Enzo Bianchi "L’importanza delle parole"
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di ENZO BIANCHI
per gentile concessione dell’autore.
In Russia nel XIII secolo furono abbandonati dei bambini e fu dato l’ordine di lasciarli vivere nel
bosco, dove trovavano cibo ma senza rivolgere loro la parola, senza dare loro segni di affetto.
Morirono.
Le parole ci servono per vivere insieme; ma interiormente ogni parola ha una risonanza, accende
immagini e pensieri, forgia emozioni e sentimenti. Le parole sono come sassi scagliati in una pozza:
anche il più piccolo provoca un fremito dell’acqua.
Per questo occorre fare attenzione quando si parla. Bisogna evitare i toni apodittici, perentori, la
parola che vuole imporsi: occorre rispettare la persona che ascolta e la sua dignità; evitare le
affermazioni in cui risuonano “mai”, “sempre”, o i paragoni tra le persone; evitare le parole che
esigono dagli altri, che ci fanno sembrare persone che danno ordini; evitare “si deve”, “bisogna”,
perché queste espressioni negano agli altri discernimento e libera decisione, soprattutto la scelta.
Così la comunicazione si spoglia dell’aggressività e può avvenire nella mitezza.
Ma ci sono altri pericoli nel linguaggio, a cominciare dall’uso di un doppio linguaggio, di parole
contrastanti con i segni o viceversa.
Non si devono avere parole e comportamenti contraddittori, in particolare con i bambini, perché si
instilla in loro la sfiducia. Un altro pericolo è parlare dell’altro parlando di noi stessi. È facile questa
patologia che proietta sugli altri i nostri bisogni e sentimenti, peggio ancora i nostri progetti.
L’altro è altro, e occorre rispetto anche nell’amore più forte e passionale. L’altro deve accendere in
me la responsabilità, deve darmi il desiderio di esercitarmi nella bontà e di aiutarlo a crescere nella
bontà. È capitale, perché si deve stare insieme, tra amici o amanti, innanzitutto per questo: si sta
insieme per farsi del bene, per diventare più buoni. L’uno ha la responsabilità di rendere più buono
l’altro, sicché quando questo non accade, quando è contraddetto, e stare insieme significa diventare
meno buoni o più cattivi, allora è necessario separarsi: altrimenti è l’inferno.
Infine, nel linguaggio occorre vigilare per non diventare negativi, lamentosi, sempre in collera o
abitati dalla rabbia. Succede sovente alle persone iperattive, ma è una situazione che genera
tristezza. Chi si lamenta sempre, vede poco alla volta gli altri allontanarsi da sé.
Invece è cosa buona comunicare l’essenziale, semplificare, dire tutto con calma e dolcezza, e
raccontare: mi sembra l’unica maniera per parlare senza lamentarsi, ma raccontando il mondo e ciò
che si vive. Dirsi all’altro è sempre un’opera di distacco da sé, per poter trasmettere non la propria
verità ma la bellezza e i significati possibili della vita: è un’opera di speranza e di fiducia nel
mondo.
Anche perché, come scriveva Gabo: «La vita non è quella che si è vissuta ma quella che si ricorda e
come la si ricorda per raccontarla».