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Massimo Cacciari "Se la Chiesa è contraddizione avrà vicino laici pensanti"

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Da diverse settimane “Avvenire” sta sviluppando un dibattito su cattolicesimo e cultura, avviato dagli interventi di Pierangelo Sequeri e Roberto Righetto e al quale hanno poi partecipato Gabriel, Forte, Petrosino, Ossola, Spadaro, Giaccardi, Lorizio, Massironi, Giovagnoli, Santerini e Cosentino, Zanchi, Possenti, Alici ,Ornaghi, Rondoni, Esposito e Sabatini. 

QUI tutti gli interventi.

Intervista di Gianni Santamaria
 
«È una prospettiva metodologicamente molto importante e interessante per una persona che pensa. Bisogna incarnarla. E ciò significa dare giudizi che possono essere drammaticamente pericolosi». Sull’Occidente, sulla guerra, sull’indifferenza di parte del mondo culturale e delle élite. Di fronte alle quali la Chiesa deve «insorgere» ed essere, come anche il mondo intelletuale laico che pensa, un «segno di contraddizione». A Massimo Cacciari, professore emerito di Estetica all’Università di Venezia e intellettuale molto presente nel dibattito politico e intellettuale del Paese, a lungo in dialogo con esponenti di primo piano della Chiesa come il cardinale Carlo Maria Martini dai tempi della “Cattedra dei non credenti”, chiediamo di interagire con le parole del presidente della Cei, cardinale Matteo Maria Zuppi, sul dialogo tra cultura cattolica e laica. E allo stesso tempo un bilancio sul dibattito aperto da monsignor Pierangelo Sequeri e Roberto Righetto. 

Su queste pagine da settimane ci si interroga su come dare un nuovo slancio alla cultura cattolica. Come vede la questione? 
Non si tratta di andare per “ismi” – “la” cultura cattolica, “la” cultura laica – perché nella cultura cattolica ci sono posizione diverse, per non parlare di quella laica dove emergono addirittura istanze antitetiche. E non si tratta tanto di rilanciare, quanto di interrogarsi su quali temi, problemi e prospettive sia possibile oggi un dialogo davvero fecondo tra cultura cattolica – ovvero tra le posizioni che paiono emergere in questo pontificato – e quei settori della cultura, della filosofia, della politologia europea occidentale che mostrano coscienza delle crisi epocali che stiamo attraversando. 

Infatti il discorso del cardinale arriva al culmine di una disamina su individualismo, povertà, situazione geopolitica. 
Sono questioni, pensiamo alla povertà, che attingono a un patrimonio antico, ma sono dettate dalle contingenze, dalle strettoie del presente. Siamo in una situazione geopolitica che induce a ripensare intere storie, tradizioni, visioni del mondo. Siamo a una svolta d’epoca che potrebbe anche esprimersi in una catastrofe. 

Zuppi indica il contatto con il mondo culturale come essenziale per capire la società secolarizzata di oggi. Qual è l’ostacolo principale? 
Il problema è quello di un’Europa, di un Occidente, come terra di missione. È il grande dramma che la Chiesa attraversa. Ma allo stesso tempo come potremmo dare per perduti l’Europa o l’Occidente? 

Cristianità o Europa, diceva Novalis... 
Ma questo “o” è un punto di domanda grande come una casa. Per Novalis la storia europea era in gran parte passata, riguardava il Medioevo. 

Tempo in cui fede e cultura viaggiavano insieme. Il cardinale ricorda che non solo la Chiesa ha bisogno di cultura ma anche a questa serve il punto di vista cristiano. Oggi qual è l’atteggiamento prevalente? 
La Chiesa non è più di fronte a un ateismo militante, ma a un’indifferenza radicale. Non si trova più di fronte a un Nietzsche che dice “Dio è morto”, ma a chi dice “di Dio che me ne importa”. È un salto pazzesco. Ma anche per un non-credente, diciamo così, questa è una grandissima questione, nella misura in cui abbia una coscienza filosofica nel senso vero del termine, che è l’attitudine a trascendersi, a non vedersi come un’isola separata, un semplice ego. Il non-credente che pensa non crederà a un ente che lo trascende, ma deve credere al carattere trascendente della propria coscienza. È la domanda di trascendenza che è stata acquietata. Quindi è perfettamente legittimo da una parte e dall’altra riconoscersi in una condizione di miseria, povertà e solitudine assolute. In cui prima di tutto i poteri sono indifferenti a quella domanda e giocano solo, e malamente, alla difesa del proprio interesse. 

Quali le conseguenze? 
Sono davanti agli occhi di tutti. L’Europa è totalmente secolarizzata. Ha spento ogni domanda critica sul proprio futuro e sulla propria destinazione. Non ha un’idea di sé, si muove solo sul piano della totale immanenza mercantile. Questa situazione di crisi si rovescia, come sempre avviene, sui più deboli. A questo punto è chiaro che la Chiesa deve insorgere. Così trova vicino a sé un pensiero laico radicalmente critico. Solo che entrambi non vengono ascoltatati. 

In un passaggio il cardinale parla di dialogo critico con la le élite e la cultura di massa dominante, in un altro di stili di vita ed etici dominanti. Qual è questa cultura dominante? 
In senso antropologico è quella che ho detto. Poi ci sono le élite che sono divise e schierate pancia a terra sull’esistente. Credono che l’unico modo di difendere l’Occidente sia quello a cui stiamo assistendo in Palestina e Ucraina. Poi c’è chi ha posizioni critiche che a volte sono molto vicine a quelle che oggi la Chiesa – se tutta, non lo so – esprime. Insomma, il pensiero è pensiero quando è segno di contraddizione e la Chiesa è Chiesa quando è segno di contraddizione. Come il messaggio evangelico che non porta a un irenismo e un pacifismo astratto. Se la Chiesa si pone così rispetto all’opinione comune e all’andazzo dei tempi, alle ideologie del mondo, avrà sempre qualche rapporto, magari polemico, con il pensiero laico e anche con l’ateo. Perché c’è un ateismo della totale indifferenza e ci sono atei che credono. 

Lei ha parlato di “insorgere”. Zuppi invita la Chiesa a una “militanza” e a una creatività culturale, altrimenti viene meno in modo “colpevole” alla missione di attualizzare il messaggio cristiano. 
È una prospettiva metodologicamente molto importante e interessante per una persona che pensa. Bisogna incarnarla. E ciò significa dare giudizi che possono essere drammaticamente pericolosi. Che cos’è questo Occidente? Com’è governato? Dove vuole andare? Su queste guerre non va detto solo che sono male, lo diceva anche Napoleone. Ma bisogna capire se si sta con Napoleone o con Wellington. Mi rendo conto dell’estrema difficoltà. Basti vedere le reazioni a ciò che hanno detto il Papa e altri nella Chiesa. L’Occidente è vecchio, è stato egemone e pretende ancora di esserlo. Non è una buona notizia perché ci tengo a essere occidentale e non voglio finire né putiniano, né russo, né cinese, né musulmano. Ma l’Occidente crede che stare sulla difensiva sia l’arma migliore, invece è un’idea di destino, di destinazione che lo può salvare. Altrimenti assisteremo non al suo tramonto, ma alla sua catastrofe. 


Fonte: Avvenire 


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