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Papa Francesco e le donne: Bergoglio le vuole davvero nella Chiesa?

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Spazio per le donne diacono nella chiesa? Papa Francesco ha detto no. È questa la sintesi di una già sintetica frase rilasciata dal pontefice a margine di una lunga intervista alla CBS News. Incalzato dalla giornalista Norah O’ Donnell sulla possibilità di avere in futuro donne diacono, il papa è stato netto: «Se si tratta di diaconi con gli ordini sacri, no». Punto. Come se non bastasse, al bastone è seguita la carota, cioè la puntualizzazione che «le donne sono di grande servizio […] più coraggiose degli uomini […] sanno come proteggere la vita».

Affermazioni del genere disorientano, specialmente se, non poco tempo prima, lo stesso Francesco non sembrava chiudere la porta all’eventualità di un diaconato femminile. Lo spiegava la religiosa salesiana Linda Pocher che, dopo aver partecipato alle riunioni del Consiglio di cardinali di dicembre e febbraio scorsi, ha riferito alla testata Crux che del ruolo delle donne si è parlato molto e se ne parlerà ancora in vista di una sintesi nel prossimo ottobre 2024, quando cioè si chiuderà il Sinodo sulla partecipazione sinodale nella chiesa di oggi: «Non c’è una riflessione sull’ordinazione sacerdotale delle donne nella Chiesa cattolica, ma il papa è molto favorevole al diaconato femminile» ha detto Pocher all’agenzia Europa Press. Eppure cosa è cambiato? 

Padre Alberto Maggi, biblista e direttore del Centro Studi Biblici Giovanni Vannucci di Montefano, contestualizza queste parole: «Dopo il gelo dei papi precedenti, Francesco è una primavera per la chiesa. Tuttavia, c’è un problema: col suo parlare si fa fatica a distinguere il Magistero del papa dalle sue idee personali». Il pontefice parlerebbe troppo, quindi, rischiando che il passo in avanti sia poi frenato da un mezzo passo indietro. Soprattutto perché la questione del diaconato femminile non è nuova nella chiesa guidata da Francesco. Nel 2019, mentre in Vaticano erano in corso le consultazioni del Sinodo sulla regione panamazzonica, l’esigenza di ammettere al diaconato le donne era parsa la prospettiva più pratica per rispondere ai bisogni di comunità cristiane remote, spesso sprovviste di sacerdoti. Avevano colpito le parole della religiosa Marlene Fatima Betlinski. Responsabile dell’amministrazione generale di ben 37 comunità rurali nell’area pastorale di Santa Clara, in Brasile, al Sinodo del 2019 Betlinski rappresentava l’Unione Internazionale delle Superiore Generali e, intervistata su Vatican News, era stata lei a spiegare l’importanza della partecipazione femminile ai lavori sinodali, sottolineando come le donne, nella verità, già fanno questo servizio di diaconato in Amazzonia, seppure non sia stato ancora ufficializzato, attraverso «servizi di carità, ascolto e preghiera». 

