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Enzo Bianchi "La forza della sobrietà"

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La Repubblica - 31 gennaio 2022
per gentile concessione dell’autore.

Ci sono fatti, eventi, che turbano sempre chi ne viene a conoscenza, ma ce ne sono alcuni che perdono la loro capacità di scandalizzare, di provocare indignazione, di sollevare inquietudine e interrogativi nelle persone e nella società di oggi. In questi ultimi giorni l’ONU ha notificato che la popolazione mondiale ha raggiunto gli otto miliardi, e che di questa umanità quasi un miliardo soffre la fame e può conoscere soltanto una vita minacciata dalla morte a causa di carestie, guerre, violenze, disastri naturali. Ma accanto a questo dato bisogna accostarne un altro che rende ancora più scandalosa la situazione: un terzo del cibo prodotto sulla terra va perduto o viene sprecato e non arriva alla bocca degli affamati e sottoalimentati nelle diverse regioni del pianeta.

 

Certamente i cittadini ne sono diventati più consapevoli in questi ultimi decenni, nei quali questa produzione e questo spreco hanno generato anche inquinamento e ferito la salute della terra, perché anche l’intero sistema agroalimentare è responsabile delle emissioni che inquinano aria, terra e acqua. Ma l’abitudine al consumo sfrenato – quella bulimia che ha per oggetto la quantità e la diversità dei cibi presenti sui nostri mercati – ci ha fatto perdere la consapevolezza che questa patologia sociale ha delle implicazioni a livello di giustizia. La sobrietà, infatti, prima ancora di essere una virtù è segno di giustizia praticata nell’attenzione agli altri, a quelli che non hanno pane e che nella loro fragilità hanno bisogno delle nostre cure.

 

Confessiamolo: non sappiamo neppure più pronunciare la parola “temperanza”, virtù cardine dell’etica occidentale, e parlare della sobrietà come atteggiamento che rende onore a chi la pratica. Eppure già nel mondo greco Solone ci lasciava un adagio esigente: “Niente di troppo!”. E poi tutte le forme di sapienza, da quella dei filosofi antichi a quella dei contadini, lo hanno sempre ripreso tra i precetti di vita: “Da’ prova di misura”, “Non esageriamo…”.

 

L’eccesso mostra che non si sa governare l’esistenza e neppure ordinare i propri appetiti: non solo quello del cibo, ma anche quello del denaro, del potere, del successo. Noi umani siamo abitati da istinti e passioni oscure che finiscono per divorarci se non teniamo conto degli altri, del fatto che costituiamo un “noi”, una comunità che è intrinsecamente solidale.

 

Sobrietà a livello personale significa riconoscimento e accettazione del limite, diventare consapevoli che non tutto ciò che è possibile tecnicamente o economicamente deve entrare in nostro possesso. La sobrietà non è tiepidezza, non è in alcun modo rinuncia ascetica mortificante, ma è un tragitto di libertà, l’assunzione di una forza che sa subordinare alcuni bisogni per dare valore ad altri, senza sognare un’onnipotenza che noi umani non abbiamo. La sobrietà è quella postura che ci permette di riconoscere il valore di ogni cosa e non solo il suo prezzo sul mercato, una dimensione che, interiorizzata, orienta l’esistenza verso prospettive non ossessionate dal “sempre di più!”.

 

Ma si può ancora fare questo discorso quando assistiamo a un oceano di trasmissioni televisive e quintali di supplementi dei giornali che mai hanno parole di sapienza antropologica ed enogastronomica sul cibo? Quando il cibo viene sempre più ostentato in un’abbuffata continua di animali divoranti,  e non di esseri umani che a tavola sanno celebrare insieme la vita?

 

Siamo otto miliardi, il cibo prodotto basterebbe per tutti se non fosse buttato, e la terra sarebbe meno malata se non ignorassimo la necessità di un’equa distribuzione delle risorse. La bulimia dell’abbondanza di cibo, lo sfruttamento del pianeta, il disinteresse verso le conseguenze future del nostro agire, insieme al grande male della fame di intere popolazioni, sfigurano l’umanità e sono un’offesa al cosmo intero.

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