Umberto Galimberti “È l’età della tecnica che ha cancellato storia e memoria”
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Alessandro Baricco ha posto su Repubblica una domanda fondamentale. È davvero finito il Novecento? Siamo davvero entrati in un’epoca nuova? La sua risposta è sì. Il Novecento è ormai un “animale morente”, ma subito aggiunge che non c’è niente di più pericoloso di un animale morente. Credere infatti che la guerra sia?una soluzione, che la sofferenza e la morte dei civili è un prezzo tutto sommato accettabile, che imperialismo e colonialismo sono ancora in atto e da perseguire sia pure in altre forme, che nazionalismo e culto dei confini sono valori irrinunciabili, questi sono tutti tratti tipici della cultura novecentesca: le zampate dell’animale morente. Eppure qualcosa di nuovo si annuncia se solo consideriamo che i massacri di Gaza, la carestia indotta e la fame usata come arma di guerra hanno portato in piazza i giovani che non hanno conosciuto il Novecento e che, da nativi digitali, appartengono a una cultura che abbatte confini e territori facendo perdere la loro consistenza e, con essa, la ragione delle guerre del Novecento.
Io penso che la novità del nuovo secolo porti alla sua massima espressione quello che era stato preparato nella seconda metà del Novecento dopo la fine della guerra mondiale. Questa novità si chiama “Spaesamento”, e consiste nell’assoluta impossibilità di reperire un senso del tempo, di un’epoca e perfino della propria vita. Una condizione che l’umanità occidentale, a quanto ne sappiamo, non ha mai vissuto. I Greci, infatti, avevano come orizzonte di senso la “Natura” che al dire di Eraclito è quello «sfondo immutabile che nessun uomo e nessun dio fece. Sempre è stata, è, e sarà». Contemplando la natura l’uomo può trarre le leggi per governarla e per costruire una città secondo natura e una conduzione della vita secondo natura.
La tradizione giudaico-cristiana, seconda radice dell’Occidente, ha come orizzonte di senso la “Parola di Dio” che iscrive il tempo in un disegno di salvezza. E quando il tempo è iscritto in un disegno nasce la “storia” che prevede il passato come male (peccato originale), il presente come redenzione e il futuro come salvezza. La scienza pensa allo stesso modo: il passato è ignoranza, il presente è ricerca, il futuro è progresso. Cristianesimo laicizzato. Anche Marx può essere considerato un cristiano dal momento che pensa che il passato sia ingiustizia sociale, il presente chiede di far esplodere le contraddizioni del capitalismo e il futuro giustizia sulla terra. Anche Freud, che scrive un libro contro la religione (L’avvenire di un’illusione) pensa che traumi, nevrosi e psicosi abbiano la loro origine nel passato (l’infanzia), nel presente terapia e nel futuro guarigione. Tutto è cristiano in Occidente, perché il cristianesimo non è solo una religione, ma una cultura, un modo di pensare proiettato nel futuro, capace di portare rimedi ai mali del presente.
Nel Seicento con la nascita del metodo scientifico si inaugura l’età moderna che pone come orizzonte di senso la “Ragione” che si deve emancipare dalle superstizioni, dalla religione, dalle opinioni diffuse ma non fondate, fino all’invito di Kant, in epoca illuminista: “sapere aude”: abbi il coraggio di pervenire al sapere con gli strumenti della ragione. Il motto dell’età moderna è «chi pensa bene fa il bene», ma come ci ricorda Miguel Benasayag, «il nazismo ha dimostrato che si può pensare in maniera eccellente anche il male».
Fine dell’età moderna e nascita dell’età post-moderna che io chiamo “età della tecnica”, perché è proprio nella seconda metà del Novecento che la tecnica conferma quel teorema di Hegel secondo il quale quando un fenomeno aumenta quantitativamente non abbiamo solo un aumento quantitativo di quel fenomeno, ma anche un radicale mutamento qualitativo del paesaggio. Un terremoto di due gradi della scala Mercalli forse neppure lo avvertiamo, mentre un aumento quantitativo dell’intensità del terremoto trasforma qualitativamente il paesaggio in un cumulo di macerie.
