Vito Mancuso “L’intelligenza artificiale è un prodotto umano, nella religione ha senso se promuove la libertà”
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La tecnologia dovrebbe promuovere una genuina ricerca, non incrementare solamente il proselitismo.
Invitato a commentare le svariate applicazioni dell’intelligenza artificiale nell'ambito
religioso, la mia reazione immediata è stata istintivamente negativa. Ma com’è possibile? -
pensavo - persino qui, dove lo Spirito dovrebbe ispirare sovranamente senza nessuna
mediazione di sorta, si arriva a sovrapporre l’artificialità della mediazione, neppure più
umana ma freddamente tecnologica e meccanica? Poi, però, ho cominciato a riflettere con
più calma, e ho intravisto anche alcune possibilità positive, per cui alla fine, alla domanda
su come giudicare l’uso dell'intelligenza artificiale nella pratica religiosa, la mia risposta è
un laconico “dipende”.
Ho reagito negativamente in prima battuta perché sono e rimango convinto che il fine
dell'esperienza religiosa consiste nella suscitazione e nella coltivazione della dimensione
spirituale, intendendo per “spiritualità” la nascita e la gestione della libertà, la quale cessa
di agire in modo arbitrariamente individualistico e inizia ad agire rapportandosi a un
senso più giusto e più vero tradizionalmente detto Dio ma che può essere chiamato anche
Logos, Dharma, Tao e in altri modi ancora. Senza libertà personale (intesa come
consapevolezza, creatività e responsabilità) non ci può essere vera esperienza spirituale: lo
indica già il termine “spirito”, che originariamente significa “vento”, l’elemento naturale
più libero e imprevedibile che esista (come appare nel latino “spiritus”, nel greco
“pneuma”, nell’ebraico “ruah”, nel sanscrito “atman”), a contrassegnare esattamente la
strettissima connessione tra spiritualità e libertà. Senza libertà non esiste spiritualità. Si dà,
semmai, solo religione, più precisamente una religione vissuta come inquadramento della
mente in una serie di dottrine e come disciplina del corpo secondo una serie di precetti,
cioè qualcosa di molto impoverente dal punto di vista della fioritura dell’umanità.
Si tratta quindi di comprendere se l'intelligenza artificiale favorisca o no la libertà
personale, e d’istinto io sono portato a rispondere di no, perché la libertà nasce solo a
partire dal lavoro compiuto in prima persona, mentre, se è un altro a lavorare per noi
dandoci le risposte già fatte e guidandoci dove vuole, essa diminuisce e alla fine persino
scompare (ci si ricordi della dialettica servo-padrone illustrata da Hegel nella
“Fenomenologia dello spirito”).
Poi però mi sono detto: ma questa ingombrante mediazione dell'intelligenza artificiale
non è forse analoga all'altrettanto ingombrante mediazione della Chiesa e delle altre
istituzioni religiose? E, ancora più radicalmente, non è analoga alle mediazioni ancora più
ingombranti dei libri sacri, quali la Bibbia ebraica e il Talmud, il Nuovo Testamento, il
Corano, i Veda e altri ancora? E perché mai l'intelligenza artificiale dovrebbe di per sé
risultare più limitativa per la libertà del soggetto rispetto alle parole di un leader religioso
durante la predica della domenica o del sabato o del venerdì? Anzi, forse l'intelligenza
artificiale (se le applicazioni che ne fanno uso impostano a dovere l’algoritmo che la
governa) può persino diminuire le manipolazioni “umane troppo umane” che spesso
abbondano nella predicazione religiosa ordinaria. Prendiamo il tema, tutt’altro che
inattuale, della violenza a sfondo religioso. Non ci sono dubbi che nei libri sacri,
soprattutto in quelli delle religioni monoteiste, vi sono una serie di testi che presentano
una forte dose di violenza e di odio: ebbene, come si comporta l’intelligenza artificiale di
fronte a questi testi? Li presenta come tutti gli altri senza nessun commento particolare,
essendo anch’essi oggetto della rivelazione divina? O addirittura li esalta per combattere
anche oggi i nemici della vera religione? Oppure li omette? Oppure li segnala come
velenose contaminazioni umane da cui prendere le distanze? Se l’intelligenza artificiale
seguisse quest’ultima via potrebbe trasformarsi in un valido strumento per favorire la pace del mondo. Lo stesso vale per altri temi, quali il giudizio sulle altre religioni, il ruolo della
donna, l’istituzione del matrimonio, l’omosessualità, l’educazione dei figli.
Il punto vero, quindi, è la confezione (umana) dell’algoritmo che governa
l’applicazione. Un conto è se viene finalizzata a promuovere la libertà e la genuina ricerca
spirituale, un altro conto se incrementa un sistematico proselitismo; un conto se è
finalizzata al dialogo interreligioso all’insegna del rispetto delle altre religioni, un altro
conto se favorisce l’ostilità verso le religioni diverse dalla propria. E così via per ogni altra
tematica. Per quanto “artificiale”, quindi, l’intelligenza trasferita nell’ambito religioso
rimane sempre una produzione umana e per questo occorre analizzare ogni singola
applicazione e verificare come effettivamente funziona e cosa effettivamente produce negli
utenti. Non si tratta cioè che di applicare l’antico insegnamento di Gesù: “Dai loro frutti li
riconoscerete”.