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José Tolentino de Mendonça "Educare al tempo dell’Intelligenza Artificiale"

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A colloquio con il prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, cardinale José Tolentino de Mendonça

di Andrea Monda e Andrea Ciucci


L’educazione è oggi al crocevia di grandi rischi e di grandi possibilità. È necessaria una intelligenza creativa perché la sfida è alta: quale sarà infatti l’impatto dell’IA sull’educazione? Cercando di rispondere a questa domanda iniziamo oggi un’inchiesta che attraverserà i principali ambiti del mondo educativo, quello scolastico, della famiglia e quello della Chiesa. E per introdurre le questioni principali abbiamo voluto incontrare il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, proprio nei giorni del Giubileo del mondo educativo

L’educazione umana ha sempre utilizzato mediazioni tecnologiche: pc, tv, libri e quaderni, calcolatrici e abachi, dipinti e manoscritti, tavolette e rotoli. Alcuni dicono che la stessa scrittura sia una tecnologia. Naturalmente ognuna di queste ha plasmato la pratica educativa. Quale continuità e quali differenze vede tra l’IA e le tecnologie che l’hanno preceduta? 
La trasmissione della conoscenza si è sempre servita di tecnologie. Anzi si potrebbe dire che senza la tecnologia (carta o inchiostro, per esempio), la scrittura non sarebbe stata possibile e senza di essa, neppure un efficace trasferimento del sapere. Nel caso dell’IA però, siamo davanti a un salto di qualità che rende la tecnologia molto più influente. L’IA permette un accesso molto più rapido e molto più democratico, dall’altra, tende a standardizzarlo e uniformizzarlo. Per la prima volta, in tanti secoli, i metodi educativi dovranno fare i conti con uno strumento che influenzerà in maniera sostanziale la pedagogia. Ve ne do un esempio: in California, sono state aperte delle scuole elementari che rimpiazzano le maestre con dei tablet intelligenti. Ogni alunno ne riceve uno dotato di un algoritmo speciale e con esso impara, in modo ludico, l’alfabeto e l’aritmetica. L’IA personalizza il gioco e l’apprendimento secondo le capacità e i limiti del bambino, in tempo reale. Quindi, se si rende conto che il bambino ha difficoltà nelle moltiplicazioni, lo stesso dicasi se non sa coniugare i verbi al futuro, l’IA si concentra su quelle aeree... Da un punto di vista dell’apprendimento nozionistico, i risultati, secondo i developers di questa IA sono buoni: il bambino resta più concentrato e fa progressi più velocemente. Tuttavia, nessun sa che effetto avrà sul bambino aver appreso delle nozioni e degli skills (abilità) senza un’intermediazione umana, ossia senza una maestra e senza altri alunni che imparano con lui. Rappresenta sicuramente un impoverimento. 

Non poche voci si stanno levando in difesa dei libri. Gesù però non ne ha mai sfogliato uno; lui srotolava rotoli e noi scrolliamo schermi. Una grave mancanza nell’umanità del Figlio di Dio (e nostra) o una buona provocazione per dare il giusto peso agli strumenti tecnologici? 
Quello che sta avvenendo è che i libri hanno smesso di rappresentare, come sosteneva George Steiner già negli anni Sessanta del secolo scorso, il principale punto focale di energia della nostra civiltà. In questa funzione, è vero, il libro è stato già sostituito dallo schermo. Ognuno di noi, in effetti, oggi trascorre più tempo davanti a un display che a un libro. 
Nell’autorappresentazione che il mondo contemporaneo fa di sé, il libro non è più «la grande metafora», come lo era nel XII secolo quando il teologo e mistico Ugo di San Vittore sosteneva che omnis mundi creatura quasi liber, per dire che ogni creatura di questo mondo è come un libro. Anche se è pur vero che dovremmo forse parlare di trasformazione, più che di crepuscolo. La forma cartacea è una tappa di una storia più lunga, iniziata con i testi incisi su pietra, poi su tavolette di argilla, sostituite successivamente dai rotoli che Gesù ha conosciuto. Una storia che continuerà a fare il suo cammino. 

