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Siamo entrati nella Supersocietà. Diventeremo stupidi o più liberi?

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martedì 24 maggio 2022 

Il brano che pubblichiamo in questa pagina è tratto dal nuovo libro di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti «Supersocietà. Ha ancora senso scommettere sulla libertà?» (Il Mulino, 240 pagine, 16 euro), un saggio acuto e originale che offre nuove chiavi di lettura sulla crisi del globalismo smascherata dal succedersi delle emergenze planetarie, ultime la pandemia e la guerra. In Università Cattolica Chiara Giaccardi insegna Sociologia e Antropologia dei media e Mauro Magatti Sociologia. Da tempo sono editorialisti di «Avvenire».

Dopo la pandemia, la guerra. La serie ormai nutrita di shock globali – siamo al quarto in ventuno anni ( Torri Gemelle, Lehman Brothers, coronavirus, Ucraina-Russia) – dovrebbe convincerci che la stagione della globalizzazione, inaugurata dalla caduta del muro di Berlino, è definitivamente tramontata. Siamo oltre la modernità liquida: è arrivato il momento di fare i conti con gli effetti entropici del modello di sviluppo che ha dominato il passaggio di secolo. Il cambiamento è accelerato: la questione della transizione ecologica – percepita finalmente come rilevante da larga parte dell’opinione pubblica – si incrocia con una digitalizzazione ormai già avanzata, mentre è l’intero quadro geopolitico planetario a essere in fibrillazione. Così oggi si deve far quadrare il cerchio: governare gli esiti di una pandemia che non si lascia debellare e allo stesso tempo ripensare il senso dello sviluppo, nel quadro del paradigma tecnico digitale e del delicato processo di costruzione di un nuovo ordine mondiale.

Un attraversamento per nulla sicuro: aperto nella direzione, incerto nei risultati, difficile nei passaggi. Con opportunità straordinarie e rischi altrettanto ingenti. Di fronte ai nuovi, ardui problemi da risolvere, l’organizzazione sociale, ormai planetaria, è chiamata a rispondere con un aumento di complessità. Stiamo entrando nella supersocietà, un inedito intreccio tra processi già in corso da tempo, che si caratterizza per la convergenza di tre dimensioni: la stringente inter-dipendenza tecno-economica su scala globale; il nesso inestricabile tra azione umana e biosfera; l’assorbimento sempre più spinto della soggettività nel processo di autoproduzione sociale. A differenza della globalizzazione (e delle sue narrazioni), la supersocietà non origina un processo uniforme, bensì una integrazione non lineare che, mentre spinge verso una maggiore verticalizzazione, aumenta le disuguaglianze e apre nuovi conflitti. Non un assetto univoco né rigido, ma una nuova cornice per interpretare le dinamiche del tempo che stiamo cominciando a vivere.

Superata la fase dell’espansione planetaria, ci troviamo davanti a una biforcazione. I due principali vettori del cambiamento, sostenibilità e digitalizzazione, ruotano infatti attorno a un’ambivalenza di fondo: ci porteranno verso un mondo distopico, centralizzato e burocratizzato, verso una 'stupidità di massa' dove la libertà personale è confinata al puro spazio del divertimento? Oppure apriranno la via per una società più desiderabile, dove la libertà sarà ancora l’elemento cardine per tenere insieme sviluppo economico e democrazia? Una domanda che diventa ancora più pressante se si allarga lo sguardo alla situazione mondiale, dove gli equilibri tra democrazia e autocrazia, che dopo il 1989 tendevano decisamente verso il primo polo, oggi sembrano subire l’attrazione fatale dei modelli che non amano la libertà. Il destino della supersocietà è dunque apertissimo: occasione per un passo in avanti, a partire dal riconoscimento della costitutiva relazionalità della vita o per una regressione dentro una spirale di verticalizzazione, conflitto, esclusione?

Per l’Occidente, in particolare, si prospetta una vera e propria scelta di civiltà: decidere, ancora una volta, che è la libertà – e con essa la democrazia e l’iniziativa personale, il pluralismo, la sussidiarietà, la solidarietà, la pace – la carta vincente per affrontare le nuove sfide della fase post-pandemica. Una scelta tutt’altro che scontata e a costo zero: solo sovrainvestendo sulle persone e la qualità delle nostre relazioni personali e istituzionali possiamo pensare di farcela. Non in astratto, ma molto concretamente, con un massiccio e consapevole investimento nell’educazione, nelle organizzazioni, nei territori. La successione degli shock sollecita il superamento dell’'individualismo dell’individualizzazione' che per diversi decenni è stato il modello culturale egemone. Che vogliamo riconoscerlo o no, la libertà consumeristica non basta più. La supersocietà ci chiede di andare oltre. Semplicemente perché, nel bene e nel male, siamo tutti legati: tra di noi e con l’ambiente, a livello planetario.

Non è affatto detto che ce la faremo. Ma risultati arriveranno se torneremo a interrogarci su quel bene inestimabile che è la libertà. Dopo gli anni dell’io e della concorrenza, per sfuggire alla rabbia e all’aggressività crescenti, viene il tempo del noi e della collaborazione. O meglio, di quello che Alexis de Tocqueville chiamava 'l’interesse bene inteso'. Dentro ogni singolo Paese e a livello internazionale. Proprio perché è una relazione, la libertà vive infatti di alleanze, legami, riconoscimenti: pubblico e privato, imprese e territorio, scuola e mondo del lavoro, innovazione e tradizione, scienza e religione, Occidente e Oriente. Nel comune sforzo di aprire varchi nel 'tutto pieno' delle procedure, dei protocolli, delle regolazioni. Di contrastare le nuove forme di dominio e di odio violento. Di comprendere meglio l’intreccio delle interdipendenze entro cui si dà la vita sul pianeta. Di combattere le fratture sociali e le disuguaglianze. Di prevenire, o almeno contenere, i potenti venti di guerra che soffiano in tante parti del mondo, e che oggi investono pericolosamente la stessa Europa. Di allestire spazi contributivi non ancora saturi e capaci di ospitare azioni capaci di dialogo con la realtà che cambia in continuazione.

Per procedere in questa direzione occorre uno sguardo 'farmacologico' nei confronti di quella leva straordinaria che è la tecnologia, necessaria per ogni realistico percorso di transizione. Senza mai dimenticare, però, che la tecnologia è curativa e tossica allo stesso tempo. Mentre potenzia, indebolisce. Per quanto essenziale, la tecnologia da sola non ci salverà. Quanto mai necessaria, essa non è però sufficiente per realizzare i cambiamenti che ci servono. E tantomeno per costituire un orizzonte di senso condiviso che li renda possibili. Per scongiurare le spinte distopiche che la attraversano, la supersocietà ha dunque bisogno di una nuova epistemologia, che la liberi dal 'mantello di ferro' di una ragione ridotta a calcolo.

Accanto ai superpoteri dell’intelligenza artificiale serve potenziare il sapere concreto dell’intelligenza umana diffusa: fatta di errori e fallimenti, ma anche di comprensione dei problemi, di condivisione delle prospettive, di concretezza delle soluzioni. Un’intelligenza vivente, non sclerotica, dialogante, non ingabbiata dalle procedure e invece capace di orientarle e sottoporle a critica. Un’intelligenza libera. E cioè in relazione. Nella rete di una responsabilità condivisa, nella direzione di un avvenire che ancora non c’è ma verso cui possiamo tendere insieme.

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