Massimo Recalcati "Scienze. Come resistere all’odio"
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La Repubblica, 2 gennaio 2022
Lo psicoanalista offre un ascolto raro perché privo di giudizio morale. Non è affatto frequente. Egli
ascolta senza mai pretendere di misurare le vite di coloro che gli parlano. Il suo silenzio onora così il
valore della parola. Ma chi gli parla in questo tempo così difficile cosa racconta? Quali sofferenze
lamenta? Quali disagi manifesta e quali annuncia per il nostro prossimo futuro? Il trauma della
pandemia ha innanzitutto accentuato la pulsione securitaria, ovvero la spinta a proteggere la propria
vita, a rinchiudersi, a vivere con diffidenza e sospetto la presenza degli altri.
Per alcuni la riapertura non è stata salutata con entusiasmo, ma con angoscia. Meglio restare confinati,
garantiti nel proprio spazio sicuro che non riprendere la vita all’aperto, divenuto luogo di insidie e
terrori. Non a caso sono diventate più frequenti le crisi di panico a segnalare la perdita di punti di
riferimento solidi. L’attacco di panico segnala la paura nei confronti del carattere ingovernabile della
vita soprattutto quando essa appare in balia di forze oscure rispetto alle quali ci scopriamo inermi.
Per questo il panico, da un punto di vista clinico, si associa frequentemente a una angoscia depressiva:
cosa ne sarà di noi, di me, delle persone che amo, della mia famiglia, del mio lavoro, del nostro
mondo? Le nostre vite sono diventate più fragili. La diffusione in aumento di panico e depressione
denuncia questa condizione. La nostra vita è presa dentro una strana forbice: non possiamo fare a
meno dell’altro, ma nutriamo ancora paura nei suoi confronti in quanto luogo potenziale di infezione.
Il distanziamento non è stata solo una misura sanitariamente necessaria ma anche un atteggiamento
mentale che non sarà facile correggere.
Ma accanto a questi sintomi crescono la rabbia e il risentimento. Le situazioni di crisi profonda
tendono sempre a fomentare la tendenza all’odio. Le grandi industrie farmaceutiche, le istituzioni, i
migranti, i politici, il governo, i virologi, i giornalisti, ma persino medici e infermieri sono divenuti i
nuovi oggetti d’odio. In gioco non è più un solo oggetto rigidamente determinato, quale è stato negli
ultimi anni, per esempio, l’extracomunitario, ma una miscellanea inquietante di pezzi staccati
accomunata dal fatto di evocare lo spettro di un complotto generale contro le nostre vite e i loro
inalienabili diritti.
Attendiamoci, dunque, l’intensificarsi dei sentimenti collettivi di rabbia e di odio. Nei momenti di
profonda crisi è necessario identificare un colpevole, un responsabile maligno per scaricare il peso
della frustrazione che tale crisi provoca. L’odio è alternativo alla fatica della solidarietà.
La spinta all’odio sarà allora la tentazione maggiore nel nostro prossimo futuro? È possibile. Ed è per
questo che diventa necessario resistere individualmente e collettivamente a questa tentazione. È un
compito di civiltà. L’odio promette di raggiungere il bersaglio distruggendo l’avversario senza
rispettare la legge della parola che impone la rinuncia della violenza dell’odio come condizione per
vivere insieme. Fare prevalere la “follia” della fratellanza sulla lucidità dell’odio diviene allora il
compito di tutti coloro che non vogliono lasciare alla morte l’ultima parola.
Un mio paziente delirante esprimeva bene questa condizione quando parlando di ciò che lo aspetterà
nel prossimo futuro mi diceva che avrebbe voluto gettare una bomba per liberarsi in un colpo solo
dai suoi terrificanti persecutori. La bomba allucinatoria dell’odio, diversamente dalla parola, promette
di risolvere in un solo colpo quello che la parola persegue faticosamente lungo le vie tortuose della
democrazia. Ma è proprio questa fatica che ci rende umani: non legittimarsi all’odio, ma prepararsi a
rinunciare alla sua promessa delirante.
La semina dell’odio non è mai una buona semina. Risposi al mio paziente che poteva lasciare la sua
bomba nel mio studio e che ci avrei pensato io a disinnescarla. Intanto lui poteva prendersi del tempo
per trovare una soluzione migliore. Il pensiero, diversamente dalla condizione allucinata dell’odio,
necessita di un tempo lungo. In questo senso la fratellanza è amica del pensiero e antagonista all’odio.
Ma non può essere solo una retorica, quanto un lavoro. Mentre l’odio agisce demolendo, la fratellanza
agisce costruendo. È quello che ci attende nell’anno che verrà: il conflitto tra chi ama costruire (Eros)
e chi milita nel partito variamente colorato della violenza dell’odio (Thanatos).