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Vito Mancuso “Perché non possiamo fare a meno di ciò che ci intrappola. La via della liberazione passa dall’acquisire fiducia”

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intervista a Vito Mancuso
a cura di Lucia De Ioanna
Repubblica, 3 maggio 2024

“Non ti manchi mai la gioia. Voglio, però, che ti nasca in casa: e ti nascerà, se sorge dentro di te”: così scriveva Seneca a Lucilio in una lettera che è un messaggio nella bottiglia per i posteri, per noi tutti quindi, come sa bene Vito Mancuso, uno tra i più autorevoli teologi e filosofi contemporanei, che nel suo ultimo saggio, Non ti manchi mai la gioia. Breve itinerario di liberazione (Garzanti) proprio a partire dalle parole del filosofo contemporaneo di Gesù offre al lettore una bussola tutta interiore per orientarsi verso una gioia che, come avvertiva già Seneca, non è uno scherzo ma è una cosa molto seria: “Verum gaudium res severa est”.


Occasione preziosa per ascoltare le riflessioni del teologo, profonde e accessibili perché sempre connotate da un’affabilità non di superficie che è apertura all’altro, la conversazione con Vito Mancuso Per una vita autentica che sappia sperimentare la gioia di vivere che si terrà il 4 maggio alle 18 nel Palazzo Ex Orsoline Spazio Of di Fidenza all’interno della terza edizione dell’Lsd Festival Libri Suoni Destinazioni, quest’anno intitolato Sogno e son desto. 


Le trappole in cui ci sentiamo costretti, che abbiano l’aspetto delle fiere incontrate da Dante, di una foresta buia, di un labirinto, di uno schermo o dello scarafaggio in cui Kafka trasformò Gregor Samsa, come avverte Mancuso, “esistono in realtà solo dentro di noi, sono i nostri pensieri sbagliati”. Se la letteratura fin dalle sue origini insegna che siamo in lotta da sempre con questa sensazione di stallo e di impotenza, con la sensazione di essere braccati e senza scampo, quello che è cambiato, avverte Mancuso, è il nostro modo di reagire. Siamo passati dal cercare una via d’uscita nella religione a cercarla in una nuova fede che celebra il culto dell’Io: ma il narcisismo è solo un’altra forma della trappola. 


Per potersi liberare, occorre prima di tutto conoscere la condizione della trappola? 

 "Ovidio, duemila anni fa, descrivendo il suo rapporto con Corinna, scrive ‘Né senza di te, né con te, sono capace di vivere’, condizione cantata ai nostri giorni dagli U2 nella stessa forma: ‘With or without you / I cant’t live’. La trappola è tale perché non possiamo fare a meno di ciò che ci intrappola: con Corinna la vita era diventata un inferno, ma senza di lei lo sarebbe stata perfino di più”. Prendere coscienza significa avvertire che l’essere intrappolati non è condizione contingente, occasionale, ma “riguarda l’esistenza umana nella sua totalità”: gli ambiti vitali in cui si dispiega la nostra esistenza, “proprio perché danno vita e risultano indispensabili, legano a sé e quindi intrappolano”. 


Quali sono le trappole di cui non possiamo fare a meno? 

“Possiamo vivere senza l’amore? No, ma l’innamoramento è spesso un assillo, un travaglio, un incubo da cui è difficile liberarsi. La tecnologia può essere una trappola come l’economia soprattutto quando produce emissioni tali da produrre un cambiamento climatico; non possiamo fare a meno della democrazia anche se la democrazia, ridotta a populismo, è diventata sempre più ritualismo, meccanismo fine a se stesso che ha sempre meno a che fare con la vita reale e i suoi problemi”. 


Il discorso di Mancuso si rivolge all’interiorità del singolo, senza la pretesa di offrire facili formule che possano dischiudere un accesso a mondi situati fuori dal recinto che ci stringe perché, qualunque esso sia, in qualche modo ci siamo dentro come avverte Caproni nella sua Saggia apostrofe a tutti i caccianti: ‘Fermi! Tanto / non farete centro. / La Bestia che cercate voi, /voi ci siete dentro’. 


Ma, se il pensiero è ciò che imprigiona, è nello stesso tempo anche ciò che libera: “La radice della trappola e della liberazione è la stessa, la mente, e la sua produzione continua che si chiama pensiero”. In questa direzione, una filosofia autentica è cura della vita, avverte Mancuso, “liberazione della mente e del cuore dall’ignoranza che riguarda se stessi”. 


Quale gioia è possibile ottenere liberandosi, per quanto possibile, dalle maschere, dalle apparenze, dalle trappole del mondo? 

"La gioia di cui parlo è accordo di sé con se stessi, a differenza della felicità che è accordo di sé con il mondo. La felicità dipende da condizioni esterne a noi e per questo è una condizione effimera. Lo dice bene Lucio Dalla, che era un amico: Ah felicità / su quale treno della notte viaggerai… / Lo so / che passerai / ma come sempre in fretta / non ti fermi mai…”. La gioia, invece, è un sentimento stabilizzato che può diventare anche una virtù, una forza che esercitiamo, un movimento della coscienza che torna su di sé e dice di sì alla condizione umana”. 


