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Frederic Manns "Il suo nome era un programma: Dio è bontà"

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L'Osservatore Romano 12 giugno 2021
Giovanni Battista

Continuiamo, nell’edizione del fine settimana, la pubblicazione di una serie di “racconti biblici”. Frederic Manns, noto biblista, professore emerito dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, rielabora, in chiave divulgativa e con uno avvincente stile narrativo, alcuni passi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Racconti integrati da interessanti annotazioni sugli usi di vita del tempo, sulle forme della spiritualità semitica e della cultura ellenistica, che trascinano il lettore dentro l’atmosfera in cui ha preso forma la Rivelazione.

A Roma l’imperatore Tiberio regnava incontrastato. Il suo viso sottile, un po’ ossuto e dagli zigomi prominenti dava un’impressione di tristezza, rafforzata dalla bocca stretta e dalle labbra serrate. In una provincia lontana e poco nota, la Giudea, un uomo irsuto, dal viso scarno, vestito di pelli di cammello in perfetta aderenza alla tradizione inaugurata dal profeta Elia cominciava a far parlare di sé. Sul suo viso barbuto non compariva alcun segno di tristezza. I suoi occhi penetranti gli conferivano un’aria profetica. Nato miracolosamente da un padre anziano, il sacerdote Zaccaria e da una madre sterile, egli non predicava la ribellione contro Roma che occupava la Giudea, ma i suoi sermoni toccavano i cuori e attiravano folle di persone. Incitava ad una conversione intima più che al cambiamento di strutture politiche. Il suo nome, Giovanni, era un programma perché significava «Dio è bontà».

Si era stabilito sulle rive del Giordano, dove la tradizione localizzava l’apostolato del profeta Elia. Ad alcuni chilometri a sud, in un centro di spiritualità, gli Esseni predicavano la predestinazione. Giovanni non condivideva la loro ideologia perché richiedeva la conversione, che suppone un minimo di libertà. Somministrava un battesimo di acqua per ricordare che l’alleanza nuova annunciata dai profeti richiedeva una purificazione: «Vi purificherò dalla vostre sozzure e vi darò un cuore nuovo».

Giovanni, quando veniva interrogato dalle autorità religiose, rispondeva: «Io sono la voce di uno che grida nel deserto preparate la via del Signore». Annunciava la venuta del Regno di Dio che si sarebbe abbattuto sul mondo come un fulmine. Tutti lo chiamavano il Battista perché invitava tutti a tuffarsi nell’acqua per purificarsi nella penitenza.

La speranza messianica si riaccese improvvisamente nei cuori degli Ebrei che mal sopportavano la presenza di Roma da tutti chiamata per prudenza Edom. Il richiamo del Battista suscitò un vasto movimento penitenziale in tutto Israele: da qualche decennio il paese era diviso su alcune questioni relative all’interpretazione della Scrittura. Il linguaggio crudo del profeta non sembrava adatto ad attirare le folle, eppure esse affluivano e non si meravigliavano quando il Battista urlava: «Razze di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente?».

Tra quelli che accorrevano ad ascoltare il Battista si trovavano fianco a fianco gli esattori, considerati peccatori pubblici e i soldati. Anche Gesù, un tekton di Nazaret che aveva quasi trent’anni, partì dalla Galilea e si diresse verso il Giordano. Decise di mescolarsi alla folla di penitenti che si immergevano nell’acqua del fiume. Desiderava prendere parte al movimento di conversione del popolo e condividere la speranza di coloro che cercavano il cammino di una autentica liberazione spirituale.

Quando il Battista lo riconobbe protestò: «Sono io che devo essere battezzato da te e tu vieni da me?». La risposta di Gesù era misteriosa: «Conviene che adempiamo ogni giustizia». Giovanni aveva davanti a sé non un discepolo venuto per ascoltarlo, anche se Gesù si fermò da lui per un po’ di tempo, ma un uomo da cui trasudava il mistero di Dio. Esclamò: «Viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di legare i lacci dei sandali». La grandezza del Messia era tale che Giovanni riteneva di non meritare l’onore di essere il suo più umile servo.

