Emanuele Borsotti "L’arsura della tua sete è il cammino"
Marzo Aprile 2021
28Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai
tutto era compiuto, affinché si compisse la
Scrittura, disse: «Ho sete».29Vi era lì un vaso
pieno di aceto; posero perciò una spugna,
imbevuta di aceto, in cima a una canna e
gliela accostarono alla bocca.
(Gv 19,28-29).
Colui di cui sta scritto: “Suo è il mare, è lui
che l’ha fatto (Sal 94.5),
colui che “cambiò il deserto in distese d’acqua e la terra senz’acqua in sorgenti d’acqua” (Sal 106,35), colui che prometteva
per bocca del profeta:
Farò scaturire fiumi su brulle colline,
fontane in mezzo alle valli cambierò il deserto in un lago d’acqua,
la terra arida in zona di sorgenti (Is 41,18),
ora dice la sua sete, e confida all’uomo il
suo ultimo nome: in Cristo, Dio si è fatto
l’Assetato. Consumato da una sete d’amore, “il Creatore non può vivere senza la
creatura, il Pastore senza il gregge, la sete
d’amore di Cristo senza l’acqua spirituale
dei cristiani”.
In Cristo prende corpo, in un corpo di carne, un Dio che confessa all’uomo la propria
sete. Fino alla fine, allo stremo, l’uomo è
abitato da bisogni e desideri, che dicono la
sua dipendenza, la sua non autosufficienza, il suo vuoto. L’uomo è una sete non colmata. L’uomo è, dunque, desiderio. E il
Cristo, venuto a visitare la trama più nascosta dell’esistenza umana, non si vergogna di mostrarsi nostro fratello anche nel
desiderio (cf. Eb 2,11) .
La sete è esperienza fondamentale del corpo, di quel corpo che ha bisogno d’acqua
per sopravvivere e che di quell’acqua è
composto, in ogni sua fibra. La sete è fatica, arsura che consuma, divorante come
un fuoco nelle viscere, come la
fiamma del calore nel deserto,
che avvampa. Questo bisogno, che attraversa il corpo, era
stato nei tempi antichi il compagno di viaggio di Israele nel
deserto: “In quel luogo il popolo soffriva la
sete per mancanza di acqua e mormorò contro Mosè, dicendo: “Perché ci hai fatto uscire
dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri
figli e il nostro bestiame?” (Es 17,3)
L’uomo fa esperienza di una sete cattiva,
che esacerba gli animi, che inasprisce le
relazioni, che asciuga la bocca e la colma
di parole in rivolta. In tutti i tempi, si ripete il dramma degli assetati della terra che
muoiono ogni giorno per la mancanza di
“sorAqua, la quale è multo utile et humile e
preziosa e casta”, risorsa da custodire incontaminata, dono umile e insostituibile.
Per questo non tace la voce del Signore
che ricorda: “Ho avuto sete e mi avete
dato da bere” (Mt 25,35 e al contempo
biasima: “Perché ho avuto sete e non mi
avete dato da bere” (Mt 25,42), ogni volta che l’uomo decide di farsi prossimo dei
suoi fratelli in umanità o di passare oltre,
con sguardo indifferente (cf. Mt 25,40.45).
C’è poi anche un’altra sete che alberga nel
cuore degli uomini, che diviene promessa
di beatitudine e premessa dì felicità, per quanti “hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati” (Mt 5,6).
Cosi, la sete del Crocifisso non è solo l’arsura mortale di un corpo agonizzante, non
è solo bisogno della carne, partecipe della condizione umana fino allo sfinimento;
quella sete è anche obbedienza, in un ultimo e misterioso compimento: si compisse
la Scrittura, disse: ‘Ho sete’ (Gv 19,28).
Le Scritture di lsraele avevano già narrato
questa sete, nell’annuncio della
passione del Messia, docile alla
volontà di Dio manifestata dai
profeti. Il lamento dell’Abbandonato diceva:
Si è inaridito come un coccio il
mio vigore,
la mia lingua si è incollata al palato,
mi hai deposto su polvere di morte (Sal
21,16) mentre altrove il salmista denunciava: Nella mia sete mi hanno dato aceto
da bere (Sal 68,2), Un aceto che aveva sapore di ostilità, nell’asprezza di un vino che
ha perduto il suo gusto buono e si è adulterato. Nella scena del Calvario, il gesto
dei soldati, che forse cercando di alleviare
l’arsura dei condannati porgono loro una
mistura di acqua e aceto, ad alcuni interpreti pare un ultimo atto di irrisione verso
il condannato, ad altri invece sembrerebbe
avere un qualche sapore di umanità.
Resta comunque il retrogusto dell’amarezza, della sofferenza mortale, quale risposta inadeguata al desiderio dell’Assetato, consapevole di dover bere quel calice
sino alla feccia (cf. Gv 18,11).
A ben guardare però, lungo le pagine della Scrittura, l’esperienza bruciante della
sete diventa anche luogo e occasione di
incontro fra assetati e cercatori, di amore
e desiderio, sul bordo di un pozzo, presso sorgenti di acque, mormorio memoriale
di quel “fiume d’acqua viva, limpido
come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello” (Ap 22,1).
Così l’arsura si declina come itineranza, perché la sete mette in
cammino e diventa essa stessa
cammino