Allo stesso modo, padre Maggi ricorda a Vanity Fair la risposta che un medico veronese, in missione in Africa, ricevette da una suora intenta a spiegare l’uso del preservativo nelle comunità rurali: «Lei disse: “Il papa sta a Roma e qui sto io”. In questi luoghi di margine, spesso il ruolo della donna ha superato già le normative. La donna fa tutti i servizi, da diacono a collaboratrice». Sull’uso di una terminologia che gradualmente ha espunto la donna del suo effettivo ruolo, ha riflettuto la scrittrice Michela Murgia. Nel suo saggio teologico Ave Mary. E la Chiesa inventò la donna Murgia riflette su come traduzione e tradimento di un testo coincidano quando viene tramandato il testo delle lettere di Paolo, dove il termine diàkonos resta «diacono» per l’uomo e diventa «collaboratrice» per la donna: «È evidente che pur di non offrire materiale speculativo alle teorie sul sacerdozio femminile, in questo caso non si è esitato a tradire il testo paolino» scrive Murgia. Oggi le fa eco padre Maggi, che puntualizza: «C’è una chiesa profetica, animata dallo spirito, e una chiesa più istituzionale, prudente, disposta a scendere a patti con la norma. Bisogna anticipare la chiesa, perché la chiesa non va avanti con i documenti del Vaticano. E la Chiesa deve imparare che non è la donna a minare lo status quo del suo potere: lo fa il Vangelo». Il dibattito sul diaconato delle donne in Vaticano è iniziato nel 2016, quando papa Francesco ha annunciato l’istituzione di una commissione per studiare il tema su richiesta dell’Unione internazionale delle Superiori generali. Dopo due anni, nel 2020 è stata istituita una seconda commissione per un ulteriore biennio: è indicativo che i risultati, bollati dal papa come poco convincenti, non siano stati pubblicati. La questione del diaconato femminile non si è, tuttavia, spenta. Nella relazione finale della prima sessione del Sinodo dei vescovi divulgata lo scorso ottobre, si invita a proseguire: «la ricerca teologica e pastorale sull’accesso delle donne al diaconato, giovandosi dei risultati delle commissioni appositamente istituite dal Santo Padre e delle ricerche teologiche, storiche ed esegetiche già effettuate. Se possibile, i risultati dovrebbero essere presentati alla prossima Sessione dell’Assemblea». Come, quindi, andrebbe interpretato il «no secco» del pontefice, quando è lui stesso ad aver chiesto di avviare una riflessione in vista del prossimo ottobre? 

In questi ultimi anni, il Magistero della chiesa si è appoggiato sul pensiero del teologo svizzero Hans Urs von Balthasar, che nel testo Il complesso antiromano. Come integrare il papato nella chiesa universale, ha introdotto il principio mariano-petrino della chiesa di Roma. Con questo principio, il teologo svizzero tentava di spiegare come tutte le chiese fossero incluse nel primato della Chiesa romana. Eppure la visione mariano-petrina godette di così larga fortuna che passare agli archetipi è stato molto veloce. Da Paolo VI, la chiesa ha di fatto ricamato una retorica sul ruolo delle donne nella chiesa sempre più coincidente con una funzione spaziale da occupare: in quanto custode del focolare, la donna incarnerebbe il lato materno della chiesa, una interiorità che è cura, accudimento. Papa Francesco stesso lo ha ribadito in più occasioni. 

Durante il congresso internazionale Donne nella Chiesa: artefici dell’umano del 7 marzo scorso, ha dichiarata: «La Chiesa ha bisogno di questo, perché la Chiesa è donna: figlia, sposa e madre, e chi più della donna può rivelarne il volto?». Con acutezza, la teologa e biblista Marinella Perroni scriveva su L’Osservatore Romano due anni fa: «I bipolarismi sono sempre seduttivi perché illudono. Fanno credere che le differenze si possano risolvere in una formula e la complessità possa essere contrabbandata con la semplificazione […]. Anche perché è diventato ormai del tutto chiaro che forme di esaltazione mistica del femminile sono direttamente proporzionali al rifiuto di riconoscimento pubblico dell’autorità delle donne». Anche Michela Murgia, che in Ave Mary cita sovente Perroni, non nascondeva l’imbarazzo per questa semplificazione che la chiesa fa della teologia: «Von Balthasar stava esponendo la stessa equazione simbolica che le donne cristiane sperimentavano sulla propria pelle da secoli: al principio maschile spetta il potere e l’amministrazione delle cose ecclesiali, a quello femminile la custodia e la cura delle cose intime», facendo di fatto delle donne «silenti detentrici di un potere muto che rappresenta però il perno su cui si fonda il potere dotato di voce e che determina un intero sistema familiare, sociale ed ecclesiale saldamente patriarcale». 