Quando Gesù uscì dall’acqua ebbe una esperienza spirituale destinata a segnare la sua vita. Lo Spirito di Dio scese su di lui in forma corporea e rimase su di lui. Vide squarciarsi i cieli che da tempo non mandavano più profeti. Lo Spirito planava nuovamente sulle acque per annunciare una nuova Genesi.

Nei giorni seguenti Gesù e Giovanni leggevano insieme le Scritture, in particolare il profeta Isaia che conteneva quattro carmi su un Servo di Dio che con la sua sofferenza doveva salvare il mondo. Gesù comprese rapidamente che sarebbe stato un maestro del deserto perché il silenzio lo attirava. Sarebbe stato il messaggero dell’amore di Dio presso il popolo. Una forza interiore lo spingeva a comunicare la propria esperienza agli altri.

Un giorno vedendo passare Gesù dichiarò: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie i peccati del mondo». Si ricordava che Isaia nell’ultimo carme del Servo lo chiamava l’agnello condotto al macello.

Che fosse Gesù l’agnello pasquale che avrebbe portato la vera libertà a Israele. Giovanni capì che la sua vocazione era di mettersi da parte per lasciar crescere Gesù. Egli era solo l’amico dello sposo, colui che doveva preparare tutto per le nozze dell’agnello. Alcuni discepoli di Giovanni lasciarono il loro maestro per seguire Gesù che partì per la Galilea e annunciava la venuta del Regno di Dio.

I maestri farisei che vantavano il titolo di saggi avevano stabilito che l’ebreo di tredici anni doveva aderire ai comandamenti. Aveva studiato la scrittura da quando aveva cinque anni. A quindici anni doveva studiare la tradizione orale che il Talmud avrebbe trasmesso. All’età di diciotto anni era pronto per il matrimonio. Poiché la procreazione era il primo comandamento i sapienti disapprovavano il celibato che poteva nascondere una forma di egoismo. Curiosamente da qualche tempo era in aumento il numero dei celibi. I Farisei decisero che il celibato temporaneo era tollerato solo se l’amore della Legge superava l’amore di una ragazza. Giovanni, il figlio del sacerdote Zaccaria, aveva deciso di vivere dedicato totalmente a Dio. La tradizione narrava che in Egitto, quando gli Ebrei erano schiavi del Faraone, alcuni rifiutavano di sposarsi per evitare che i loro figli maschi fossero gettati nel Nilo. Ora che i Romani erano padroni del paese la storia sembrava ripetersi.

Tutti avevano notato che il celibato non aveva inasprito Giovanni, né lo aveva reso introverso. Una nuova famiglia di discepoli rimaneva con lui e condivideva la sua vita, approfittando del suo insegnamento. Il profeta aveva un aspetto attraente nonostante il suo linguaggio franco e duro, linguaggio che gli costerà la vita. Ovvio, quindi, che critichi anche la condotta del re d’Israele, Erode Antipa, il figlio di Erode il Grande autore della strage degli innocenti, che viveva con la moglie del fratello Filippo, Erodiade, pur essendo il loro un matrimonio regolare e fecondo: una pratica contraria alla legge giudaica. Erode, dunque, imprigionò Giovanni nella fortezza di Macheronte, sul Mar Morto, ma non lo odiava: parlava con lui e quei discorsi lo turbavano. E poi temeva che ucciderlo, data la sua fama, potesse provocare una sommossa. Arrivò il compleanno di Erode e durante la festa, la figlia di Erodiade, Salomè, intraprese una danza in onore del re che ne restò ammaliato e le concesse di chiedergli qualunque cosa, fosse pure la metà del regno. E lei, consultatasi con la madre, chiese la testa di Giovanni. Erode non avrebbe voluto, ma non poteva rifiutare: ormai aveva fatto una promessa. Così il Battista morì, da martire. Non un martire della fede, ma un martire della verità. I discepoli di Giovanni, saputo del suo martirio, ne recuperarono il corpo per seppellirlo.

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