Vito Mancuso "Nel nome del Signore"
Credo che la maniera migliore di commentare la nomina del cardinale Matteo Zuppi a presidente
della Conferenza episcopale italiana sia di istituire un confronto tra lui e coloro che l'hanno
preceduto in quella carica. Assumendo il governo del cardinal Bassetti come un periodo che
definirei di transizione, penso che il vero confronto vada istituito con il duo Ruini-Bagnasco che per
ben 26 anni, precisamente dal 1991 al 2017, hanno guidato la Cei in stretta continuità tra loro.
Ebbene, se mettiamo in parallelo le personalità Ruini-Bagnasco e quella del neopresidente Zuppi il
risultato che emerge, a mio avviso, è il seguente: da un lato l'istituzione, dall'altro il movimento; da
un lato la politica, spesso declinata anche come "partitica", dall'altro la società; da un lato la forma e
talora la formalità, dall'altro la spontaneità e la fantasia; da un lato la tradizione, dall'altro
l'innovazione; da un lato la sicurezza, dall'altro la volontà di infondere coraggio (il che è un'altra
cosa dal dare sicurezza, perché chi dà sicurezza toglie la libertà, mentre chi infonde coraggio toglie
la paura mantenendo la libertà). Insomma, da un lato il potere della Chiesa gerarchica, dall'altro il
servizio della Chiesa comunità. Da un lato la Chiesa di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI,
dall'altra quella di Francesco. So bene che in ambito ecclesiale non si amano queste
contrapposizioni e si tende a sottolineare ovunque lo svilupparsi lineare e concorde dell'unica
tradizione e dell'unico carisma, ma ci sono duemila anni di storia ecclesiastica a mostrare nel modo
più evidente che le differenze esistono e che spesso si esplicitano proprio nelle contrapposizioni
sopra evidenziate. E come l'elezione di Bergoglio ha determinato la leadership dell'ala profetica e
progressista nella Chiesa cattolica, così la nomina di Zuppi fortemente voluta da Bergoglio è
destinata a introdurre anche nella Chiesa italiana il primato della profezia e di quelle evoluzioni che
genericamente chiamiamo progresso.
Non è facile il compito della Chiesa italiana oggi, come non è facile in genere il compito di essere
cristiani in Occidente. Non lo è perché le nostre società apprezzano l'anti-istituzionalità, la
ribellione, il no più del sì, premiano le alternative e gli alternativi, e quindi istintivamente non
amano le istituzioni portatrici di una lunga e pesante tradizione, tra le quali primeggia la Chiesa
cattolica. Papa Francesco risulta tanto popolare esattamente per la sua carica alternativa, un Papa
non papale, quasi laico con quelle sue scarpe nere del tutto normali, e il cardinal Zuppi oggi alla
guida della Chiesa italiana ha uno stile personale del tutto simile, senza minimamente atteggiarsi a
"bergogliano" perché egli è proprio così di suo, e anzi complessivamente è più dolce e più mite di
Bergoglio che invece, da antico gesuita, sa essere talora aspro e direttivo.
Ma il punto vero riguarda il mondo, non la Chiesa, perché la Chiesa esiste per il mondo, non per sé,
e anzi quando è in funzione di sé e non del mondo tradisce la missione per cui venne fondata. E
all'interno di un mondo come l'attuale risentito verso il passato e spaventato ancora più del futuro,
un mondo privo di certezze se non quelle del denaro e del piacere che nulla hanno a che fare con
l'etica e che per questo non sanno infondere il bene più prezioso che è la pace interiore, un mondo
in cui sono sempre di più coloro che risultano completamente analfabeti in materia religiosa, in
questo mondo delle pandemie e delle guerre, dell'emergenza climatica e delle migrazioni, in questo
mondo che sembra appartenere più al diavolo che a Dio, qual è il contributo che può dare la Chiesa?
