
Credi tu questo? Cioè innanzitutto: Credi in un Dio di resurrezione? L’espressione che dà il titolo all’intero percorso è infatti tratta dal dialogo tra Gesù e Marta, la sorella di Lazzaro. Gesù interroga Marta sulla sua fede non nella resurrezione dell’ultimo giorno, ma in quel Gesù che le sta dinanzi e che è lui stesso potenza di resurrezione. Credi tu in un Dio di vita qui ed ora?
Di questo Dio di vita dà conto il testo del Credo, attraverso le singole espressioni di cui si compone, che vanno accolte, appunto, come tracce più che come formule. Per questo, preparando il sussidio per la Settimana di preghiera, abbiamo evitato di commentare le singole espressioni del Credo, preferendo cercare di farne emergere i temi, che costituiscono come le tessere di un Volto. Invitando così a misurare su di essi l’immagine di Dio che ci portiamo dentro, nella convinzione che dal Dio in cui crediamo dipende la qualità della nostra vita umana e spirituale.
E dunque: credi tu… che Dio è Padre, e non un tiranno o un padrone spietato? Un Padre che si prende cura dei suoi figli. Padre capace di compassione. Un Padre che è anche madre, come dice Clemente di Alessandria.
Credi tu… che egli è il creatore del cielo e della terra e dunque che tutto ciò di cui si compone questa creazione non gli è estraneo ma proviene da lui e dalle sue mani continua ad essere custodito? La creazione essendo il primo libro che Dio offre da leggere agli esseri umani, come dice Isacco di Ninive, affidandolo quindi alla loro custodia.
Credi tu… nel Figlio di Dio, che è pienamente Dio e pienamente uomo? Per questo egli è in piena comunione con il Padre e in piena comunione con noi esseri umani, che in lui abbiamo accesso all’essere stesso di Dio e in lui diventiamo anche noi figli.
Credi tu… che il Figlio ha accettato di essere crocifisso per noi e di morire per noi? Per quella via egli ha mostrato fino a che punto si spinge l’amore di Dio per le sue creature. Ha rivelato, iconicamente, l’immensità della compassione di Dio per l’umanità intera.
Credi tu… nello Spirito santo che è potenza di vita? Non solo lo Spirito è all’origine della nostra esistenza, ma resta la forza che muove ogni essere. È lui che ci fa esistere, e che anima e rinnova ogni frammento di questa creazione.
Credi tu… che noi tutti siamo parte di una medesima comunità di credenti, la Chiesa? Questo ci ricorda che non siamo soli e che non è possibile credere da soli. Abbiamo bisogno gli uni degli altri e ogni Chiesa ha bisogno delle altre Chiese. Anche se ancora divisi, continuiamo dunque a credere e a sperare nel ristabilimento dell’unità anche visibile della Chiesa che è una, santa, cattolica e apostolica.
Credi tu… in un solo battesimo, nel quale siamo fatti creature nuove? Il battesimo come inizio di una nuova esistenza, immersione nel mistero pasquale, che è segno della potenza del perdono di Dio, che ci fa rinascere a vita nuova.
Credi tu… la resurrezione dei morti, e vivi ancora nell’attesa del Signore che torna alla fine dei tempi? Oggi più che mai abbiamo bisogno di ridestare questa attesa del compimento, essenziale nella vita del credente. Il Signore ha promesso che un giorno tornerà nella gloria per portare a compimento la sua opera. A noi chiede di non stancarci di attenderlo.
Questa è la nostra fede comune e intorno a questa fede, oggi ancora, noi credenti di ogni Chiesa siamo chiamati a rinsaldare i legami fraterni. Non intorno ad alleanze strategiche, ma facendo ritorno all’essenziale della nostra fede. Fede nel Dio, che è Padre, Figlio e Spirito santo; e che, per amore nostro, ha preso carne, si è fatto uno di noi, mescolandosi con noi, entrando nella nostra vita.
La commemorazione del primo Concilio ecumenico ci aiuti a riorientare i nostri sguardi su Gesù, immagine del Padre e nostro fratello, e a ritrovare in lui la forza della nostra comunione: comunione tra noi e tra le nostre Chiese.