Luciano Manicardi "Regole per delle scelte etiche. Un itinerario formato da sei parole chiave"
Regola
Serietà
La serietà è il prerequisito per costruire un comportamento etico. È condizione di base per avvicinarsi con atteggiamento di riguardo e di attenzione alle cose e alle questioni quale che sia la loro entità, minore o maggiore. Essa riguarda il come si fanno le cose, il come si lavora. È l’andare a fondo delle questioni, l’evitare la superficialità e il far finta di niente, è il rifiuto di delegare, di scaricare su altri i problemi, di agire per compiacere qualcuno. Di essa fanno parte la riflessività, la diligenza, il contegno che porta a non reagire di fronte a un problema chiedendosi quale possa essere il proprio tornaconto o il danno che ne verrebbe alla propria posizione. La serietà rifiuta di porsi di fronte ai problemi guardandoli dall’ottica dell’eventuale vantaggio da trarne. È anche discrezione e riservatezza nei confronti di compiti che altri ci affidano. Scelta individuale, la serietà è anche atteggiamento che si diffonde, così come può disturbare. La troppa serietà del singolo può portarlo a non lasciar correre e ad andare a fondo delle cose fino ad arrivare a scoprire ciò che si vorrebbe rimanesse celato e non detto, nascosto nell’omertà: cordate, collusioni, cricche, lobby, favoritismi, interessi personali… Serietà è poi valutare gli effetti che le nostre scelte possono avere su altri, ed è anche ponderatezza, dar peso (pondus) alle cose. La serietà non si permette di svicolare, di tagliar corto, di rispondere meccanicamente e in modo elusivo. Essa mostra tatto e diventa rispetto.
Rispetto
Il rispetto, arte della stima reciproca, è anzitutto il guardare con attenzione, il guardare indietro (re-spicere), l’osservare con riguardo. Il rispetto sa valutare i limiti e attenersi a essi, conosce i confini del proprio operare e non travalica. Soprattutto, il rispetto pone le basi per la creazione della fiducia, che è dimensione necessaria per l’instaurarsi di rapporti etici. La creazione di un clima di fiducia è fondamentale opera di leadership. Se sento fiducia, mi sento al sicuro, sono motivato e mi impegno con entusiasmo. Come si costruisce la fiducia? In particolare, con la parola e con l’esercizio della leadership. Parola e potere concorrono per costruire fiducia o, al contrario, diffidenza, sospetto, sfiducia e, dunque, malumore e demotivazione. E questo rappresenta un terreno fertile per comportamenti eticamente scorretti. Quando si parla, si esercita sempre un potere e molti atteggiamenti non etici sono suscitati da un uso della parola arrogante, scortese, violento, irrispettoso, che presume che l’altro sappia ciò che non può o non è tenuto a sapere [2]. Se viene meno la fiducia ecco che comportamenti reticenti, ricerca del proprio interesse ed egoismi si fanno strada [3].
Se per farsi accettare, i capi diminuiscono ogni giorno la loro serietà e si fanno meno esigenti, tolgono fondamento alla loro stessa autorità.
Lealtà
Sulla fiducia si costruisce la lealtà. Lealtà è legame, alleanza, sintonia, accordo in vista di obiettivi da raggiungere e percorsi da costruire insieme. La lealtà dev’essere coltivata da chi fornisce gli obiettivi dando adeguate spiegazioni e motivazioni. Nella lealtà la volontà si impegna per un fine, un obiettivo. E la volontà è questa facoltà complessa che implica che colui che vuole, obbedisca anche a ciò che vuole. Colui che vuole dà un comando a sé stesso e vi obbedisce. La capacità di volere è importante per l’edificazione di una persona che sappia determinarsi eticamente. Se il legame di lealtà, non di fedeltà cieca o di adulazione, non viene posto in essere, si aprono gli spazi per atteggiamenti individualisti, di difesa di sé, di arroccamento al proprio posto. L’etimologia di lealtà rinvia anche alla legge e all’elezione, alla scelta: la lealtà è scelta quotidiana. Il leader, chi governa e comanda, deve saper farsi scegliere ogni giorno come leader: egli non lo è solo in virtù del suo ruolo, ma deve saper meritare quotidianamente sul campo la conferma [4]. Se per farsi accettare e ri-scegliere, i capi diminuiscono ogni giorno la loro serietà e si fanno meno esigenti, tolgono fondamento alla loro stessa autorità. E allora si cade nella collusione, nella mentalità mafiosa. C’è un comportamento mafioso che si materializza in lobby, cricche, cordate, complicità, coperture reciproche, scambi di favori, creazione di amici-alleati e di relativi nemici. La lealtà poi, si accompagna alla sincerità.
Sincerità, lealtà e rispetto portano a un uso della parola veritiero, che non calunnia, non intimidisce, non ricatta. Un uso etico della parola.