Platone in un famoso passo del «Fedro» si scaglia contro quella pratica che lui ritiene la fine della trasmissione del sapere fondata, a suo dire necessariamente, sulla comunicazione orale: la scrittura. Non male per uno dei più grandi pensatori dell’umanità che decide di scrivere i suoi dialoghi. Siamo davanti a un paradosso simile? Quali criteri di discernimento per evitare allarmismi ingiustificati e riconoscere le vere questioni da affrontare? 
Grazie del suggerimento del Fedro. Infatti, in relazione al cambio epocale che stiamo sperimentando, il modo misurato e prudente con cui Platone reagisce al passaggio da società basate sull’oralità a una in cui la scrittura diventa dominante ci può essere di aiuto. Quel dibattito che notiamo nel Fedro è una conversazione della quale abbiamo oggi urgente bisogno. I pareri erano allora discordi, come lo sono odiernamente, ma imparare ad ascoltare e valorizzare le ragioni degli altri è una pedagogia di saggezza. Per gli uni, la scrittura renderebbe gli esseri umani più saggi e sarebbe una risorsa per ampliare la memoria. Per altri, il pericolo sarebbe che gli uomini cessino di esercitare la memoria e, potendo avere più facilmente informazione su tantissime cose, si credano automaticamente dotti, mentre sanno di meno. Io penso che abbiamo necessità di riflettere insieme su questi argomenti. Siamo a un crocevia di possibilità culturali, scientifiche, sociali. Ma la grande questione continua a essere la ricaduta sull’umano. Ciò richiede un’intelligenza creativa, ma anche un discernimento solidamente basato sui valori. 

La sovrabbondanza dei dati e delle risposte offerte dai sistemi di IA mette in crisi le forme consolidate di trasmissione del sapere, inteso soprattutto come nozioni. Al contempo esalta la qualità tutta umana delle relazioni in cui l’educazione accade, perfino la sua fisicità. Perché percepiamo l’IA come un concorrente (molto più efficace di noi in certi campi) e non come un prezioso alleato? 
In inglese, oserei dire «the short answer is yes, but»; permettetemi di spiegarmi meglio. Le informazioni che l’IA riceve sono, alla fine dei conti, dipendenti dagli esseri umani. Il Big Data e tutto quello che esso contiene è e sarà quindi la materia prima per l’IA. Poiché le società più economicamente avanzate producono una quantità di Big Data largamente superiore a quella di quelle delle società meno economicamente sviluppate, l’IA tenderà a rappresentare sempre di più questo cultural bias. E non solo; l’IA rinforzerà con il suo stesso funzionamento questo pregiudizio culturale. Tuttavia, vi sono anche delle luci. L’IA potrà essere uno strumento eccezionale per la salvaguardia delle culture e per la loro studio. Oggi, grazie all’intelligenza artificiale si possono già memorizzare le lingue prima che esse scompaiano, si potranno fare analisi semantiche per capire meglio come si sono evolute. Lo stesso dicasi per altre realtà culturali, l’arte, l’architettura, i manufatti... In altre parole, si avrà a disposizione uno strumento molto evoluto per la loro conservazione e la loro analisi. 

