I genitori di Sammy Basso: «A 12 anni è entrato in crisi, a 21 anni aveva il 50% di possibilità di morire. Si era innamorato, avrebbe voluto dei figli»
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I genitori di Sammy Basso: «Ha lasciato 14 lettere di cui non sapevamo nulla. Ogni giorno chiedeva: mi volete bene? Avrebbe desiderato dei figli»
Sulla sua tomba riposano una palla da baseball, una salamandra in miniatura e il Tao di San Francesco. Una sepoltura semplice, così com’è semplice la casa dei genitori, al primo piano di una villetta rosa nella periferia vicentina. Soggiorno, cucina, camera matrimoniale e la stanza di Sammy, dove nulla sembra essere cambiato: «Tanti libri ho dovuto regalarli» precisa la mamma. «Lui leggeva tantissimo».
È trascorso un anno dalla morte di Sammy Basso, colpito il 5 ottobre 2024 da un malore durante il matrimonio di un amico. Aveva 28 anni: pochi per chiunque ma tantissimi per lui, la persona con progeria più longeva del mondo. Sammy, però, non è mai stato solo un record o una malattia — la progeria è una patologia genetica ultrarara che causa l’invecchiamento precoce. Con la sua fame di vita e il suo sorriso, con il viaggio sulla Route 66, le due lauree e i palchi di Sanremo e Jovanotti, ha ridefinito i concetti di normalità e limite.
«A noi fa strano, ma tantissime persone ci ringraziano perché un video di Sammy ha cambiato la loro vita», spiegano Laura Lucchin e Amerigo Basso, i suoi genitori, seduti al tavolo del soggiorno. La loro voce è disturbata soltanto dal ronzio di una mosca. «Non c’era mai silenzio, qui. Con Sammy si parlava, scherzava e rideva tutto il tempo, anche quando lavorava al pc sentivamo la sua energia», ricordano. «Questo silenzio per noi è assordante».
Come è stato il primo anno senza di lui?
(Laura) «Difficilissimo. Eravamo ben consapevoli che il momento sarebbe arrivato: l’età media delle persone con progeria è 14 anni e mezzo. Io pensavo di poterci arrivare preparata, ma è una stupidaggine. Quello che si prova quando accade è inimmaginabile».
«Non siate troppo tristi» ha scritto Sammy nella sua lettera d’addio letta durante i funerali. Che effetto vi ha fatto?
(L) «Non sapevamo nulla delle lettere. Il giorno dopo che ci ha lasciato, Mauro, il suo fisioterapista e confidente, ci ha consegnato un pacchetto che ne conteneva 14: una in cui descriveva la cerimonia che avrebbe desiderato, una per noi, altre per gli amici e i colleghi ricercatori… Il contenuto lo stiamo scoprendo ora, perché alcuni dei destinatari hanno voluto condividere con noi qualche passaggio».
(Amerigo) «Le aveva scritte tutte nel 2017, prima di operarsi al cuore. Hai il 50% di possibilità di sopravvivere, gli avevano detto i medici. Come tirare una moneta, testa o croce».
Che rapporto aveva con la morte?
(A) «Sammy aveva una relazione molto intima con Dio e si approcciava al tema con serenità. A casa se ne parlava, non era un tabù, anche perché negli anni aveva perso tanti amici con progeria. Diceva sempre: per fortuna che c’è la morte, altrimenti continuerei a rimandare a domani le cose che posso fare oggi».
La sua fede ha mai vacillato?
(L) «A 12 anni, quando ha iniziato la cura sperimentale a Boston, è entrato in crisi. Pensava che Dio l’avesse creato così perché aveva un progetto per lui; la ricerca di una cura, quindi, gli pareva contraria alla Sua volontà. Per un po’ si è considerato ateo, ma intanto si confrontava con i ricercatori e approfondiva le altre religioni: leggeva la Torah, imparava a memoria i versetti del Corano. Alla fine ha capito di essere profondamente cristiano».
La crisi a Gaza gli stava molto a cuore.
(A) «Incontrando il cardinale Parolin, a proposito della situazione in Terra Santa gli aveva detto: “Se posso fare qualcosa, tu usami”. Non sappiamo cosa, ma in questi giorni sicuramente avrebbe fatto qualcosa».
Col suo corpo, invece, che rapporto aveva?
(L) «Si accettava per com’era e in questo l’ha aiutato la psicoterapia, che ha cominciato a quattro anni e non ha mai interrotto. Considerava il corpo come un mezzo per fare ciò che desiderava, la sua preoccupazione più grande era di non poter più camminare: dopo la quarta lussazione dell’anca il rischio c’era…».
Al funerale di Sammy hanno partecipato migliaia di persone: che cosa vedevano in lui?
(L) «Per me la parola che riassume meglio Sammy è “amore”. Tra noi c’era un rapporto molto fisico, fatto di coccole e carezze, e lui questo affetto lo portava anche fuori di casa. Ogni volta che incontrava un amico lo abbracciava e gli diceva: te vojo ben, ti voglio bene. Abbracciava anche le persone appena conosciute. Dava tanto amore e lo chiedeva, perché ne aveva bisogno. A me lo domandava più volte al giorno: “Mi vuoi bene, mamma?”».
Nella sua vita c’è stato spazio anche per l’amore sentimentale?
(L) «Ha raccontato di essersi innamorato, non sappiamo di chi, ma di non essere riuscito a esprimere i suoi sentimenti in maniera esplicita. Forse perché aveva capito di non essere corrisposto. Con noi non parlava di queste cose, ma sicuramente ci pensava. Gli sarebbe piaciuto avere dei figli e costruirsi una famiglia, pur sapendo che non era semplice».
In molti, dopo la sua morte, hanno proposto di avviare la causa di beatificazione.
(L) «Per noi è stranissimo perché è nostro figlio. Abbiamo di lui un ricordo fisico, terreno, mentre dei santi abbiamo un’idea, come si può dire… Ultraterrena».
(A) «Significherebbe che ha fatto qualcosa di straordinario. Ma non ci pensiamo neanche lontanamente: se ne occuperà Dio».
Il grande obiettivo di Sammy era trovare una cura per la progeria. L’associazione Aiprosab, che avete fondato insieme, sopravviverà anche senza di lui?
(L) «Il lavoro continua: facciamo divulgazione e raccogliamo fondi per la ricerca. Ma non possiamo farlo come lui che era un biologo molecolare e di lavoro faceva il ricercatore: dobbiamo trovare il nostro modo».
(A) «L’équipe di Boston con cui collaborava sta mettendo a punto una tecnica per intervenire sul Dna e neutralizzare la mutazione responsabile della progeria: in pratica, si corregge una singola lettera su 3,2 miliardi. Il progetto è partito da una patologia rarissima (una persona su 20 milioni, ndr) ma è molto ambizioso, perché la stessa tecnica si potrà poi utilizzare per tutte le malattie genetiche. Sammy sapeva bene che per lui era troppo tardi, ma lo faceva per gli altri. Per il futuro».
Fonte: Corriere del Veneto