Cento giorni da Leone, il Papa maratoneta
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14 Agosto 2025
Stefano Maria Paci
Bergoglio era uno sprinter, Prevost procede con passo lento e regolare puntando all’obiettivo: la pace dentro e fuori la Chiesa e le sfide della modernità, a partire dall’Ia
Cento giorni da Leone, 100 giorni da capo di una religione che conta nel Pianeta oltre un miliardo e 400mila battezzati. E per chi è cattolico questi primi 100 giorni sono quelli del rappresentante diretto di Dio, vicario in terra di Gesù Cristo, infallibile in quello che pronuncia Ex Cathedra: un compito da far tremare, ma che Robert Francis Prevost, 70 anni il 14 settembre, nato a Chicago ma vissuto per 20 anni da missionario in Perù e poi 2 anni in Vaticano, ha assunto con consapevole tranquillità. «Sono stato scelto senza alcun merito e, con timore e tremore, vengo a voi come un fratello che vuole farsi servo della vostra fede e della vostra gioia».
Se i primi 100 giorni del pontificato di Papa Francesco erano stati fragorosi, con il pontefice «venuto dall’altra parte del mondo» che smantellò da subito simboli e regole legate al ruolo del Pontefice, Papa Leone XIV ha trascorso i primi mesi con pacatezza. Iniziando il pontificato senza i fuochi d’artificio che hanno costellato gli anni del Papa argentino e che avevano generato grandi entusiasmi o profondi malumori.
Bergoglio era uno sprinter, correva i 100 metri dando tutto in ogni passo, suscitando l’applauso durante il percorso e lasciando stupiti per le sue performance. Prevost è un maratoneta, procede con passo lento e regolare puntando verso l’obiettivo finale. Anche per questo i media di tutto il mondo, dopo l’interesse iniziale dovuto alla novità del cambio di guida nella Chiesa, hanno dato meno rilievo al nuovo Papa, lasciando la sua figura ancora avvolta in un giudizio sospeso.
E se per i presidenti degli Stati Uniti il traguardo dei 100 giorni è tradizionalmente il momento di un esame importante, per chi guida una Chiesa bimillenaria 100 giorni sono ancora pochi. Ma un bilancio è già possibile.
E di Papa Leone si individuano gli obiettivi principali: pacificare la Chiesa all’interno senza fare passi indietro rispetto all’insegnamento di Francesco, permetterle di essere attraente e missionaria nei luoghi in cui vivono e lavorano gli uomini del nostro tempo, dare grande attenzione alle sfide digitali e all’Intelligenza artificiale, sostenere ogni iniziativa per la pace, radicare il proprio insegnamento sulla dottrina sociale e sulla tradizione, e puntare sui giovani, futuro della Chiesa e del mondo.
L’enciclica
In questi mesi estivi Papa Leone ha messo mano alla sua prima enciclica. La prima enciclica, per ogni Papa, è un po’ il manifesto di un pontificato. E anche se nulla trapela, di certo Papa Leone riprenderà i temi del predecessore da cui ha preso il nome, Papa Leone XIII. Lui di encicliche ne scrisse un’enormità, ben 86, un record non eguagliato, ma la sua più nota è la Rerum Novarum, con la quale mise la Chiesa al centro del dibattito sulla giustizia sociale. Facile immaginare che Papa Prevost elaborerà un aggiornamento della visione della giustizia sociale, adattata ai tempi che cambiano, e nei quali lo sfruttamento e le disuguaglianze tra gli uomini e tra le nazioni si accentuano sempre più. Anche il tema della gestione dell’Intelligenza artificiale, con le sue potenzialità stupefacenti e i suoi grandi rischi, sarà centrale.
La pace nel mondo
La parola pace Leone XIV l’ha pronunciata ben 10 volte quando si è affacciato per la prima volta dal balcone al centro della Basilica di San Pietro. E ha continuato a ripeterla incessantemente in questi primi mesi di pontificato. «Una pace disarmata e disarmante», l’ha definita in quelle sue prime parole. E Trump e Zelensky seduti faccia a faccia su due seggioline dentro San Pietro prima delle esequie di Papa Francesco sono diventati l’emblema di questo tentativo di proporre il Vaticano, che non ha eserciti né interessi territoriali, come centro di possibili incontri diplomatici, senza cadere nella trappola di proporre la Santa Sede come mediatrice in situazioni difficilissime, come quella tra Russia e Ucraina. «La Santa Sede è a disposizione perché i nemici si incontrino e si guardino negli occhi… rifuggiamo le visioni manichee», ha detto Leone.
Dopo l’attacco all’unica chiesa cattolica di Gaza ha usato parole ancora più forti su come Israele conduce le operazioni in Palestina, con una immane devastazione e un’enormità di morti, e attraverso il suo segretario di Stato, Pietro Parolin, ha chiaramente fatto capire che non crede affatto che la parrocchia sia stata attaccata per errore. E su tanti conflitti, come quelli in Siria, Sud Sudan o Congo, i suoi interventi sono stati continui.
