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Frederic Manns "Giairo, il capo della sinagoga"

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L'Osservatore Romano 26 giugno 2021
Giairo, il capo della sinagoga

Continuiamo, nell’edizione del fine settimana, la pubblicazione di una serie di “racconti biblici”. Frederic Manns, noto biblista, professore emerito dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, rielabora, in chiave divulgativa e con uno avvincente stile narrativo, alcuni passi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Racconti integrati da interessanti annotazioni sugli usi di vita del tempo, sulle forme della spiritualità semitica e della cultura ellenistica, che trascinano il lettore dentro l’atmosfera in cui ha preso forma la Rivelazione.

Nelle sinagoghe si raccontava la storia biblica aggiungendo dettagli non presenti nel testo per renderlo più vivace. La saggezza accumulata nei secoli non può essere cancellata con un tratto di matita

Leggere la Bibbia attraverso i suoi personaggi è un metodo antico, almeno quanto la Bibbia stessa. Infatti, in uno dei testi sapienziali dell’Antico Testamento, il libro del Siracide, una lunga sezione viene dedicata agli “uomini illustri” della Bibbia (Sir 44-50). Anche nel Nuovo Testamento, il capitolo 11 della Lettera agli Ebrei fa l’elogio degli antenati nella fede. Questo significa che la narrazione biblica non è un elenco di eventi, e nemmeno un catalogo di sentenze teologiche, ma un intreccio di storie di persone, con le loro relazioni, le loro decisioni e la loro vita. Nella Genesi il tempo del riposo di Dio è quello dell’avvento degli esseri pensanti e delle figure diversificate.

Gesù era sempre il benvenuto a Cafarnao. Era capace di parlare semplicemente alla gente e sapeva mettersi alla portata di tutti. Le sue parabole riflettevano come in uno specchio la vita quotidiana. Quando parlava del Re che invitava al banchetto dato nel suo palazzo, tutti sapevano che il Re era Dio e che il palazzo era il Tempio dove tutti erano invitati. Le parole di Gesù erano accolte dalla gente semplice come la terra assorbe di notte la rugiada benefica.

Era stato nominato capo della sinagoga un dignitario istruito e stimato di nome Giairo. L’esorcismo operato da Gesù nella sinagoga il giorno di shabat lo aveva sconvolto. «Quell’uomo ha un potere eccezionale», ripeteva tra sé. Dopo molte esitazioni andò a trovare il maestro e lo supplicava di recarsi in casa sua, perché la sua unica figlia stava lottando tra la vita e la morte. Era una soluzione disperata e sua moglie era fuori di sé. Di più il clima caldo della zona non aiutava a trovare la guarigione. Rendeva nervosi tutti. Il maestro accettò l’invito del capo della sinagoga. Le persone che si accalcavano attorno a lui formavano una vera e propria barriera, tale da rallentarne i passi. Gesù custodiva la calma.

Mentre il capo della sinagoga parlava con Gesù e gli spiegava la situazione, un servitore, proveniente dalla sua casa, gli recò la ferale notizia: «È troppo tardi. Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il maestro?».

Quando Gesù udì queste parole, il suo viso si fece duro come la pietra. Guardò negli occhi il capo della sinagoga e gli disse: «Non temere, soltanto abbi fede». Giunto all’abitazione, il maestro prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni. Permise ai genitori della fanciulla di accompagnarlo. Disse al padre: «La bambina non è morta, ma dorme». Alcuni tra i presenti, sentendo queste parole, si fecero beffe di lui.

Gesù ordinò di far uscire le prefiche che stavano già intonando le lamentazioni funebri. Quando fu nella stanza prese la mano della ragazza dodicenne e le ordinò: «Talitha qum: Fanciulla, alzati». Tra la sorpresa generale ella si levò e si mise a camminare. Gesù la rese a suo padre. Gli astanti furono colpiti da stupore, compresi gli scettici che avevano sbeffeggiato il maestro. Gesù invitò i genitori a dar da mangiare alla loro figliola per convincerli che era viva. Si allontanò chiedendo che la notizia di ciò che era accaduto non fosse divulgata in modo scandalistico.

Queste raccomandazioni tuttavia non servirono a niente. La nuova si diffuse rapidamente in città: una forza straordinaria abitava nel rabbi di Nazaret che era addirittura capace di richiamare in vita i morti. Dio gli aveva affidato la chiave delle tombe come nel passato aveva fatto con il profeta Elia.

Il capo della sinagoga non sapeva come ringraziare Gesù. Il maestro lo invitò a lodare Dio e a rileggere le Scritture che commentava ogni shabat, in modo particolare il profeta Osea: «Venite, ritorniamo all’Eterno, perché egli ha lacerato, ma ci guarirà; ha percosso, ma ci fascerà. Dopo due giorni ci ridarà la vita, il terzo giorno ci farà risorgere e noi vivremo alla sua presenza».

Pietro, Giacomo e Giovanni si guardavano negli occhi: «Chi è questo? Da dove gli viene questa potenza?». Intanto dovevano proteggere il loro maestro che tutti volevano toccare ed avvicinare. Le loro domande li seguiranno fino a Naim, quando il maestro risuscitò il figlio di una vedova che portavano al cimitero, e quando a Betania il maestro richiamò alla vita l’amico Lazaro che da tre giorni stava nella tomba dicendo: «Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà».

Tre personaggi furono richiamati dalla morte alla vita dalla parola del Maestro. Il primo era nella casa, il secondo sulla via del cimitero e il terzo nella tomba. Il profeta Daniele aveva annunciato la risurrezione finale per i giusti. Ma le sue parole non erano molto chiare. I Sadducei non credevano nella risurrezione dei morti. Giairo ci credeva. Chi aveva ragione? Esiste veramente un’altra vita?

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