Mail


Enzo Bianchi “Riprendere il cammino con papa Leone”

stampa la pagina
agosto-settembre 2025 
Riprendere il cammino con papa Leone
per gentile concessione dell'autore


Francesco ha aperto il capitolo della misericordia e la via sinodale in un modo nuovo e creativo.


Si è concluso un tempo della vita della Chiesa cattolica con la morte di papa Francesco e siamo entrati in una nuova “atmosfera”, in un nuovo clima. Purtroppo, in questa fase pastori e laici muniti di scarsa sapienza cercano di individuare differenze, elementi di continuità e di rottura tra Francesco e il suo successore Leone XIV, dimenticando che ogni Papa non può essere la fotocopia del precedente, né il suo rottamatore. Il Papa è un vescovo con una sua storia, una sua vocazione, dei carismi propri, un carattere e una personalità che non va mai misurata con quella di un’altra persona. Francesco è stato un profeta ed è raro che un profeta diventi Papa o un Papa diventi profeta, rarissimo nella storia. Come tutti i profeti molti dei suoi atteggiamenti non sono stati capiti. E come tutti i profeti per dare peso ai suoi interventi può aver scritto fuori dalle righe. Non ha contraddetto il Vangelo nel suo magistero, e questo ci basta, anzi l’ha indicato a volte con radicalità e passione, uscendo dagli schemi cui i cattolici erano abituati da secoli. 

Va detto una volta per tutte: anche di Francesco si potrà dire che “venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno compreso”. E tuttavia ha aperto per la Chiesa il capitolo della misericordia che non si deve mai meritare, ha posto il problema della presenza attiva e responsabile delle donne nella Chiesa, ha imboccato la via della sinodalità in modo nuovo e creativo rispetto alla sinodalità praticata dalle altre confessioni cristiane. 

Era umorale? 

Si lasciava facilmente incantare da alcuni che poi risultavano persone moralmente contestabili? Erano i lati deboli di Francesco: del resto, chi tra gli umani non ha lati deboli? Un giorno, in un’udienza, mi citò le parole di Pietro il Venerabile: «Meglio andare all’inferno per aver peccato di misericordia che andarci per aver peccato di severità!». 

Ora non si tratta di voltare pagina e dimenticare, ma di riprendere il cammino con Leone XIV, il nuovo Papa, dal sorriso pieno di compassione quando incontra chi soffre; un Papa che ha una parola teologica che è sempre preceduta da quella antropologica. 
Riprendiamo a camminare con un nuovo passo, ben sapendo che la via resta certa e non si identifica con il Papa, e che seguiamo Cristo e non il Papa; i Papi passano ma Cristo resta, ieri oggi e sempre. La Chiesa, piccolo gregge–quella fatta dagli umili e dai poveri che nella Chiesa non hanno nessun potere, e non sono ascoltati o non hanno voce, eppure hanno fede – non deve temere: a essa sarà dato il Regno al quale fin da ora prende parte e nel quale vive, anche se in enigmate, solo alla luce della fede e non della visione. Questa è la Chiesa che lascia agli altri di seppellire i loro morti, come ha chiesto Gesù. Papa Leone ha ripetuto due volte un’affermazione straordinaria: «Prima di essere credenti, siamo chiamati a essere umani», dove l’essere umani non è in contrapposizione con l’essere cristiani, ma ne è la condizione necessaria. Il cristianesimo è, infatti, l’umanesimo immerso nella grazia, nell’amore di Dio che non si deve mai meritare! 

Certamente finora papa Leone ha confermato il cammino della Chiesa sulla ricerca della sinodalità: cammino inaugurato da Francesco, ma che dev’essere ancora percorso e sostenuto prima di dare i frutti ecclesiali attesi. Perché non si dimentichi: la sinodalità è un mezzo, vero strumento nel vivere la Chiesa in vista della comunione. 

La comunione in un solo corpo, il corpo di Cristo, è il fine della sinodalità. E non a caso papa Leone insiste, in ogni occasione, sull’urgenza della comunione, necessaria alla Chiesa, sulla scomparsa della polarizzazione oggi tanto irrigidita, sul cercare di sentire gli altri fratelli, membra dello stesso corpo, pur nella diversità, nella differenza, nella complessità Chiesa è opera della Sapienza multi colorata di Dio, è opera dello Spirito santo che crea, distingue, custodisce, sostiene e compagina in unità la diversità. 

