Umberto Galimberti si confessa: “Le idee hanno avuto il sopravvento, imprigionandomi”
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2 Ottobre 2025
di Rita Balestriero
Ha scritto e venduto innumerevoli libri (il prossimo è sulla verità), rendendo attraente la filosofia. A 83 anni riempie i teatri come una rockstar, ma dopo ogni bagno di folla arriva la depressione. La soluzione? “Rimettermi subito al lavoro, i ricordi buttano giù”.
Lo scroscio della pioggia quasi copre il borbottìo del caffè. "Ora rifaccio la moka, perché quella da uno è la migliore", dice il filosofo e psicoanalista offrendoci la prima tazzina. L’appartamento al sesto piano nel quartiere di Lambrate, Milano, è quello di una vita. Non ci sono foto "perché guardarle mi rattrista", ma in compenso ci sono i libri, tantissimi libri, libri ovunque. "Quelli su Marx li ho prestati tutti a mio nipote". Ne ha tre, due maschi e una femmina, e con il clan – come chiama lui la famiglia – ha trascorso le vacanze in Grecia, "ma non riesco a starci troppo, poi mi annoio".
Nuota?
"Moltissimo, ma solo al mare, le pinne sono la prima cosa che metto in valigia. Da quando sono tornato, però, ogni mattina faccio mezz’ora di camminata veloce: come dice Aristotele, “finché cammini sei vivo”".
Vale anche per la scrittura?
"Sa che non guardo più i libri con amore? Se penso a quelli che ho scritto mi sembrano catene: mi hanno imprigionato costringendomi a non imparare a vivere".
In che senso?
"Se per caso oggi mi innamorassi, la mia compagna vorrebbe trascorrere il weekend insieme, ma io non ho idea di cosa si faccia nel tempo libero. Si va a mangiare qualcosa e poi?".
Un cinema?
"Non ci vado dal 1960. La verità è che per me e mia moglie le idee hanno sempre avuto il primato rispetto al mondo della vita".
Se ne è pentito?
"L’opera d’arte richiede il sacrificio dell’artista: quanti ne sono impazziti? Lo capisco, non rinnego niente, però a volte mi chiedo perché proprio io?"
Non è stata una sua scelta?
"Non ho mai scritto un libro per ottenere qualcosa, ma perché mi sono venute delle idee forti che hanno preso il sopravvento. Per esempio, quando ho capito che il nostro mondo sarebbe finito ho scritto
Il tramonto dell’Occidente (1975), dopo aver visitato i manicomi è nato Psichiatria e Fenomenologia (1979). A riflettere su Gli equivoci dell’anima (1987) sono arrivato dopo una serie di lutti, è stata una necessità".
E Psiche e techne?
"Era la fine degli anni 90, l’unico che lo capì fu Eugenio Scalfari. Disse che quel libro avrebbero dovuto leggerlo in tutte le scuole perché anticipava il futuro. E così è stato".
Quale la inorgoglisce di più?
"Il Dizionario di psicologia (1992) è stata un’impresa grandiosa. Visto che le mie conferenze fanno sempre il pienone, Feltrinelli voleva trascriverle in brevi saggi, hanno fatto delle prove ma non funzionavano, quindi ho proposto di scrivermeli io. Le disavventure della verità (Feltrinelli, in libreria da inizio novembre) sarà il primo di una serie".
Un tema centrale di questi tempi.
"Quando ho riletto le bozze con la mia editor mi sono accorto che forse è un po’ difficile, però in fondo non mi dispiace che la gente sia costretta a spremere il cervello".
Gira l’Italia in tour come una rockstar, le sue conferenze vanno sold out: è più facile ascoltarla che leggerla?
"Il mio obiettivo è ipnotizzare il pubblico per un’ora e mezza. Per non interrompere la magia non bevo nemmeno e imparo tutte le citazioni a memoria, perché se mi metto a leggerle su un foglio la gente si annoia. Devo catturare chi è in sala".
E come fa?