A questo potere muto penso a tutte le volte in cui papa Francesco parla delle donne, rivendicandone la scalata in posti apicali. Lo scorso anno, uno studio commissionato dall’organo di stampa vaticano sottolineava l’aumento delle donne all’interno della Città dello Stato del Vaticano: oltre mille dipendenti rispetto alle 846 di inizio pontificato per un aumento percentuale di quasi il 4 per cento. Percentuale che aumenterebbe nettamente in Curia romana, con un dipendente su quattro donna. È innegabile che, durante il pontificato di Francesco, le donne abbiano raggiunto ruoli dirigenziali: «Cinque donne ricoprono il grado di sottosegretario e una il grado di segretario di un Dicastero – specifica Vatican News -. I segretari e i sottosegretari sono rispettivamente il secondo e il terzo livello dirigenziale nella maggior parte degli enti della Curia e fanno parte della squadra direttiva insieme al prefetto. Questi livelli sono di nomina papale. Al Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, Papa Francesco ha nominato per la prima volta nel 2021 un segretario donna, la religiosa italiana Alessandra Smerilli. Si tratta dell'incarico più alto mai ricoperto da una donna presso la Santa Sede». Rivendicare questo primato è davvero sufficiente se poi si pretende di mettere il punto non solo a una discussione contemporanea, ma soprattutto a quegli studi che hanno dimostrato l’assenza di basi nella Scrittura che escludano le donne? Come spiega Maggi: «Nei Vangeli, la realtà che emerge è che, è vero, le donne non sono uguali agli uomini. Ma perché stanno a un livello superiore. Gli uomini danno tutti esempi negativi. Le donne invece no, salvo due personaggi, che guarda caso sono legate al potere: Erodiade, colei che detiene, e la madre dei figli di Zebedeo, che ambisce al potere per i figli. Loro, che nella cultura del tempo, erano considerate lontano da Dio, sono invece vicine, perché Dio dà loro il ruolo degli angeli». 

Gli studi e le ricerche non mancano. Basti citare teologhe come Marinella Perroni, Cristina Simonelli, Selene Zorzi o Alice Bianchi e il Coordinamento Teologhe Italiane, che portano avanti da anni un dibattito serio sul tema. In un libro pubblicato pochi mesi fa, scritto da Lucia Vantini, Linda Pocher e Luca Castiglioni, Smaschilizzare la chiesa, la teologa Vantini invita ad «aprire uno di quei conflitti che non si giocano frontalmente, ma che nascono dal desiderio di portare il discorso a un altro livello. Un livello in cui gli argomenti non possono essere usati per escludere o cancellare alcuna vita». Il conflitto, spiega Vantini, è la necessaria frizione fra due visioni del mondo che tirano in ballo le differenze perché – se di sintesi vogliamo parlare – esse non spariscano. Vedere la chiesa come un contesto diviso fra due poli complementari manca di concretezza e non abbatte gli stereotipi che rafforzano, invece, una visione monocentrica del potere. Visione che – spiega Maggi – è superata già dal Vangelo: «L’unico episodio della vita di Gesù in cui Dio dice di annunciare la Parola riguarda una donna che compie una cosa inaudita, cioè unge il capo di Gesù. Si tratta di un gesto inaudito, perché l’unzione sul capo era riservata ai sacerdoti e ai profeti. Eppure, nella comunità di Marco è la donna che compie la funzione sacerdotale». 

Non basta mettere le donne ai vertici, se le si pone in una nicchia. Se, in linea di continuità con i pontificati precedenti, il papa in poche, scarne parole, pronuncia parole che mettono il punto a un tema che non può avere pretese dogmatiche. Significherebbe farle entrare di nome in un universo ancora che resta maschile. Fiducioso in una inevitabile apertura, Alberto Maggi conclude ricordando la liberazione dell’apostolo Pietro: «Fuori dal carcere, Pietro va nella comunità presieduta da Maria, madre di Giovanni Marco. Non in quella di Giacomo, rigida e intransigente. La chiesa, l’assemblea che sceglie il primo papa è quella di Maria, presieduta da una donna». 


Marco Grieco 


Fonte: Vanity Fair


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