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Emanuele Borsotti "Il pozzo di Giacobbe: l’incontro di due seti"

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Emanuele Borsotti
 
Maggio Giugno 2021 


La narrazione del mistero pubblico di Gesù si apre con la scena di incontro fra assetati. Il Dio di Gesù Cristo si lascia incontrare nella sua sete, come avvenne a Sicar di Samaria, presso il pozzo di Giacobbe, dove Gesù sedette “affaticato per il viaggio” e chiese a una samaritana, venuta ad attingere acqua: “Dammi da bere “ (Gv. 4,6-7). Recita un verso di una sequenza medioevale: “Cercandomi, ti sedesti stanco…”, di quella stanchezza che è propria di un Dio alla ricerca dell’uomo. 
Dio si è fatto fatica, si è fatto possibilità di affaticarsi diventando uomo, incarnandosi. Ha preso un corpo di fatica – e anche un’anima di fatica – come un corpo di sofferenza, per amore. (J.L.Chrétien) 
E Agostino scriveva: “Non per nulla Gesù si stanca; non per nulla si stanca la forza di Dio; non per nulla si stanca Colui che, quando siamo affaticati, ci ristora... Gesù è stanco, stanco del viaggio e si mette a sedere; si mette a sedere presso il pozzo, ed è l’ora sesta quando, stanco, si mette a sedere. Ѐ per te che Gesù si è stancato nel viaggio. Vediamo Gesù pieno di forza e lo vediamo debole; è forte e debole: forte perché “in principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente è stato fatto”; e tutto è stato fatto senza fatica. La sua debolezza? “Il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. La forza di Cristo ha chiamato all’esistenza ciò che non era, la debolezza di Cristo ha impedito che si perdesse ciò che esisteva. Con la sua forza ci ha creati, con la sua debolezza è venuto a cercarci.” 
Così nell’ora più calda del giorno, sotto il sole di Samaria, bisogno di acqua e di un volto procedono insieme. Il desiderio porta sempre con sé una povertà, una lontananza, che è un tesoro. L’uomo si scopre, ogni giorno, essere di desiderio, in quanto “essere di mancanza”, segnato da un “vuoto attivo”, a partire dall’esperienza fondamentale della fame e della sete, e quindi alla ricerca di quanto può placare il nostro vuoto, estinguendo la nostra sete e saziando la nostra fame. Ma più in profondità la sete è sempre un incontro: “Il vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpello, con il suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo. L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza.” (EG 88) 
Il Cristo, pellegrino assetato, ci insegna la sete di quegli incontri che lasciano una traccia nel fluire del tempo: “Era circa l’ora sesta” annota l’evangelista, quasi a suggerire che quell’incontro, avvenuto su una terra straniera e inospitale, nella regione dei samaritani, in un’ora precisa della giornata, verso mezzogiorno, segna uno spartiacque temporale nella vita dei protagonisti, perché la prossimità con il Signore fa passare il nostro tempo umano, personale e interiore, da avanti Cristo (cioè prima di averlo conosciuto) a dopo Cristo (cioè dopo averlo incontrato), anzi a un tempo nuovo, ormai con Cristo, per lui e in Lui. 
“Come a dire che, se Dio siede stanco al pozzo dove è attesa la donna samaritana, dove è atteso ciascuno di noi, un Dio sfinito per questo incontenibile inseguirci, se Dio è stanco per noi, allora puoi dire che il sole splende alto. L’indigente è Dio, l’indigente è Gesù: “Dammi da bere”. Tu donna, tu uomo puoi dare qualcosa a Dio. A questo Dio assetato... Il Figlio di Dio lega il suo nome all’acqua, all’acqua viva. L’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna. Dio non è dove c’è l’acqua stagnante, l’aria asfittica, dove c’è la pesantezza e la noia. Dio è dove c’è l’acqua zampillante, che zampilla per la vita eterna. Se ti disseti a questo pozzo vero, a questa vera religione, se fai posto dentro di te allo Spirito di Gesù, anche in te si udrà il canto, il gorgogliare dell’acqua nuova, che non ristagna, ma che zampilla per la vita eterna. Acqua vera è ogni incontro. Se poi l’incontro è con Dio, con Gesù, è acqua che zampilla... Ti fa fiorire. Tu vedi nel vangelo la samaritana fiorire”. (A. Casati).
Infatti, come annotava ancora Agostino, Gesù “chiede da bere e promette da bere. Ѐ bisognoso come uno che aspetta di ricevere, ed è nell’abbondanza come uno che è in grado di saziare, poiché in realtà colui che chiedeva da bere, aveva sete della fede di quella donna”. Nella grazia di questo incontro, quella donna straniera – e noi con lei – ha potuto sperimentare come nei giorni di siccità, la parola è l’acqua e il volto di un amico la nuvola attesa. Ma la sete di quel mezzogiorno assolato di Samaria era già, misteriosamente, profezia di quell’arsura mortale, che ancora una volta farà dire a Gesù, sulla croce: “Ho sete”. “Dio ha sete che noi abbiamo sete di Lui” (Gregorio di Nazianzo), perché Dio desidera essere desiderato dalla sua creatura, desidera che nell’uomo arda la fiamma del desiderio di Lui, cioè la “sete di ascoltare la Parola del Signore”. Il Signore desidera il nostro desiderio per instaurare fra noi e lui la comunione di una reciproca donazione, e ha sete della nostra sete, per dissetarla. Ѐ questa la più concreta espressione dell’amore di quel Dio che, in Cristo, va alla ricerca dell’uomo, lo attende e lo attira a sé, con un’umanità colma della sua misericordia. 
Il Cristo assetato e capace di dissetare narra con la sua vita la compassione di Dio per gli uomini. “La misericordia coincide con il flettersi del cuore che non abbandona mai ciò che potrebbe perdersi”; il piegarsi dell’Amante sulle ferite dell’amato, infatti, “è una vera e propria passione per il perduto che non deve restare tale”, dato che agli occhi di Dio “non c’è mai un essere perduto che non possa ritrovare, prima ancora che lo chieda e se solo lo vuole, il legame con il dono” (G. Palumbo).

Tratto dal libro “Nudità della Parola” edito da Qiqajon
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