E se è terminata una prima fase del Sinodo, non si dimentichi l’appuntamento che Francesco ha dato alla Chiesa nell’ottobre del 2028, quando un’Assemblea ecclesiale dell’intera Chiesa cattolica dovrà riunirsi in Vaticano per rendere conto del lavoro sinodale fatto in questi anni nelle Chiese locali, ed esprimere e formulare proposizioni che dovranno essere tradotte in diritto canonico, legge per tutta la Chiesa

Il 7 luglio scorso la Segreteria generale del Sinodo ha pubblicato le Tracce per la fase attuativa del Sinodo, con l’intenzione di «offrire alle Chiese locali di tutto il mondo un quadro di riferimento condiviso che renda più agevole il camminare insieme» e, al tempo stesso, «promuovono il dialogo che condurrà la Chiesa tutta all’Assemblea ecclesiale dell’ottobre 2028». 

Questo frattempo è prezioso e noi speriamo che la Chiesa lo utilizzi per un approfondimento e una ricezione delle istanze sinodali. 

Si deve iniziare con un’ autocritica, però, perché più del 40% delle Chiese locali non ha partecipato finora al cammino sinodale, e una significativa percentuale di presbiteri non ha trasmesso alla parrocchia e alla comunità che il Sinodo era in corso, e che era necessario il loro contributo. 

Sono queste le constatazioni del segretario del Sinodo, il cardinal Grech, che con intelligenza e tenacia ha saputo finora guidare il cammino, indicando le giuste urgenze e i primati. A lui, nel quale ripongo grande fiducia, oso chiedere di non piegarsi facilmente a quanti pensano più all’organizzazione del Sinodo che all’evento sinodale sul quale lo Spirito santo deve restare il Signore. 

Se il Sinodo è concepito come una macchina che obbedisce solo alla scienza e alle tecniche della comunicazione del momento non sarà efficace, ma prigioniero di sé stesso. 

Purtroppo, oggi, molte assemblee ecclesiali, in nome di un’efficacia anche necessaria, finiscono per essere determinate da scenari teatrali, da trovate di tipo psicologico-terapeutico, mentre si dimentica ciò che è veramente necessario. 

Ecco perché bisognerebbe impiegare i prossimi tre anni per una iniziazione alla sinodalità: ogni cristiano, ogni parrocchia, ogni comunità consideri questo impegno come preminente. Le comunità devono essere convocate e chi le presiede deve guidarle nell’acquisizione delle diverse nozioni di sinodalità, a partire dalla testimonianza delle sante Scritture, specialmente degli Atti degli apostoli, quando la Chiesa nascente iniziò a perseguire questa via. 

I cristiani devono comprendere che la via sinodale non è facoltativa. E che, in realtà, la Chiesa l’ha sempre praticata, anche se in modo discontinuo e, a volte, frammentario. 

Ora, però, i segni dei tempi e l’orizzonte comunitario che si impone nella storia dell’umanità chiedono alla Chiesa di riscoprire il “camminare insieme” per essere un solo gregge, un solo corpo di tutti i battezzati dotati di sensus fidei e dignità battesimale. E se i sacramenti creano la fraternità in Cristo e la figliolanza di Dio, allora i cristiani cercheranno e troveranno vie per fare insieme discernimento, per scegliere e decidere insieme. 

Sarà una vera pratica dell’ascolto reciproco tra fratelli e sorelle, ma anche un ascolto tra pastori e fedeli che renderà eloquente e viva la sinodalità. 

Non bastano le belle parole. Dobbiamo ammetterlo: ci sono presbiteri e laici che non vogliono neppure sentir parlare di sinodalità, questa parola che quando risuona ricorda loro solo l’ipocrisia: vescovi che parlano di sinodalità e poi non conoscono e non consultano per le scelte i loro presbiteri; vescovi che comunicano per telefono le nomine di un presbitero a parroco o il suo spostamento ... Vescovi, presbiteri e superiori religiosi e monastici che radunano assemblee, fanno parlare tutti, ma poi decidono senza tener conto di ciò che hanno udito o arrivano a punire chi li ha contraddetti. 

Questa è sinodalità? 

L’esercizio della sinodalità che ci attende affonda le radici nel cuore di ciascuno, nasce e cresce nelle comunità dove c’è libertà di confronto, ascolto e parresìa. 

Se ci sarà questo esercizio si potranno formulare dopo adeguata ricerca, preghiera e ascolto, anche delle proposizioni sulla vita della Chiesa universale. Ma se non c’è questa esperienza nella Chiesa in cui viviamo, perché pensare alla Chiesa che soltanto crediamo?





«Ti è piaciuto questo articolo? Per non perderti i prossimi iscriviti alla newsletter»

Aggiungici su FacebookSegui il profilo InstagramSegui il Canale di YoutubeSeguici su Twitter



stampa la pagina