Le divisioni nella Chiesa
Le spinte progressiste e spesso estreme da parte della chiesa tedesca, le scelte fortemente conservatrici di quella americana: frenare le divisioni nella Chiesa sarà uno dei principali obiettivi del pontificato di Leone. Da superiore degli Agostiniani – 12 anni, due mandati – ha conosciuto le varie sfaccettature del mondo cattolico. E compreso quanto sia importante tenere insieme le varie anime ecclesiali. Non per un problema di strategia politica, bensì perché questo è un mandato esplicito per ogni Papa. Incauto fu Francesco a dire, in una conferenza stampa in aereo di ritorno dall’Africa, «non ho paura degli scismi (…) nella Chiesa ce ne sono stati tanti, è una delle azioni che il Signore lascia sempre alla libertà umana». «Uniamoci tutti per essere un solo popolo sempre in pace», ha invece detto Prevost, che nel suo stemma ha posto una frase significativa di Sant’Agostino: «In Illo Uno Unum», «Nell’Uno, siamo uno». In Cristo siamo tutti una sola cosa.
La Curia romana
Nei primi 100 giorni ancora non ha messo mano alla «macchina organizzativa», ma molto attese sono le nomine e i cambiamenti, imminenti, che farà nella Curia vaticana, il cuore nevralgico che gestisce la Chiesa nel Pianeta. La scelta dei più stretti collaboratori e l’eventuale costituzione di nuove commissioni o task force mostrerà su quale rotta vuole condurre la Chiesa.
Mentre Francesco sostanzialmente diffidava del mondo curiale – spesso facendo aspri commenti anche nei discorsi pubblici – tanto da non aver mai voluto assumere incarichi in Vaticano nemmeno quando era cardinale, Prevost quel mondo lo conosce da prima di essere eletto Papa, ci ha lavorato a lungo e in un ruolo cruciale, quello di chi propone le scelte dei vescovi di tutto il mondo. Della Curia ha un’immagine di collaboratori, e nei corridoi delle Sacre Stanze, anche se si sa che ci saranno cambiamenti, si respira un’aria più rilassata. Leone ha espresso a più riprese gratitudine e fiducia verso i suoi collaboratori, ribadendo la necessità di un ministero condiviso. «Il Papa da solo non può andare avanti», ha detto: «Mi consola sapere di non essere solo, insieme condividiamo le domande, le difficoltà, le speranze».
Trump e gli Usa
Il primo papa nordamericano della storia è stato abile a non farsi identificare, in questi mesi, con la nazione in cui è nato. Sa che il terrorismo islamico, e non solo, da tempo cerca di sovrapporre la Chiesa al “Malvagio Occidente”, in particolare agli Usa. Trappola in cui non vuole cadere. Nel suo primo discorso al mondo Papa Prevost ha scelto di parlare in italiano e spagnolo, non una parola in lingua inglese. In questi 100 giorni si è rivolto più spesso ai connazionali peruviani che ai connazionali statunitensi. E con Trump, da cui lo dividono moltissime concezioni, le armi ancora non si sono incrociate. La sua prudenza è una strategia. Il presidente Usa ha postato un’immagine di se stesso vestito da Papa, ha ribadito di aver vinto nelle elezioni (ed è vero) il voto cattolico, si è detto orgoglioso di avere un Papa della sua nazione. Ma se nel suo primo mandato tra Trump e Bergoglio c’erano state scintille al calor bianco («Bergoglio viene usato come una pedina politica», aveva accusato il presidente, «Trump non è cristiano», aveva ribattuto il Papa), ora la situazione è di stallo, nonostante Prevost abbia chiaramente preso posizioni su certe politiche statunitensi. Ma Trump sa che se poteva attaccare con facilità qualsiasi Papa non americano, con Leone il discorso cambia: lui fa parte della nazione, e se il Pontefice decide di contrastarlo, sarà un connazionale a farlo. Un connazionale, tra l’altro, che nel recentissimo sondaggio Gallup tra gli americani è risultato il più gradito fra tutti i leader mondiali, superando, e non di poco, lo stesso Trump.
I giovani
Ne erano attesi 500mila. Ne sono arrivati più del doppio, oltre un milione. Il Giubileo dei giovani è stato un successo, per numeri, entusiasmo e serietà, che ha stupito. Da tempo le analisi dicono quanto sia in crisi la Chiesa nel mondo, quanto la pratica religiosa sia in discesa, e come la fede non sia più influente sulla società. Una consapevolezza che è anche di Papa Leone, che non nasconde la realtà: «Anche oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti… si preferiscono certezze come tecnologia, denaro, potere, piacere». Eppure ragazzi di tutto il mondo si sono mossi per venire a Roma. Affascinati da Prevost? Difficile pensarlo, dopo solo pochi mesi dall’elezione.
Affascinati invece dal cristianesimo come fatto concreto che influisce sulla vita, e pronti a vivere giorni intensi quanto faticosi pur di essere accanto al Papa, chiunque sia. Dimostrazione che sparsa per il Pianeta c’è una imponente realtà di fede e impegno che, nonostante assurga alle cronache solo in questi momenti eclatanti, è reale, e potrebbe condizionare fortemente il futuro.