Francesco Cosentino "Abitare il presente senza grandi ideali"
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ABITARE IL PRESENTE SENZA GRANDI IDEALI
In alcune lezioni tenute nel febbraio del 1963, una delle figure più importanti della teologia protestante del Novecento come Paul Tillich, che pure era quasi alla fine della sua vita, affermava con una certa preoccupazione: «Ho deciso che ciò che negli ultimi anni mi preoccupa più profondamente è la questione: il messaggio cristiano (specialmente la predicazione cristiana) è ancora rilevante per le persone del nostro tempo? E se non lo è, qual ‘è la causa?»[1]. Poco dopo, Tillich si interrogava sull’ingresso nell’epoca postcristiana.
A
distanza di molti decenni, oggi, il teologo domenicano Dominique Collin,
afferma che «la cristianità è dietro di noi. Possiamo volerla far ritornare
come folklore, ma ciò che otterremo da questa operazione di restaurazione sarebbe
solo un simulacro»[2];
perciò, continua Collin, a preoccuparci non dovrebbe essere tanto la
scristianizzazione che avanza in Europa, quanto il fatto che il Vangelo,
imprigionato nei linguaggi e nelle forme tipiche della cristianità ormai
superata, venga visto a sua volta come “superato”, cioè come una bella storia
del passato, simile a una favola della nostra infanzia che oggi non ha però più
niente da dire. Dunque, un Vangelo diventato irrilevante.
A che punto siamo oggi
È
significativo – e non poco drammatico – il fatto di essere costretti a sostare sulla
stessa analisi di fondo a distanza di così tanti anni; se ciò da una parte
denota che i grandi cambiamenti epocali sono processi lunghi e che, al
contempo, le domande della fede sono poste per restare domande che attraversano
con pazienza tali cambiamenti senza lasciarsi ingabbiare da facili risposte,
dall’altra parte, però, si deve fare un esercizio di “onestà ecclesiale”: forse
non abbiamo ascoltato sul serio la voce che, già da tempo, la riflessione
teologica offre sulla crisi della fede nel contesto occidentale e, forse, non
abbiamo avuto il coraggio di lasciare il porto sicuro delle nostre strutture
pastorali e spirituali, per immaginare qualcosa di nuovo. Oggi, però, specialmente
per la difficoltà che si sperimenta nella trasmissione della fede alle nuove
generazioni[3],
la Chiesa è chiamata a fare una seria riflessione sul proprio compito
missionario, in un contesto socio-culturale che in qualche modo ha dimenticato
Dio e ha archiviato tra i miti del passato l’inaudito e sorprendente annuncio
del Vangelo.
Nel tempo del pluralismo
Siamo
da tempo portati dalla corrente della postmodernità. La cosiddetta società
postmoderna, su cui tanto è stato scritto e detto, ha in qualche modo inaugurato
un nuovo sentire interiore, una nuova visione della vita e della realtà e un
superamento di quella “ragione” che soggiaceva all’andamento del mondo, delle
relazioni sociali, della percezione del tempo e del futuro.
Si tratta di un tempo
che prende le distanze da tutte le “ragioni forti”, i valori assoluti, i grandi
ideali, le istituzioni che hanno pretesa di verità. Si preferisce semplicemente
abitare il presente nella sua finitudine quotidiana, senza porsi grandi
questioni, senza affidarsi a grandi ideali o progetti, senza farsi troppe
domande di senso, senza affidarsi a verità che hanno pretesa di orientare la
vita. L’avvento di questo nuovo sentire ha inaugurato una società plurale, in
cui ciò si mescolano visioni di fondo, valori, credenze, esperienze e stili di
vita.
Dunque,
la postmodernità avanzata ha generato un contesto nel quale la cifra dominante
è quella del pluralismo. Ciascuno di
noi, oggi, vive immerso in una variegata offerta idee, informazioni,
possibilità, scelte etiche, prospettive, senza più un centro. In
quest’orizzonte, ovviamente, ogni fede che abbia la pretesa di interpretare e
orientare la vita, viene guardata con sospetto. Questo fattore, insieme a tanti
altri, corrode da anni lo stato di salute del cristianesimo, mentre
specialmente in Europa avanzano una scristianizzazione massiccia e una sempre
più marcata indifferenza religiosa.
Dopo
il Covid
Non
si può sottovalutare, poi, la crisi generata dalla pandemia da Covid-19. Non si
può immaginare che si tratti di una parentesi e che tutto, prima o dopo,
ritornerà come prima. Al contrario, si tratta di un passaggio traumatico con il
quale bisognerà fare i conti. Oltre alle dinamiche economiche e politiche da
affrontare, l’uomo del nostro tempo - e
in particolare le future generazioni – vivono una sorta di “dopoguerra”;
specialmente nell’ambito della psicanalisi si enumerano i diversi contraccolpi
della pandemia: nuove e diffuse paure, difficoltà di gestione della solitudine,
problematiche nelle relazioni interpersonali, senso di angoscia riguardo al
futuro, necessità di interpretare gli aspetti di fragilità dell’esistenza come
la malattia, la sofferenza e la morte, ecc. Inoltre, la pandemia da coronavirus
ha messo in crisi la pacifica e scontata
fiducia nel progresso, nella velocità, nell’idolatria della produzione e del
rendimento; il modello planetario globale, imperniato sulla società dei
consumi, su una globalizzazione iniqua e su un capitalismo ingiusto è stato
messo definitivamente sott’accusa. Lo sfruttamento delle risorse e le ferite
inferte al benessere del pianeta, con gravi ripercussioni sulla questione
climatica, hanno reso particolarmente fragile la Terra, alimentando le
ingiustizie e sovraccaricando la già vulnerabile situazione di milioni di
persone povere.
Una
chiesa missionaria per questo tempo
Delineato il contesto
sociale e culturale, connotato dal pluralismo, dall’indifferenza religiosa e
dalle problematiche del dopo-Covid, occorre che la Comunità cristiana affronti una
seria riflessione teologica e pastorale, per rilanciare la missione evangelizzatrice
cui è chiamata. Il pluralismo sfida la Chiesa sul terreno dell’esercizio
dell’autorità e del potere, di un reale sviluppo della ministerialità laicale,
del ruolo delle donne, di una ridefinizione del ministero presbiterale e di un
nuovo stile, accogliente e ospitale, nell’abitare il mondo; l’indifferenza
religiosa invoca una rinnovata passione per l’annuncio del Vangelo in tutte le
sue forme, ritornando all’essenziale del messaggio e sperimentando linguaggi e
modelli nuovi, con un’attenzione particolare alla trasmissione della fede verso
le nuove generazioni; infine, una Chiesa che voglia farsi realmente compagnia
dell’umano e che annunci un Vangelo capace di custodire e promuovere la vita,
deve porsi accanto alle vulnerabilità generate dal Covid, essere cioè una
Chiesa dell’ascolto, della compassione, della solidarietà, ma anche di quella
carità evangelica che si traduce nell’impegno sociale e politica a difesa dei
poveri e del creato. Un’agenda fitta di temi, che ci chiede di esplorare nuove
vie per una rinnovata missione ecclesiale.
[1] P. Tillich, L’irrilevanza e la rilevanza del messaggio cristiano per l’umanità di
oggi, Queriniana, Brescia 2021, 37.
[2] D. Collin, Il vangelo inaudito, Queriniana, Brescia 2021, 7.
[3] Cfr. R. Repole, Il dono dell’annuncio. Ripensare la Chiesa e la sua missione, San
Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2021, 21. Sul tema, si veda anche la numerosa
bibliografia prodotta in questi anni da Armando Matteo.