Oggi la tecnica, per effetto del suo aumento quantitativo, non è più un “mezzo” a disposizione dell’uomo come comunemente si crede, ma è un “mondo”, e il concetto di “mezzo” è radicalmente diverso dal concetto di “mondo”. Quando la tecnica era modesta, l’uomo si poneva dei fini e andava alla ricerca dei mezzi tecnici per realizzarli. Oggi, per effetto del suo aumento quantitativo, la tecnica non è più un “mezzo”, ma è il primo “fine” da raggiungere e perfezionare, perché tutti gli scopi che gli uomini possono proporsi non sono raggiungibili se non attraverso la mediazione tecnica. In questo modo la tecnica si sostituisce all’uomo perché l’uomo può scegliere i suoi fini solo all’interno delle possibilità che la tecnica rende disponibili.
Parlo di “spaesamento” generato dall’età della tecnica perché la tecnica non tende a uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela la verità: la tecnica “funziona”, e siccome il suo funzionamento è diventato planetario, occorre rivedere alla radice i concetti umanistici di individuo, identità, libertà, salvezza, verità, senso, scopo, ma anche quelli di natura, etica, politica, religione, storia, di cui si nutriva l’età pre-tecnologica e che ora dovranno essere riconsiderati, dismessi o rifondati dalle radici.
La tecnica non visualizza la natura come nostra dimora, ma come materia prima da usare, come dice Heidegger, fino all’usura. O come diceva un secolo fa Max Weber: questo consumo incontrollato continuerà «finché non avremo consumato l’ultimo quintale di carbon fossile». Nell’età della tecnica l’etica diventapat-etica, perché come fa a impedire alla tecnica che può, di non fare ciò che può? Può invocare o ritardare di qualche tempo l’applicazione delle scoperte tecniche, ma in nessun modo impedirle.
La politica che Platone chiamava “tecnica regia” perché, mentre le tecniche sanno come si fanno le cose, la politica decide se e perché si devono fare, nell’età della tecnica non è più il luogo della decisione. La politica per decidere guarda l’economia, la quale a sua volta non è l’ultima istanza della decisione, perché per i suoi investimenti guarda le novità tecnologiche, per cui l’istanza decisionale passa alla tecnica, la quale, come abbiamo visto, non ha scopi. Della tecnica si potrebbe dire quello che Nietzschediceva della volontà di potenza: «Cosa vuole la volontà di potenza? Vuole sé stessa». Cosa vuole la tecnica? Vuole unicamente il suo auto-potenziamento.
La tecnica ha reso, e sempre di più renderà, l’uomo “a-storico”, perché la storia è una narrazione dove gli accadimenti sono iscritti in una trama di senso, mentre, rispetto alla memoria storica, la memoria tecnica è solo “procedurale” e quindi traduce il passato nell’insignificanza del “superato” e accorda al futuro il semplice significato di perfezionamento delle sue procedure. I Greci, che avevano inaugurato l’etica del limite («chi conosce il suo limite non teme il Destino») avevano incatenato Prometeoche aveva portato la tecnica agli uomini rendendoli, come scriveEschilo, «da indifesi e muti in padroni delle loro menti». Noi invece, come dice giustamente Gadamer, l’abbiamo “scatenato”. E se per gli antichi l’imprevedibile che metteva angoscia era imputabile a un difetto di conoscenze, oggi per noi dipende dall’eccesso delle nostre capacità di fare enormemente superiore alle nostre capacità di prevedere gli effetti del nostro fare. E così ci muoviamo come a mosca cieca.
Questa condizione di spaesamento è stata preparata nella seconda metà del Novecento se è vero che Günther Anders, un allievo ebreo di Heidegger che, per sfuggire alle persecuzioni naziste si era trasferito in America, dove andò a lavorare alla Ford per guadagnarsi il pane, negli anni Quaranta scriveva al suo maestro: «Lei mi ha insegnato che l’uomo è il pastore dell’essere. Io qui alla Ford sono il pastore delle macchine, e le posso assicurare che nel rapporto uomo-macchina, la guida è già passata alla macchina».
Questa è la ragione per cui, coerentemente, Günther Anders nel 1956 pubblicherà su questo tema il primo volume intitolato L’uomo è antiquato a cui seguirà il secondo volume nel 1963, mentre il suo maestro Heidegger nel 1966, nell’intervista rilasciata allo Spiegel dirà: «Non c’è bisogno della bomba atomica per sradicare l’uomo dalla Terra. Lo sradicamento dell’uomo è già fatto. Tutto ciò che resta è una situazione puramente tecnica. Non è più la Terra quella su cui l’uomo oggi vive». Queste date che abbiamo riportato ci dicono che il primo secolo del nuovo millennio non ha fatto altro che portare alla massima espressione quello che era stato preparato nella seconda metà del Novecento.