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Luciano Manicardi "Regole per delle scelte etiche. Un itinerario formato da sei parole chiave"

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Regola

L’etimologia della parola “regola” rinvia alla radice reg- che significa il “movimento che traccia una linea retta”. In questa nozione convivono una dimensione materiale e una morale. “La ‘retta’ rappresenta la norma; regula, è ‘lo strumento per tracciare la retta’ che fissa la regola. Ciò che è retto si oppone nel campo morale a ciò che è stortocontorto; ora, poiché retto equivale a giustoonesto, il suo contrario, storto, contorto si identificherà con perfidomentitore, ecc.” [1]. La dimensione etica è dunque nel dna della “regola”. E l’etica è la modalità con cui l’uomo abita il mondo, e lo abita con altri uomini. Come la casa delimita un territorio, segnala un dentro e un fuori, dà riparo e sicurezza, così l’etica traccia confini, ispira regole, delimita ruoli e funzioni, segnala ciò che è da fare e ciò che è da evitare. L’etica è la casa degli umani, essenziale per il loro abitare il mondo. Non a caso il vocabolo greco êthos, da cui proviene il termine “etica”, ha anche il senso di “dimora”, “abitazione”.
Propongo dunque un itinerario attraverso alcune parole che, nel loro insieme, compongono un’etica minima dei comportamenti che può agire come bussola che orienta il vivere con gli altri. 
Questo itinerario è formato da sei parole chiave che sono altrettanti comportamenti che pongo in scala: serietàrispettolealtàsinceritàresponsabilitàintegrità.

Serietà

La serietà è il prerequisito per costruire un comportamento etico. È condizione di base per avvicinarsi con atteggiamento di riguardo e di attenzione alle cose e alle questioni quale che sia la loro entità, minore o maggiore. Essa riguarda il come si fanno le cose, il come si lavora. È l’andare a fondo delle questioni, l’evitare la superficialità e il far finta di niente, è il rifiuto di delegare, di scaricare su altri i problemi, di agire per compiacere qualcuno. Di essa fanno parte la riflessività, la diligenza, il contegno che porta a non reagire di fronte a un problema chiedendosi quale possa essere il proprio tornaconto o il danno che ne verrebbe alla propria posizione. La serietà rifiuta di porsi di fronte ai problemi guardandoli dall’ottica dell’eventuale vantaggio da trarne. È anche discrezione e riservatezza nei confronti di compiti che altri ci affidano. Scelta individuale, la serietà è anche atteggiamento che si diffonde, così come può disturbare. La troppa serietà del singolo può portarlo a non lasciar correre e ad andare a fondo delle cose fino ad arrivare a scoprire ciò che si vorrebbe rimanesse celato e non detto, nascosto nell’omertà: cordate, collusioni, cricche, lobby, favoritismi, interessi personali… Serietà è poi valutare gli effetti che le nostre scelte possono avere su altri, ed è anche ponderatezza, dar peso (pondus) alle cose. La serietà non si permette di svicolare, di tagliar corto, di rispondere meccanicamente e in modo elusivo. Essa mostra tatto e diventa rispetto.

Rispetto

Il rispetto, arte della stima reciproca, è anzitutto il guardare con attenzione, il guardare indietro (re-spicere), l’osservare con riguardo. Il rispetto sa valutare i limiti e attenersi a essi, conosce i confini del proprio operare e non travalica. Soprattutto, il rispetto pone le basi per la creazione della fiducia, che è dimensione necessaria per l’instaurarsi di rapporti etici. La creazione di un clima di fiducia è fondamentale opera di leadership. Se sento fiducia, mi sento al sicuro, sono motivato e mi impegno con entusiasmo. Come si costruisce la fiducia? In particolare, con la parola e con l’esercizio della leadershipParola e potere concorrono per costruire fiducia o, al contrario, diffidenza, sospetto, sfiducia e, dunque, malumore e demotivazione. E questo rappresenta un terreno fertile per comportamenti eticamente scorretti. Quando si parla, si esercita sempre un potere e molti atteggiamenti non etici sono suscitati da un uso della parola arrogante, scortese, violento, irrispettoso, che presume che l’altro sappia ciò che non può o non è tenuto a sapere [2]. Se viene meno la fiducia ecco che comportamenti reticenti, ricerca del proprio interesse ed egoismi si fanno strada [3].

