Quale spazio può avere la fede quando incontra altre fedi senza trasformarsi in conflitto?
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Che cosa significa oggi parlare di sacro condiviso? Quale spazio può avere la fede quando incontra altre fedi senza trasformarsi in conflitto?
Sono domande centrali nella mostra Al di là dei confini. Luoghi sacri condivisi, ospitata alle Collezioni comunali d’Arte di Palazzo d’Accursio dall’11 settembre al 19 ottobre 2025.
Curata da Dionigi Albera e da Manoël Pénicaud, l’esposizione porta a Bologna un percorso fotografico e documentario che racconta la pluralità religiosa del Mediterraneo: chiese, moschee e sinagoghe in cui cristiani, musulmani ed ebrei hanno pregato – e pregano tuttora – fianco a fianco.
Nel cuore di un’età segnata da muri, divisioni e diffidenze, questa mostra diventa un vero pellegrinaggio che invita a riscoprire l’esperienza dei santuari condivisi: luoghi in cui l’“altro religioso” non è percepito come minaccia: è una presenza vicina e parallela. Fede accanto a fede, appunto.
Eterotopie del sacro
In questo contesto si inserisce l’incontro intitolato Fede accanto a fede: eterotopie del sacro, ospitato dal LabOratorio di San Filippo Neri (Bologna), mercoledì 17 settembre.
Protagonisti del dialogo sono stati Vito Mancuso, filosofo e teologo tra i più noti in Italia, e lo stesso Dionigi Albera, antropologo specialista del mondo mediterraneo, curatore della mostra e autore del recente Lampedusa. Una storia mediterranea (Carocci, 2025). Insieme, si sono chiesti come si possano pensare oggi la fede, il pluralismo e la spiritualità oltre i confini identitari, per far emergere la forza dell’incontro.
Quella che segue è un’intervista a Dionigi Albera che approfondisce proprio questi temi, offrendo uno sguardo sulla possibilità reale di vivere il sacro come spazio di ricerca e condivisione, invece che come motivo di separazione.
Davide Lamandini: Oggi il concetto di sacro sembra spesso associato al conflitto, alla contrapposizione, persino alla guerra. In questo contesto, come è possibile pensare a una dimensione di condivisione del sacro?
Dionigi Albera: È vero, ma il sacro può assumere molteplici significati. Un’esperienza del sacro, individuale o collettiva, si colloca già su piani diversi.
Si potrebbe dire, semplificando, che esistono due grandi concezioni del sacro: da un lato quella legata all’idea di identità – spesso identità collettiva – in cui ci si riconosce in un luogo che ci appartiene, una “terra sacra”; dall’altro quella che intende il sacro come ricerca.
Quest’ultima può essere ricerca spirituale o di senso, di carattere introspettivo, ma anche un percorso che si realizza attraverso il dialogo con un interlocutore.
Il sacro inteso come identità si presta poco alla condivisione, perché tende a delimitare e separare. Al contrario, il sacro vissuto come ricerca, nelle sue varie forme, rende la condivisione non solo possibile, ma auspicabile.
Davide Lamandini: Questi spazi di condivisione hanno soprattutto una radice storica, legata a tradizioni antiche, oppure nascono da trasformazioni più recenti?
Dionigi Albera: Questi fenomeni sono molto radicati nella storia del Mediterraneo.
Si sono sviluppati soprattutto sulle rive orientali e meridionali, mentre hanno avuto una vita più difficile nella parte nord-occidentale. Questo perché, storicamente, nei territori governati dall’Islam si è registrata una maggiore tolleranza verso la diversità religiosa, rispetto a quanto avveniva in quelli controllati da poteri politici di matrice cristiana.
Così, in diversi contesti, le minoranze cristiane e greche sono riuscite a sopravvivere nei secoli, mentre la presenza musulmana, ad esempio in Italia meridionale fino al XIII secolo, è stata progressivamente cancellata attraverso conversioni forzate o espulsioni. Lo stesso è accaduto in Spagna con la Reconquista e la successiva espulsione dei musulmani e degli ebrei.
Davide Lamandini: Quindi possiamo dire che la condivisione del sacro riguarda sia il passato sia il presente?
Dionigi Albera: Nel passato esisteva una maggiore continuità in queste zone, anche nei Balcani. L’Impero ottomano, ad esempio, fu relativamente tollerante dal punto di vista religioso. Sono dunque fenomeni che hanno radici profonde e che restano vivi ancora oggi.
In Europa, invece, il pluralismo religioso attuale è soprattutto il risultato delle migrazioni recenti, che negli ultimi cinquant’anni hanno ridisegnato il panorama spirituale.
Per fare un esempio concreto, la Basilica della Natività di Betlemme testimonia una lunga durata di frequentazione: già dall’XI secolo era visitata da musulmani, e questo accade ancora oggi, come dimostrano le fotografie della mostra che ritraggono donne musulmane in preghiera nella cripta.
In altri casi, invece, si tratta di esperienze nate in tempi molto più recenti, come l’ospedale di Massilia, creato appena venticinque anni fa.
Intervista a cura di Davide Lamandini
L’intervista a Dionigi Albera è stata realizzata in collaborazione con l’Oratorio di San Filippo Neri, Mismaonda e il Mulino. Un ringraziamento particolare ad Alice Rosellino, Antonella Sambri e Alessia Soverini.
Fonte: Giovani Reporter