“Conosci te stesso”, era l’invito scritto sul tempio di Apollo a Delfi: la gioia è eudemonia, ascolto del sacro che è nell’animo? 

"Sì, è proprio così: il mio pensiero è molto greco, per quanto dire ‘greco’ è generico dato che greco era Socrate così come lo era chi lo uccise. Ma, certo, c’è una potenzialità spirituale dentro di noi coltivando la quale si può giungere a quell’accordo di sé con sé, a quella eudemonia o gioia di esistere che per Seneca era ‘res severa’, una cosa seria”. 


Una cosa seria, molto diversa dal divertimento, come avvertiva Pascal, quindi? 

"Esattamente, gioia è il contrario del divertimento che rimanda a divergere da sé, mentre occorre convergere. Conversione significa trovare un centro vitale e sicuro dentro di sé, preziosissima interiorità per la quale esistono tanti nomi nelle diverse spiritualità: Atman e Brahman per la tradizione hindu, isola del sé per il buddhismo, cuore dentro il cuore per il taoismo, daimon per i greci. Giungere a questa profondità di se stessi, riconoscerla, coltivarla, nutrirla e proteggerla: da qui scaturisce la gioia di esistere”. 


Nella parola accordo è racchiusa la parola cuore: per una pedagogia della gioia occorre anche rivolgersi al cuore e a quella parte profonda e irrazionale di noi che si esprime nel sogno, nelle passioni, nella poesia? 

“Certo, oggi siamo fortissimi nell’analisi, nello scindere, nello scomporre, ma siamo carenti nel comporre, nel parlare all’integralità dell’animo. Ai nostri ragazzi offriamo strumenti analitici ma non offriamo un’educazione complessiva. Abbiamo bisogno di nutrire tanto l’emisfero sinistro, sede del pensiero logico-razionale e calcolante, quanto l’emisfero destro, sede del pensiero che sente, delle emozioni. Ma viviamo in una cultura nella quale ‘irrazionale’ significa in prima istanza qualcosa di negativo, di falso e superstizioso, ma non è così. Certo, esiste l’irrazionale nocivo che si pone come contrario alla razionalità ma esiste anche un irrazionale che si pone come complemento, ed è quella dimensione da lei evocata nella domanda quando parla di sogno e di poesia e, aggiungo, utopia, speranza, ispirazione, innamoramento. Se nell’amore ci fosse qualcosa di razionale allora sarebbe calcolo e non innamoramento”. 


In questo senso, se l’esattezza coincide con il razionale, con ciò che può essere afferrato e definito dalla ragione, "la verità è ben più dell’esattezza: è energia, forza, passione, una condizione che coinvolge mente e cuore”. 


Il gratuito e l’indisponibile sono messi all’angolo se il soggetto diventa una specie di “vorace buco nero verso cui affluiscono merci, persone e meraviglie di ogni tipo”? 

“Sì, perché posso entrare in relazione profonda con l’altro solo se metto in gioco tutto me stesso. Altrimenti, usando solo la ragione calcolante, l’altro, considerato nella sua dimensione socio-economica, sarà un cliente, un bel corpo, un potente da cui ricevere favori, uno strumento per i miei interessi. Se invece metterò in gioco anche dimensione emozionale, l’altro sarà un amico, un amore, un amante, una persona che riempie la mia vita. Per aprirsi occorre fiducia ma la malattia di cui soffriamo è la sfiducia nella vita: la via della liberazione passa dall’acquisire fiducia, dal recuperare speranza guardando alla vita non come a una trappola mortale". 


Nonostante quella della trappola sia una condizione strutturale e non contingente dell’esistere, occorre coltivare la speranza come atto di fiducia in una possibile liberazione, quindi? 

"Il sogno a cui la filosofia è chiamata a tornare è stato espresso da Adorno, in chiusura dei Minima moralia: la filosofia, al cospetto della disperazione, è il tentativo di considerare tutte le cose come si presenterebbero dal punto di vista della redenzione. Tutto il resto è tecnica, mestiere. Quello che conta è coltivare la fiducia generando, come scrive Adorno, un punto di vista sottratto, sia pure di un soffio, al cerchio magico dell’esistenza”. Un compito tanto paradossale quanto necessario per la vita: “Adorno è consapevole che si tratta di un compito impossibile, perché è ragionevolmente impossibile sottrarsi al cerchio dell’esistenza, ma la questione della realtà o irrealtà della redenzione non è rilevante”. 


Che cosa significa? "Significa che a volte la verità utile alla vita, grazie alla quale ci si può sottrarre alla trappola, non proviene da una realtà che si vede e che si tocca, e in questo senso non è razionale. Ma da quando la vita concreta è razionale?”.





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