Grazie alla trasformazione digitale, l’educazione di oggi e di domani è sempre più globale e senza mediazioni locali. Una grande chance di apertura al mondo con accessi ai contenuti mai visti prima e, al contempo, il rischio della perdita delle singole tradizioni locali. L’IA appiattirà il mondo? In che modo può essere strumento di preservazione dell’originalità delle singole culture? 
Forse, incominciando con i percorsi formativi per alunni e studenti con bisogni speciali. Penso per esempio ai bambini che non possono vedere e udire, o a bambini autistici. In tanti casi, si tratta di ragazzi dotati di grande intelligenza ma che per ragioni di costi o di limite di servizi educativi, non ricevono una educazione adatta alle loro possibilità. In questo caso, l’IA potrà rilevarsi uno strumento molto utile. Le nostre stesse istituzioni cattoliche lavorano già in questo senso. Cito l’Università Tangaza a Nairobi (Kenya) che nella sue libreria è riuscita a sviluppare una sala di computer che permette a studenti ciechi di usufruire dei servizi della biblioteca e fare ricerche per i loro elaborati. L’IA è talmente performante che si stanno sviluppando degli algoritmi capaci di interagire persino con alunni sordo-ciechi. L’educazione cattolica ha una grande opportunità di usare l’IA per trasformare l’aspetto “massificatore” dell’IA in uno strumento per dare accesso diretto al sapere a tantissime alunni che finora si sono visti privati del loro diritto all’educazione. 

Papa Francesco ha definito l’IA un dono di Dio. Quali sono a su parere i passi concreti che le istituzioni educative devono oggi compiere per non sprecare questo dono? 
Sì, mi piace molto questa espressione del compianto Pontefice che è stato appunto il primo Papa a voler dotare la chiesa di una risposta all’IA; e sono sicuro che Papa Leone XIV continuerà in questa direzione, illuminando le cose nuove (cfr. Rerum novarum) del nostro tempo, come da Lui stesso ha già indicato. Per quanto riguarda l’educazione in particolare, io spero che l’uomo farà quello ha cercato di fare con altre tecnologie, imparando a renderle utili per l’uomo stesso. La scommessa nel caso dell’IA nell’educazione è particolarmente complessa. Un primo assaggio di questa sfida, direi, è avvenuto durante il periodo della recente pandemia da covid-19. L’allora Congregazione per l’Educazione Cattolica si rese conto dell’esplosione dell’educazione a distanza, un fenomeno che si è accelerato da allora. Con lo sviluppo dell’IA questa possibilità non è che la punta dell’iceberg di quello che ci aspetta. Da una parte, la possibilità di permettere a milioni di studenti di poter imparare. Dall’altra, il pericolo di vedere ridotta l’educazione a un apprendimento tecnico-nozionistico. Posso solo dire che dovremmo approfittare dei lati positivi e vigilare su quelli negativi. Questa estate mi sono recato a Guadalajara per l’incontro della Fiuc (Federazione Internazionale delle Università Cattoliche) e posso dirvi che le nostre istituzioni cattoliche stanno lavorando alacremente e in squadra su questa sfida che io considero una delle più grandi dell’educazione futura. L’obiettivo è sì di potenziare le capacità di apprendimento di skills, ma nel contesto di una crescita umana integrale, grazie a una preparazione umanista completa. 

Lei è anche poeta e la poesia è quella “cosa” che non può essere ridotta dall’algoritmo, o si può invece prevedere una trasformazione anche per la poesia nel prossimo futuro? Cosa può dirci, rivelarci, insegnarci la parola poetica nel mondo contemporaneo segnato dall’avvento dell’IA? 
Uno degli aspetti più affascinanti dell’IA è la sua rapidità. Ci offre tutto in un secondo. Rimaniamo sbalorditi davanti a questo spettacolo. Ma questo è anche quello che l’allontana dalla poesia. Perché la poesia ha a che vedere con la lentezza. È nella lentezza che la vita umana scopre pazientemente la sua forma. 
D’altronde, l’IA è rapida perché elabora un’infinità di risposte. Invece, la poesia è lenta perché si concentra sulle domande, in particolare su quelle che non hanno una risposta immediata. Per fine, l’algoritmo è saturo di realtà. La poesia, al contrario, smantella la crosta che ricopre la realtà, e cosi ci espone a una comprensione più profonda della vita e del suo mistero.


Fonte: L'osservatore romano


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