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Vito Mancuso “L’umano è il frutto della sua decisione”

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intervista a Vito Mancuso
rivista di Cultura Mediterranea

«Se dovessero chiedermi cosa sia l’essere umano, risponderei che è il frutto della sua decisione».


Il 3 ottobre 2025 Vito Mancuso ha inaugurato a Misano Adriatico la rassegna filosofica Ecce Homo curata da Gustavo Cecchini, portando all’attenzione del pubblico numerose riflessioni sulle componenti della natura umana, fra cui il senso della libertà, di cui il teologo e filosofo brianzolo ha parlato mettendone maggiormente in risalto le implicazioni etiche, più che le basi concettuali. Gli studi sull’agire umano dei filosofi del passato ora non bastano più a descrivere pienamente né le relazioni fra le persone, né il modo stesso di vedere la morale, processi che ultimamente vengono resi sempre più complessi dalla politica e dal mondo digitale. Questi fattori hanno delle conseguenze anche sull’azione dell’individuo, il quale, di fronte ad eventi drammatici propri o altrui, non si rende conto di cosa possa e debba fare per apportare un cambiamento decisivo. Nel comprendere questi fenomeni articolati, Mancuso ha risposto ad una serie di domande che vertevano proprio sul senso di inconsapevolezza descritto, che produce indifferenza o impotenza di fronte al male…

Lei ha più volte indicato la consapevolezza dei limiti della vita umana, assieme a creatività e responsabilità, come un pilastro della libertà. Crede che la consapevolezza sia un valore condiviso, o che essa stia iniziando a venire meno?

«Penso che la consapevolezza sia sempre stata una merce rara e preziosa e mai immediata nel nostro carattere. Immediato è l’essere trascinati e irretiti dalle circostanze del mondo e del nostro contesto; immediato è il giudicare l’altro, visto che esaminarsi, capirsi e riflettere su noi stessi è spesso poco frequente. In maniera gratuita i cellulari e le reti social in qualche modo ci distraggono dalla realtà, un po’ come le superstizioni religiose nei secoli precedenti. In sintesi, i nostri giorni non sono peggiori di prima, poiché, come detto precedentemente, la consapevolezza è sempre venuta a meno, sono semplicemente cambiati i meccanismi che ci impediscono di maturarla».

Come accennava precedentemente, ritiene che i social e i mezzi di comunicazione ci stiano sviando dall’esperienza degli eventi problematici della vita, come la malattia e la miseria?

«Sicuramente. La malattia e la morte paradossalmente sono molto presenti nel mondo digitale, anche se la loro rappresentazione sullo schermo, oltre ad una spettacolarizzazione, crea una forte distanza, non solo spaziale, fra lo spettatore e la vittima. Questo distacco sociale lo vedo spesso con il lutto, poiché non ci sono più manifesti funebri nelle grandi città, ma solo nei piccoli centri: ad esempio io vivo a Bologna da 14 anni e non ho mai visto un funerale, uno scenario a dir poco inconcepibile durante la mia infanzia in Brianza. Questa mancanza del lutto come rito condiviso ha delle implicazioni, dato che gli esseri umani sono umani solo se hanno qualcosa di interiore da condividere, che è ciò che ci rende soci. L’intrattenimento multimediale fine a sé stesso ci ha reso in sintesi degli stranieri morali».

Nella scorsa conferenza del 2024 a Misano lei affermò che il problema di oggi non è l’immoralità, che è sempre stata presente, ma l’amoralità. Da cosa lo ha dedotto?

«L’immoralità ci ha sempre accompagnato durante il nostro percorso storico, sia nella vergogna dei nostri vizi, sia nel senso del peccato che gravava sugli esseri umani. Tutto questo è progressivamente venuto a meno con la mancanza di valori per i quali sentirsi in regola, di ciò che Freud identificava come Super Ego; ora si dà spazio soltanto all’ego e l’aggettivo moralista, da che era un complimento, è percepito al giorno d’oggi come un insulto».

In questo successo dell’amoralità il relativismo, di cui buona parte della filosofia contemporanea si è fatta portavoce, ha avuto una sua parte?

«Si può dire che ci sia una componente relativista a cui la filosofia non ha saputo reagire e che ha in parte plasmato, come nel caso dell’opera Al di là del bene e del male di Friedrich Nietzsche. Essendo presente solo il desiderio del soggetto, la mancanza di criteri morali ci porta ad un sostanziale disorientamento».

Questa mancanza di certezze che lei ha descritto porta le persone alla ricerca di responsi certi a questioni difficili, come nel caso della politica e del populismo?

«Sì certamente. Si tratta spesso di risposte semplici e materialistiche che ragionano in modo banale e rozzo senza considerare le sfumature, come quando si identifica il proprio avversario con la dicitura nemico/amico. Per ripristinare la capacità etica dell’essere umano, bisogna trovare qualcosa che fondi dei criteri alla base di ogni riflessione, che è proprio il compito del pensiero».



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