Rosanna Virgili "Una grande gioia"
Rosanna Virgili per AlzogliOcchiversoilCielo
“Ricevi questo segno della nostra fede e cattedra della verità e della carità di Cristo, annuncialo con la vita, le azioni e la parola”: il segno è il crocifisso.
Sentire queste parole di Francesco, domenica scorsa conferendo il ministero ai catechisti, ci ha riportato alle parole stesse di Gesù rivolte, anche da Lui, a uomini e donne, a persone giovani e anziane, a gente venuta da ogni dove, ed è davvero emozionante: sembra che il corso del tempo si disarticoli e si faccia un assoluto presente, immerso nella libertà dell’escaton, di ciò che è, si trasforma e, unicamente, resta.
Sì, perché “in principio” fu così, che Gesù “se ne andava per città e villaggi predicando e annunciando la buona notizia” e coinvolgendo in queste sue attività i Dodici ma anche le Tre donne – Maria di Magdala, Giovanna e Susanna – e i numerosi altri discepoli – Luca parla dei “Settantadue” - che si aggiungevano lungo il cammino.
Quando Gesù si apprestò, poi, a salire al cielo, ritirandosi dalla terra, Egli fece spazio a chi restava: gli apostoli, la madre, le altre donne, i suoi fratelli e tanti altri; “erano circa centoventi”, dice il libro degli Atti, narrando l’inizio della storia della Chiesa.
Unica era l’eredità, unico il mandato: l’eredità della Parola – alito di Dio su tutto il Creato – e il mandato dell’annuncio, che era il Vangelo della Vita. Gesù non si trovava nel tempio ma sul colle, dall’altra parte di Gerusalemme, presso quell’Oliveto dove - nell’ultima notte della sua vita terrena - si era presentato nella sua verità di un Figlio e d’un fratello bisognoso di abbraccio, di solidarietà, di fedeltà. S’era fatto sposo e carne degli umani, senza più diaframmi di santuari e templi, senza più separazioni o elezioni murate in un sacro separato dal profano, né prigioniero di grate teologiche o ontologiche, antropologiche o dogmatiche di sorta.
In quell’Orto Gesù si incarnava in un perfetto “prossimo”: sia vestito di sangue, come l’uomo incappato nei briganti, sia vestito di misericordia, come il Buon Samaritano. Da quel monte, proprio così, come prossimo di tutti noi e per tutti noi, Gesù “consegnò” la missione alla chiesa nascente, consegnò “sé stesso” nello splendore di una carne d’inermità e di Resurrezione. Consegnò la Sua Parola, con la stessa immediatezza, con quella solennità e semplicità con cui l’ha fatto, domenica scorsa, anche Papa Francesco.
Per troppo tempo il rapporto dei laici con la Parola di Dio, nella Chiesa Cattolica, è rimasto un rapporto di distanza, di “adorazione” spesso dell’ignoto, di occhi o d’orecchi passivi, e non di tatto, di contatto, di mani e di voce. Che sono quei “sensi” indispensabili con cui Gesù svolgeva la sua missione e che consegnò, appunto, ai suoi amici, prima di ascendere al Cielo.
Per questo oggi possiamo parlare di una restituzione a tutti dell’eredità e del mandato. Quello originario, quello della sorgente, quello della fede cristiana kerygmatica, apostolica, biblica.
E solo a margine della condivisione di questa grande gioia, non voglio, però, omettere un’osservazione. I grandi media televisivi hanno trasmesso questo evento interpretato esclusivamente da maschi e quasi affatto da sacerdoti. Un segno ancor più contrastante se unito alle parole di alcuni intervistati che hanno detto che l’istituzione del ministero del catechista sia stata indotta da un problema numerico relativo alla mancanza di sacerdoti. O a chi ha aggiunto che i ministeri conferiti – compreso quello del lettorato – siano caratteristici delle nazioni extraeuropee dove da tempo si sono sviluppate le missioni – l’Amazzonia e altre regioni difficili - ribadendo, pertanto, che si tratta di una supplenza tesa a coprire, appunto, l’assenza dei preti.
Sebbene si possa persino pensare che una tale ragione sia stata provvidenzialmente sospinta dallo Spirito, è davvero mirabile – e altrettanto inquietante - la capacità di mistificare e imprigionare nei tentacoli di un neo-clericalismo i neonati ministeri laicali!
Sarebbe una deriva davvero avvilente se pensiamo a quante donne e uomini ormai da decenni dedicano la loro vita all’annuncio e all’insegnamento della Bibbia, alle decine di migliaia di laici che preparano già da molti anni i nostri figli per i Sacramenti dell’iniziazione cristiana anche in Occidente e qui in Italia, e al ritardo, sempre più irrecuperabile, che la Chiesa cattolica ha sul riconoscere e dare nome e dignità ai ruoli essenziali delle donne in merito al ministero – in senso più esteso - della Parola, sia nelle famiglie, sia nel lavoro, nell’educazione e nella ricerca, nelle strutture sociali e politiche, nonché nelle più varie forme di realtà ecclesiali. E se pensiamo a quanto, soprattutto, l’umanità, prima ancora della Chiesa, ha bisogno di catechisti che portino il pane della Parola di Dio.
Ciò detto la gioia per questa giornata non si priva di un solo fotone e assoluti sono la nostra fiducia e il nostro impegno, perché come Mosè - per la sua bellezza! – fu salvato dalle acque dell’Egitto, così accadrà, di certo, anche ai neonati Ministeri.