Me lo chiedo pensando a Matteo Zuppi che da anni conosco personalmente e con il quale ogni tanto
andavo nella trattoria a due passi dall'arcivescovado bolognese osservando come in quei quattro
passi per strada fossero numerose le persone che lo fermavano e lo salutavano, e come egli avesse
uno sguardo e una parola per tutti. Ma ecco il primo contributo della Chiesa: umanità, fraternità,
superamento delle solitudini, senso di comunità, gentilezza, calore umano, genuina accoglienza.
L'evangelizzazione passa da qui, senza umanità e comunità non c'è oggi nessun Vangelo che tenga.
È esattamente quello che papa Francesco vuole dei vescovi e dei preti: che abbiano "l'odore delle
pecore", metafora evangelica per dire la capacità di vicinanza dei sacerdoti alla gente.
C'è però anche bisogno di un altro odore, quello dell'incenso. Intendo il bisogno di recuperare il
senso del sacro e della liturgia perché troppo spesso le messe sono celebrazioni formalistiche e
chiassose dove il senso del mistero si perde, dove non si prega, dove si ascoltano prediche scontate,
non ci si raccoglie, non si medita, e ci sono ben poche tracce di spiritualità. Qui passa a mio avviso
uno dei fronti più urgenti della missione della Chiesa italiana e sarebbe un errore fatale trascurarlo,
o peggio ancora rendere la liturgia dominio dei tradizionalisti anticonciliari, gente non priva di forti
accentuazioni fasciste e antisemite. La Chiesa italiana deve lavorare per ritrovare la sacralità e la
bellezza antica della liturgia, e far riassaporare il suo mistero non a dispetto del mondo
contemporaneo ma donando a questo mondo, ormai privo di riti degni di questo nome, ciò che esso
ha perduto: il sacro, il mistero, la solennità. Anche questo mi aspetto dal cardinale Zuppi presidente
della Cei e so che egli è in grado di lavorare al riguardo. Meno di una settimana fa eravamo seduti
insieme nella Sala Rossa del Lingotto a ragionare sul teologo luterano Dietrich Bonhoeffer davanti
al pubblico del Salone del Libro di Torino. Il tema era: "Trovare Dio in ciò che conosciamo", una
frase che Bonhoeffer scrisse in una lettera del 30 maggio 1944. Ebbene, io mi attendo che il nuovo
Presidente dei vescovi aiuti il nostro Paese a trovare Dio. Sono sicuro che anche i laici ne
trarrebbero beneficio, perché non si tratta di tornare tutti in Chiesa in processione in fila per due,
come forse avrebbero voluto i precedenti presidenti della Cei. Si tratta piuttosto di "mettere ordine
nella propria vita", per riprendere l'espressione di Ignazio di Loyola che il cardinal Martini
ricordava molto spesso, il che può avvenire solo in presenza di un principio ordinatore – che poi lo
si chiami Dio, o giustizia, bellezza, verità, amore, bene, è una questione tutto sommato secondaria.
Dall'ordine introdotto nella propria vita nasce il coraggio, ciò di cui il nostro tempo ha un bisogno
urgente, come dell'aria che si respira. Si tratta di dare coraggio a questo nostro tempo spaventato,
spaventatissimo. Una volta insieme in trattoria gli proposi una grande assemblea sulla paura: tre,
quattro, cinque giorni in cui convocare le più interessanti personalità italiane, credenti e no, a
raccontare le loro paure. Mi ascoltò con interesse, poi non ne fece nulla, immagino non trovò il
tempo. Ora però ha a disposizione le leve del comando della Chiesa italiana, non tanto, ovviamente,
per fare l'assemblea, quanto per infondere coraggio. Etimologicamente coraggio significa azione del
cuore, con il termine formato dal latino "cor-cordis" e dal suffisso -aggio che esprime l'azione
specifica del sostantivo (come spia-spionaggio, vagabondo-vagabondaggio e così via). Zuppi ha un
grande cuore, lo so, quindi le carte in regola per la missione più importante che lo aspetta.