Sincerità
I comportamenti etici abbisognano della chiarezza della sincerità, del riconoscere che c’è del torbido e nominarlo e che c’è del pulito e dirlo. Sincerità è schiettezza, arte del parlare libero. Si avvicina alla virtù della parresía [5], la franchezza, la libertà di parola, centrale nell’antica democrazia ateniese. La sincerità non equivale a dire tutto, ma a non fingere e a non mentire. Sincerità è comunicazione chiara, che non inganna, non imbonisce e non illude. Si oppone all’opacità, alla melma in cui si diffondono le calunnie, le parole che turbano e avvelenano le relazioni, instaurano rapporti di potere, creano sfiducia. Clima melmoso in cui può proliferare la corruzione. Sincerità è anche leale riconoscimento di errore, fuggendo i meccanismi di autogiustificazione e di scaricamento delle responsabilità su altri [6]. Anche i capi devono assumere la capacità di riconoscere e portare in prima persona gli errori commessi. Questo non mina, ma anzi rafforza l’autorevolezza di una persona. Sincerità, lealtà e rispetto portano a un uso della parola veritiero, che non calunnia, non intimidisce, non ricatta. Un uso etico della parola. L’uomo sincero è l’eroe della parola. In una situazione in cui la parola è manomessa al fine di manipolare le coscienze e ottenere potere su di esse, in cui la verità è beffeggiata e stravolta, “l’uomo di parola”, ovvero colui che è veridico, che osa una parola limpida, rigorosa, e si dispone a pagarne il prezzo, si troverà emarginato. L’aveva ben capito Charles de Montesquieu nel suo “Elogio della sincerità”: “Un uomo semplice che ha solo la verità da dire è visto come il perturbatore del piacere pubblico. Lo si fugge perché non piace affatto; si rifugge dalla verità che egli proclama, perché è amara, dalla sincerità che egli professa perché dà solo frutti aspri, e la si teme perché è umiliante, perché ferisce l’orgoglio, passione prediletta, perché è un pittore veridico, che ci mostra deformi come in realtà siamo” [7]. La parola sincera è la parola senza maschera, anzi che smaschera i giochi di potere e la corruzione dei corrotti [8]. Questa parola coraggiosa è espressione della responsabilità personale.
Responsabilità
La responsabilità situa il singolo in un legame costitutivo con altri [9]. Essa mi porta a rispondere di me, del mio comportamento, del mio lavoro, dei miei errori, ad altri e alla mia coscienza. Sottolineo un’unica dimensione della responsabilità. Re-spondeo, verbo che significa “rispondere” e da cui deriva il termine “responsabilità”, ha in sé anche il significato di “promettere”. Spondeo significa “promettere”. Nella responsabilità c’è l’assunzione di un impegno verso altri e il mantenimento di una promessa fatta. Una persona con statura etica è capace di promettere e di mantenere le promesse. La promessa, secondo Friedrich Nietzsche, è “memoria della volontà” e, come tale, implica la responsabilità. Nietzsche afferma che la storia dell’uomo che ha imparato a promettere, a dare durata alla volontà fino a costruire storie, legami, appartenenze, “è la lunga storia dell’origine della responsabilità” [10]. Certo, promettere è delicato. Non si può promettere qualsiasi cosa (“promettere la Luna”) [11]. La dismisura nella promessa diventa menzogna. Inoltre, promettere è sempre promettersi, disporsi a rispondere di sé come futuro. Nel promettere io istituisco un’obbligazione (nei miei confronti: comando a me stesso) e un diritto (nel destinatario della promessa: mi obbligo nei suoi confronti). La promessa mantenuta crea fiducia e rende affidabile colui che ha promesso. E dice la capacità dell’uomo di essere in ciò che dice e in ciò che fa: nelle sue parole e nelle sue azioni. Ma qui giungiamo al vertice del nostro cammino, l’integrità.
Gioire della contentezza che viene dalla coscienza che fare il bene è sempre anche farsi del bene.
Integrità
La persona ha una sua compiutezza che fa sì che essa tenga unite in sé le competenze professionali, le doti umane e relazionali. Integrità rinvia a ciò che è intero, incorrotto, non rotto. E dunque neppure doppio. Integrità rinvia a rettitudine e correttezza, a irreprensibilità, solidità e consistenza. L’uomo integro ha basi interiori solide e non è manipolabile da chiunque e nemmeno esposto a qualunque instabilità. È incorruttibile. L’integrità rinvia così all’onestà. E onestà, etimologicamente, richiama l’onore. La persona onesta viene onorata e lodata per sé stessa, ancor prima che per le sue azioni e per prodotti del suo agire. È anche la persona che sa abitare sé stessa, che è contenta di sé. E può gioire di quella contentezza che viene dalla coscienza che fare il bene è sempre anche farsi del bene.
Bibliografia