Se per farsi accettare, i capi diminuiscono ogni giorno la loro serietà e si fanno meno esigenti, tolgono fondamento alla loro stessa autorità.

Lealtà

Sulla fiducia si costruisce la lealtà. Lealtà è legame, alleanza, sintonia, accordo in vista di obiettivi da raggiungere e percorsi da costruire insieme. La lealtà dev’essere coltivata da chi fornisce gli obiettivi dando adeguate spiegazioni e motivazioni. Nella lealtà la volontà si impegna per un fine, un obiettivo. E la volontà è questa facoltà complessa che implica che colui che vuole, obbedisca anche a ciò che vuole. Colui che vuole dà un comando a sé stesso e vi obbedisce. La capacità di volere è importante per l’edificazione di una persona che sappia determinarsi eticamente. Se il legame di lealtà, non di fedeltà cieca o di adulazione, non viene posto in essere, si aprono gli spazi per atteggiamenti individualisti, di difesa di sé, di arroccamento al proprio posto. L’etimologia di lealtà rinvia anche alla legge e all’elezione, alla scelta: la lealtà è scelta quotidiana. Il leader, chi governa e comanda, deve saper farsi scegliere ogni giorno come leader: egli non lo è solo in virtù del suo ruolo, ma deve saper meritare quotidianamente sul campo la conferma [4]. Se per farsi accettare e ri-scegliere, i capi diminuiscono ogni giorno la loro serietà e si fanno meno esigenti, tolgono fondamento alla loro stessa autorità. E allora si cade nella collusione, nella mentalità mafiosa. C’è un comportamento mafioso che si materializza in lobby, cricche, cordate, complicità, coperture reciproche, scambi di favori, creazione di amici-alleati e di relativi nemici. La lealtà poi, si accompagna alla sincerità.

Sincerità, lealtà e rispetto portano a un uso della parola veritiero, che non calunnia, non intimidisce, non ricatta. Un uso etico della parola.

Sincerità

I comportamenti etici abbisognano della chiarezza della sincerità, del riconoscere che c’è del torbido e nominarlo e che c’è del pulito e dirlo. Sincerità è schiettezza, arte del parlare libero. Si avvicina alla virtù della parresía [5], la franchezza, la libertà di parola, centrale nell’antica democrazia ateniese. La sincerità non equivale a dire tutto, ma a non fingere e a non mentire. Sincerità è comunicazione chiara, che non inganna, non imbonisce e non illude. Si oppone all’opacità, alla melma in cui si diffondono le calunnie, le parole che turbano e avvelenano le relazioni, instaurano rapporti di potere, creano sfiducia. Clima melmoso in cui può proliferare la corruzione. Sincerità è anche leale riconoscimento di errore, fuggendo i meccanismi di autogiustificazione e di scaricamento delle responsabilità su altri [6]. Anche i capi devono assumere la capacità di riconoscere e portare in prima persona gli errori commessi. Questo non mina, ma anzi rafforza l’autorevolezza di una persona. Sincerità, lealtà e rispetto portano a un uso della parola veritiero, che non calunnia, non intimidisce, non ricatta. Un uso etico della parola. L’uomo sincero è l’eroe della parola. In una situazione in cui la parola è manomessa al fine di manipolare le coscienze e ottenere potere su di esse, in cui la verità è beffeggiata e stravolta, “l’uomo di parola”, ovvero colui che è veridico, che osa una parola limpida, rigorosa, e si dispone a pagarne il prezzo, si troverà emarginato. L’aveva ben capito Charles de Montesquieu nel suo “Elogio della sincerità”: “Un uomo semplice che ha solo la verità da dire è visto come il perturbatore del piacere pubblico. Lo si fugge perché non piace affatto; si rifugge dalla verità che egli proclama, perché è amara, dalla sincerità che egli professa perché dà solo frutti aspri, e la si teme perché è umiliante, perché ferisce l’orgoglio, passione prediletta, perché è un pittore veridico, che ci mostra deformi come in realtà siamo” [7]. La parola sincera è la parola senza maschera, anzi che smaschera i giochi di potere e la corruzione dei corrotti [8]. Questa parola coraggiosa è espressione della responsabilità personale.

