Rosanna Virgili: Le parole di papa Francesco. Quello sguardo delle donne, capace di creare comunione
«Questo fanno le madri: sanno superare ostacoli e conflitti, sanno infondere pace. Così riescono a trasformare le avversità in opportunità di rinascita e di crescita. Lo fanno perché sanno custodire, sanno tenere insieme i fili della vita». Davvero appassionata è stata, ieri, nella Giornata mondiale della pace, la parola di papa Francesco sulle donne.
A risonanza della sua omelia sarebbe bastato lo sguardo e la voce della splendida soprano sudafricana Pretty Yende, protagonista del Concerto di Capodanno nel giorno in cui a Città del Capo si celebravano i funerali di Desmond Tutu. Il Papa cita e attraversa lo «sguardo inclusivo» di Maria per andare a riflettere sulla capacità che hanno le madri di tessere fili di comunione al posto dei fili di ferro spinato di divisione. Il pensiero va certo alle donne bloccate coi loro bambini tra la Polonia e la Bielorussia o a quelle di Mytilene ghettizzate per mesi e mesi in aree di resistenze e rese.
Poco tempo fa, in occasione del suo viaggio in Grecia, il Papa è andato a trovarle e ad abbracciarle e deve essersi accorto, una volta ancora, di quanto sia importante proprio la loro resistenza e quell’inaudita speranza che le infiamma per la vita dei figli.
Francesco sembra meravigliato quando dice - a braccio - che: «Le donne sono così», capaci di guardare con il cuore e di tenere insieme «i sogni e la concretezza».
Una constatazione che fa pensare ancora alla Madre di Gesù che, all’angelo Gabriele che le parlava della grazia di una gravidanza, rispose: «Com’è possibile questo? Non conosco uomo». Sapiente concretezza che non chiudeva, però, l’orizzonte alla bellezza di poter dare casa allo Straniero e mensa allo Scartato; di dare dignità a un Figlio di Dio privo di proprietà - paterne! - sulla terra, di dare alloggio al Sogno di un Salvatore che - dal suo grembo - sarebbe stato pane per le miserie e medicina per le ferite dell’umanità.
In lei, in Maria, la dissolvenza di volti di milioni di donne che corrono in fretta a soccorrere la vita, che scelgono la sapienza della pace, l’artigianato della fraternità, rifiutando di armarsi di mitra e di divise da guerra. In lei, in Maria, l’anima e l’abito della Chiesa, lei «madre della cattolicità perché unisce, non separa», lei icona di una caparbietà d’amore universale. Francesco parla come chi, onestamente, deve riconoscere la "potenza" delle donne.
Colpisce il modo in cui egli ne tratta: con un ardore sincero ancorché velato di pudore, con una mitezza di stile e d’espressione, una castità di sguardo che mai farebbe della donna un suo possesso.
Il Papa passa lievemente, direi con gentilezza, accanto alla grandezza del femminile in tutto ciò che essa esprime ancor oggi. A un certo punto si lancia in una veemente invettiva contro la violenza sulle donne che insanguina le case, le famiglie e, quindi, il Corpo in cui Dio si è incarnato: «Ferire una donna è oltraggiare Dio, che da una donna ha preso l’umanità».
Una denuncia che tocca, pertanto, anche la Chiesa, "Sposa" del Signore e carne della sua stessa carne. A cui sono dirette, particolarmente, le parole della sua omelia che vogliono spiegare come sia ineludibile la donna per il presente e il futuro della Chiesa e indispensabile il suo sguardo: «che non si fa prendere dallo sconforto, che non si paralizza davanti ai problemi», che è «consapevole, senza illusioni» e che proprio quando è nel dolore «riesce ad andare al di là del dolore e dei problemi» ed è capace di offrire: «una prospettiva più ampia, quella della cura, dell’amore che rigenera speranza».