"Li guardo. Non voglio mai le luci sul palco, quelle che accecano, le faccio puntare sul pubblico così riesco a vedere le facce. Il problema è che in prima fila mettono sempre il sindaco e l’assessore, non ci sono mai i giovani, quelli stanno nel loggione perché costa di meno".
Dicono che a ogni conferenza venda un sacco di libri.
"È vero, circa 150. Li comprano perché piace avere la dedica".
E cosa scrive?
"“Ad Antonio”, quindi faccio la mia firma e scrivo la data. Chiedere il nome fa la differenza".
Da cosa?
"I colleghi che non lo fanno ne vendono meno".
È diventato uno status symbol?
"Mio malgrado, sono diventato una star dei social. Qualcuno posta i miei video e diventano virali: le condivisioni sono altissime".
Cosa le dà l’amore del pubblico?
"La depressione. Ci ricasco dopo ogni conferenza. Il pubblico osannante che ti guarda come se fossi Padre Pio, gli applausi… poi però si spengono le luci, vai a mangiare alle 23 e le cucine sono già chiuse quindi al massimo rimedi un tagliere, entri nella camera d’albergo e il giorno dopo riprendi il treno, torni a casa e ti ritrovi solo in questo museo di libri. Adesso che lo so, cerco di organizzare 4-5 conferenze una di seguito all’altra così almeno mi deprimo una volta sola".
Pensavo che l’affetto delle persone in qualche modo le facesse piacere.
"Ma no, perché è una relazione anonima. Io credo solo nei rapporti duali, non in quelli plurali. Quando parli con un amico puoi fare un discorso intenso, se arriva un terzo si finisce a chiacchierare del tempo".
Come affronta la depressione?
"Non è che mi dura un granché perché mi rimetto subito al lavoro. Scrivere aiuta: l’ideazione dà gratificazione, quando trovi una bella idea l’abbracci. Ma è una patologia, lo so".
Da quanto le succede?
"Ho perso l’entusiasmo con la morte di mia moglie (nel 2008, ndr), la mia donna-destino. Tatjana era il mio punto di decisione, anche nel lavoro".
Lei però era una scienziata.
"Sì, ma era curiosa. Se per esempio avevo due versioni di una certa cosa mi avvicinavo, magari mentre cucinava, e gliele leggevo, lei dava la sua opinione e io non ci pensavo più. Tutti per vivere abbiamo bisogno di un testimone, qualcuno che ci guardi".
All’inizio dell’estate ha subìto un’operazione all’intestino. Ha avuto paura?
"No, mi è solo seccato perché ho dovuto cancellare 12 conferenze".
Torniamo lì... Quando si è accorto di essere un bravo oratore?
"Mai".
Non avrà la sindrome dell’impostore?
"Ma no, lo so che sono il più bravo di tutti, ma non ho mai investito in questa cosa perché non l’ho mai desiderata. Qual è il compenso? I soldi non sono un vero riconoscimento".
Che rapporto ha con il denaro?
"Se uno mi frega 5 centesimi nel resto delle sigarette mi fa andare fuori di testa, ma se invece devo comprare una casa per mia figlia, ai soldi non penso nemmeno. È così perché sono nato povero, al tempo contavano gli spiccioli e lì si è attaccata la nevrosi".
Guarda spesso indietro?
"I ricordi buttano giù. Se per te il passato è stato il momento più felice della vita, allora resta un passato che non passa e immaginare un futuro diventa molto difficile".
Lei dice anche che il futuro è un problema culturale.
"Gli orientali e i musulmani non hanno un’idea di futuro, per loro c’è piuttosto il destino, Inshallah, se Dio vorrà. Per noi occidentali, invece, è una macchina infernale: il cristianesimo ha detto che lì c’è la salvezza, la scienza il progresso, Marx la giustizia sociale, Freud la guarigione di tutti i mali del passato. E allora è chiaro che se ai giovani togli il futuro – come accade adesso – li porti al nichilismo".
E il suo, di futuro?
"Rimettermi al lavoro, devo prepararmi per la prossima conferenza".