Responsabilità

La responsabilità situa il singolo in un legame costitutivo con altri [9]. Essa mi porta a rispondere di me, del mio comportamento, del mio lavoro, dei miei errori, ad altri e alla mia coscienza. Sottolineo un’unica dimensione della responsabilità. Re-spondeo, verbo che significa “rispondere” e da cui deriva il termine “responsabilità”, ha in sé anche il significato di “promettere”. Spondeo significa “promettere”. Nella responsabilità c’è l’assunzione di un impegno verso altri e il mantenimento di una promessa fatta. Una persona con statura etica è capace di promettere e di mantenere le promesse. La promessa, secondo Friedrich Nietzsche, è “memoria della volontà” e, come tale, implica la responsabilità. Nietzsche afferma che la storia dell’uomo che ha imparato a promettere, a dare durata alla volontà fino a costruire storie, legami, appartenenze, “è la lunga storia dell’origine della responsabilità” [10]. Certo, promettere è delicato. Non si può promettere qualsiasi cosa (“promettere la Luna”) [11]. La dismisura nella promessa diventa menzogna. Inoltre, promettere è sempre promettersi, disporsi a rispondere di sé come futuro. Nel promettere io istituisco un’obbligazione (nei miei confronti: comando a me stesso) e un diritto (nel destinatario della promessa: mi obbligo nei suoi confronti). La promessa mantenuta crea fiducia e rende affidabile colui che ha promesso. E dice la capacità dell’uomo di essere in ciò che dice e in ciò che fa: nelle sue parole e nelle sue azioni. Ma qui giungiamo al vertice del nostro cammino, l’integrità.

Gioire della contentezza che viene dalla coscienza che fare il bene è sempre anche farsi del bene.

Integrità

La persona ha una sua compiutezza che fa sì che essa tenga unite in sé le competenze professionali, le doti umane e relazionali. Integrità rinvia a ciò che è intero, incorrotto, non rotto. E dunque neppure doppio. Integrità rinvia a rettitudine e correttezza, a irreprensibilità, solidità e consistenza. L’uomo integro ha basi interiori solide e non è manipolabile da chiunque e nemmeno esposto a qualunque instabilità. È incorruttibile. L’integrità rinvia così all’onestà. E onestà, etimologicamente, richiama l’onore. La persona onesta viene onorata e lodata per sé stessa, ancor prima che per le sue azioni e per prodotti del suo agire. È anche la persona che sa abitare sé stessa, che è contenta di sé. E può gioire di quella contentezza che viene dalla coscienza che fare il bene è sempre anche farsi del bene.

 

Bibliografia

[1] Benveniste E. Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee II. Potere, diritto, religione. Torino: Einaudi, 2001, p. 295.
[2] Carofiglio G. La nuova manomissione delle parole. Milano: Feltrinelli, 2021.
[3] Luhmann N. La fiducia. Bologna: Il Mulino, 2002.
[4] Quaglino GP, Ghisleri C. Avere leadership. Milano: Raffaello Cortina, 2004.
[5] Foucault M. Discorso e verità nella Grecia antica. Roma: Donzelli, 1996.
[6] Kant I, Constant B. La verità e la menzogna. Dialogo sulla fondazione morale della politica. Milano: Mondadori Bruno, 1996.
[7] Montesquieu C. Elogio della sincerità. Milano: La Vita Felice, 2007, p. 25.
[8] Breton P. Elogio della parola. Il potere della parola contro la parola del potere. Milano: Elèuthera, 2004.
[9] Jonas H. Il principio responsabilità: un’etica per la civiltà tecnologica. Torino: Einaudi, 1993.
[10] Nietzsche F. Genealogia della morale. In: Nietzsche F. Al di là del bene e del male. IV ed. Milano: Adelphi, 1986, p. 256.
[11] Manicardi L. La volontà. Il ruolo terapeutico 2012; 119: 19-43.

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