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Enzo Bianchi “Nella società da cristiani”

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agosto 2025 
Nella società da cristiani
per gentile concessione dell'autore


Fin dall'inizio del cristianesimo è emersa, a differenza delle altre due religioni monoteiste — l'ebraismo e l'islam —, una concezione diversa nei rapporti tra fede e politica, tra Chiesa e Stato, tra religione e potere, tra autorità spirituale e temporale.

Le parole di Gesù: «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio» (Mc 12,13-17) hanno dato origine a una logica di distinzione capace di scuotere i rapporti sociali e la vita della collettività. Certo, i cristiani non sempre hanno saputo trarre le dovute conseguenze da questa affermazione di Gesù, sicché il loro rapporto con la società ha trovato soluzioni molto diverse nella storia, diventando di volta in volta occasione di incontro, di confronto, talora addirittura di scontro. Tuttavia questa distinzione tra ordine politico e ordine religioso è stata ripresa, con forza e intelligenza, dal concilio Vaticano II, che per noi resta tuttora ispirante, quale vera "bussola" per l'oggi della Chiesa e del mondo. Nella costituzione Gaudium et spes vi sono indicazioni assai preziose al riguardo: «È di grande importanza, soprattutto in una società pluralista, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla loro coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori» (GS 76). 

Sì, i cristiani sono cittadini, appartengono alla città e alla società degli uomini, nella costruzione della polis sono soggetti responsabili, e la loro coscienza dev'essere l'istanza mediatrice tra fede e azione socio-politica. Attraverso queste parole della Gaudium et spes dovremmo, ancora oggi, comprendere e progettare la modalità con cui i cristiani, da cittadini veri, leali e solidali con gli altri possono dare il loro contributo alla polis. Non ci dev'essere alcuna diffidenza o contraddizione rispetto all'appartenenza alla società e alla cittadinanza da parte dei cristiani: essi sono realmente cristiani, discepoli del Signore, se si lasciano ispirare dal Vangelo e se, con l'istanza mediatrice della loro coscienza, danno il loro contributo sotto la forma dell'azione politica, la quale resta, come diceva Pio XI, «il campo della più vasta carità». 

Ci sono opzioni che la fede cristiana impone e ispira, lasciando alla Chiesa il compito di agire nel terreno profetico, pre-politico, pre-economico, pre-giuridico, ma assegnando ai laici cristiani l'incarico di realizzare tali istanze sotto la loro responsabilità mediata dalla coscienza. Questi comportamenti capaci di mostrare la differenza cristiana possono essere riassunti in alcune opzioni di fondo. 

Il "comandamento nuovo», cioè ultimo e definitivo, lasciatoci da Gesù è: «Amatevi come io vi ho amato» (Gv 13,34), amatevi fino a spendere la vita per gli altri, fino a donarla per i fratelli. Ebbene, questo comandamento, che narra la specificità del cristianesimo, richiede che il cristiano non ami solo il prossimo, non ami solo i suoi familiari, ma ami tutti gli altri che incontra, e tra dì essi privilegi gli ultimi, i sofferenti, i bisognosi. Nell'osservare questo comandamento il cristiano non può non pensare alla forma politica da dare all'uguaglianza, alla solidarietà, alla giustizia sociale. Se non ci fosse un'epifania anche politica dell'amore per l'ultimo, mancherebbe alla polis qualcosa di decisivo nei rapporti sociali e sarebbe evasa una grave responsabilità cristiana. Non dimentichiamolo: Gesù ha ammonito che il giudizio finale avverrà sul rapporto avuto nella vita e nella storia, qui e ora, con l'uomo nel bisogno, affamato, assetato, straniero, nudo, malato, prigioniero (cfMt 25,31-46)! 


Lo stile del cristiano è determinante 


Alla missione evangelizzatrice della Chiesa appartiene anche il compito di indicare l'uomo e la sua dignità come criterio primo ed essenziale all'umanizzazione, a un cammino di autentica pienezza di vita. Questo richiede che i cristiani sappiano dare una testimonianza con la loro vita, ma sappiano anche rendere eloquenti le loro convinzioni sulle esigenze di rispetto, salvaguardia, difesa della vita umana. Di fronte alla guerra i cristiani devono saper manifestare la loro contrarietà e la loro condanna, nella convinzione che non ci può essere una guerra giusta, come profeticamente ha indicato il magistero di Giovanni XXIII (vedi Pacem in terris), ripreso da Giovanni Paolo II per la seconda guerra del Golfo. 

I cristiani devono saper manifestare la loro opzione in favore del rispetto della vita dei popoli e delle genti, minacciati anche da possibili catastrofi ecologiche. Devono promuovere il rispetto della vita di ogni singolo essere umano che, certo, nasce da un uomo e da una donna, ma è innanzitutto voluto, pensato, amato da Dio che lo chiama alla vita (cf Sal 139,13-16); e promuovere il rispetto di ogni uomo e donna dei quali ha senso non solo la vita ma anche la sofferenza fino alla morte. Occorrono oggi, da parte dei credenti, creatività, capacità di esprimersi in termini comprensibili anche dai non cristiani. 

Questa azione nella polis non deve mai prescindere dallo stile di comunicazione e di prassi: anche questa è un'istanza fondamentale, perché lo stile è tanto importante quanto il contenuto del messaggio; soprattutto per noi cristiani. significativo che nei Vangeli si trovi sulla bocca di Gesù un'insistenza maggiore sullo stile che non sul contenuto del messaggio, che è sempre sintetico e preciso: «Non fate come gli ipocriti» (cf Mt 6,2.5.16); «Andate come pecore tra i lupi» (cf Mt 10,16); «Imparate da me che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29). 

Sì, lo stile con cui il cristiano sta nella compagnia degli uomini è determinante: da esso dipende la fede stessa, perché non si può annunciare un Gesù che racconta Dio nella mitezza, nell'umiltà, nella misericordia, e farlo con stile arrogante, toni forti o addirittura atteggiamenti che appartengono alla militanza mondana! E per salvaguardare lo stile cristiano occorre resistere alla tentazione di contarsi, di farsi contare, di mostrare i muscoli... La fede non è questione di numeri ma di convinzione profonda e di grandezza d'animo, di capacità di non avere paura dell'altro, del diverso, ma di saperlo ascoltare con dolcezza, discernimento e rispetto. Dallo stile dei cristiani nel mondo dipende l'ascolto del Vangelo come buona o cattiva comunicazione, e quindi buona o cattiva notizia. 

La concezione cristiana della politica è "eversiva" e può talvolta essere "a-normale", nel senso che si distacca da ciò che nella storia è secondo la norma, è vincente e più facilmente attestato. Di fatto, nella storia, religione e politica sono sovente andate di pari passo, l'una a sostegno dell'altra: si pensi solo alla res publica romana, in cui la religione costringeva i cittadini alla devozione all'imperatore; all'epoca costantiniana che dal IV secolo è giunta in forme diverse fino al XIX secolo; al potere temporale accordato ai Papi; agli Stati confessionali... 

Ma la fede cristiana urta contro tale concezione, perché pretende di avere principi irrinunciablli e non negoziabili nella vita personale del cristiano e in quella della comunità cristiana: il perdono e l'amore del nemico, la difesa degli ultimi, la dignità di ogni persona vivente, l'accoglienza degli stranieri... La differenza cristiana appare dove il messaggio del Vangelo si oppone alla necessitas imposta da qualsiasi potere mondano. È vero, la relazione tra politica e fede cristiana non è mai risolta definitivamente né statica: ma questo è lo spazio della profezia, a servizio della libertà e umanizzazione degli uomini.





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