Enzo Bianchi "I vescovi italiani e la crisi della fede"
Oggi si apre l’assemblea dei vescovi italiani chiamati innanzitutto a leggere insieme l’oggi di Dio per la Chiesa, scrutare i segni dei tempi che devono indirizzare le scelte e delineare, per il futuro prossimo, i passi da osare. Non è un’ora facile, perché si è fatta sempre più evidente la crisi ecclesiale in molti suoi aspetti.
Dopo la pandemia le piazze sono tornate a riempirsi, ma le chiese restano vuote, con una diminuzione di partecipanti alle assemblee liturgiche che inquieta e deve interrogare. Le motivazioni che di consueto vengono individuate per illustrare questa crisi iniziata negli anni ottanta – secolarizzazione, mutamento di vita nella società del benessere, consumismo, relativismo morale – non sono più sufficienti a spiegare l’accelerazione con la quale siamo stati introdotti in una società post-cristiana e in una cultura dalla quale il cristianesimo è stato espulso. Avevamo annunciato tempi in cui le chiese cristiane avrebbero avuto lo statuto di minoranze, ma eravamo certi che sarebbero state minoranze capaci di inoculare diastasi salutari nella società. Oggi non ne siamo più sicuri: l’indifferenza verso il cristianesimo è talmente imperante che sembra aver sopito la domanda di senso.
Difficile definire questo fenomeno: non è declino, non è decadenza morale, non è mancanza di pensiero autorevole, ma resta un venir meno silenzioso, visibile solo per chi frequenta le chiese e constata una fuga soprattutto dei giovani dalla liturgia. Abbiamo speso cinquant’anni per l’evangelizzazione, in un impegno che la Chiesa italiana ha saputo onorare e vivere seriamente, eppure il risultato è una sterilità crescente.
La Chiesa italiana ha cercato con fatica nuove strade, ispirandosi in modo convinto al concilio Vaticano II più di altre Chiese europee, e tuttavia ciò che le resta da riconoscere è che l’attuale crisi è innanzitutto della fede.
L’affermazione spaventa, ma occorre avere il coraggio di questa denuncia: non manca la testimonianza (sempre inadeguata al Vangelo!), non manca la disponibilità a lavorare, perché la Chiesa oggi è stanca, esaurita, ma manca la fede a partire dal popolo di Dio. Se non si crede che Gesù Cristo è vivente, è risorto da morte e ha vinto la morte, che ragione c’è a professarsi cristiani? Se non si crede che la morte è solo un esodo, che ci saranno un giudizio sull’operato umano e una vita oltre la morte, perché si dovrebbe diventare cristiani e perseverare in questa appartenenza? Non basta l’etica per essere cristiani: gli esseri umani sanno darsi un’etica. Non basta la spiritualità: gli esseri umani sanno crearsela. Ma se non c’è più la memoria che trasmette la fede, come sarà possibile essere cristiani? Oggi la “chiesa brucia”, il “gregge è smarrito” e soprattutto diviso più che mai, ma se non ci si interroga sulla fede l’agonia in Europa continuerà. I vescovi italiani sapranno indicare che la vera urgenza è ridestare la fede “nuda e appesa alla croce”, senza rincorrere l’opinione dominante e senza ridurre la fede a messaggio etico?