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Enzo Bianchi "L’antidoto alla paura di Dio e della morte"

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Vita Pastorale  
Aprile 2021
per gentile concessione dell'autore

Nelle crisi che il cristianesimo oggi attraversa soprattutto nel mondo occidentale ho constatato più volte che non si tiene conto di un dato primordiale che abita l’uomo: la paura.

Nei nostri giorni abbiamo certamente preso cognizione delle paure più che in altre epoche culturali, abbiamo scoperto nuove paure, come attesta il titolo di un libro recente di Marc Augé, ma non abbiamo pensato e meditato proprio sul legame tra paura e religione, tra paura e cristianesimo in particolare.

 

La paura e le paure sono uno stato emotivo fondamentale e ambivalente: reazione di difesa ma anche fattore di inibizione e di paralisi. Non è forse innanzitutto la paura a spegnere la speranza di una persona o di una generazione? Non è forse la paura che inibisce l’attesa di un “novum”? Non è forse la paura che abita i giovani d’oggi ciò che impedisce loro di iniziare e portare avanti storie d’amore?

 

È pur vero che da sempre l’uomo convive con il sentimento della paura: è suo compito riconoscere le paure che emergono e assumerle integrandole nella consapevolezza di sé fino a chiamarle per nome e poterle così attraversare senza esserne sopraffatto. Ma se si rimuove questo faticoso lavoro sui sentimenti della paura, se si blocca la vita assoggettandola all’idolo del “destino”, del fato, allora la nostra esistenza diventa alienata e senza senso. Cerchiamo però di mettere a fuoco, proprio per la loro influenza sulla fede cristiana, due paure in particolare: quella di Dio e quella della morte.

 

La paura di Dio, secondo il racconto delle prime pagine del libro della Genesi, è la prima che gli umani sperimentano consapevolmente.

 

L’umanità creata da Dio, da lui benedetta e giudicata cosa molto bella e buona, il capolavoro delle opere creazionali, dopo aver acconsentito alla tentazione delle tre libido – la libido amandi, la libido possidendi e la libido dominandi –, prova il sentimento della paura e reagisce fuggendo dalla presenza di Dio. È allora che Dio chiama: “Terrestre, adam, dove sei?” (Gen 3,9), ed ecco la risposta, la prima volta che l’uomo parla a Dio: “Ho avuto paura!”. La voce di Dio era una ricerca piena di sollecitudine, non minacciava né castigava, ma ecco la nascita della paura di Dio, del Dio giudice, l’Onnipotente, lo spione del comportamento umano. Il volto di Dio è stato pervertito e nonostante egli mostri atteggiamenti di protezione, di cura, di amore per l’umanità questa porta in sé la paura di Dio. Sì, il timore di Dio non è paura di Dio, è consapevolezza della sua presenza, ma sarà facilissimo predicarlo e trasmetterlo come un sentimento da nutrire per un Dio la cui immagine fa paura all’uomo. Non si dimentichino le pagine di Jean Paul Sartre: “Quella sensazione del Dio che vede, che spia ciò che faccio, pronto a castigarmi mi hanno reso ateo, senza Dio, ma allora ho conosciuto la libertà”.

 

Per generazioni e generazioni di cristiani, dobbiamo confessarlo, Dio ha fatto paura: i padri umani erano più buoni del Padre celeste che mandava all’inferno chi peccava e infrangeva leggi fatte da uomini ma imputate a lui. Ancora oggi questa paura di Dio è attestata in profondità, sebbene sia presente in una minoranza dei cristiani che abitano le maree dell’indifferenza. Anche di recente, durante la pandemia, abbiamo sentito voci, anche di vescovi, che proponevano ancora Dio come il mandante del castigo abbattutosi sull’umanità per i suoi peccati. Eppure Gesù Cristo è venuto proprio per “evangelizzare”, rendere “buona notizia” il volto di Dio: è venuto per smascherare un volto divino plasmato dagli uomini religiosi amanti più della legge che dell’umanità, attenti più ai peccati da scovare che alle sofferenze dei peccatori, gelosi più della loro ritualità che della comunione con Dio. Se c’è stata fuga dalla chiesa e se oggi il “discorso cristiano” resta lontano dalla gente comune è anche per questo: in profondità si è sedimentata un’arida paura di Dio, meglio dunque non pensare a lui. Sì, noi ricadiamo spesso in questa paura, non riusciamo a credere possibile “di essere amati da Dio mentre siamo nel peccato” (cf. Rm 5,6-8), non riusciamo a credere all’amore (cf. 1Gv 4,16).

 

Strettamente collegata alla paura di Dio è la paura della morte, che non è solo quella consapevolezza che ci assale al pensiero che dobbiamo morire, ma è una vera e propria potenza, una dominante efficace nelle nostre profondità e che agisce anche quando non ne siamo pienamente coscienti. Infatti in tutte le nostre scelte pesa la dominante della morte. Ogni nostra scelta dovrebbe essere tra la vita e la morte, ma proprio per paura della morte, dominati e alienati da tale esperienza, noi finiamo per peccare, per opporci alla vita vera. Ce lo svela un passo della Lettera agli Ebrei, poco frequentato: “Gesù è diventato partecipe del nostro sangue e della nostra carne per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che ha il potere della morte, cioè il diavolo, e così liberare quelli che per paura della morte (phóbo thanátou) erano alienati per tutta la vita” (Eb 2,14-15). Secondo l’Apostolo, la paura della morte è schiavizzante, alienante, la morte è “il re delle paure” (melek ballahot, Gb 18,14) perché supera tutte le altre paure ed è causa del peccato che noi commettiamo.

 

Ma proprio al cuore della fede cristiana l’evento della Pasqua di Gesù, della sua resurrezione da morte, è l’antidoto alla paura di Dio e alla paura della morte, che Gesù ha vinto proprio con la sua preziosa morte! Ecco la buona notizia che è “speranza nella resurrezione dei morti” (At 23,6), speranza di vita per sempre (cf. Tt 3,7). “Dov’è o morte la tua vittoria?” grida l’apostolo Paolo (1Cor 15,55).

 

Questo è lo specifico della nostra fede cristiana, ciò che rende il cristianesimo “altro” da ogni altra religione, ciò che permette di credere che “forte come la morte è l’Amore!” (Ct 8,6). L’amore vissuto fino alla fine da Gesù, l’amore senza contraddizioni e perciò eterno non poteva lasciare Gesù crocifisso preda della morte. Perché Egli è il Vivente!

 

C’è stato un tempo in cui i cristiani erano definiti “coloro che non hanno paura della morte”! Non perché eroici, non perché desiderassero morire, non perché non temessero le sofferenze, ma per la loro fede salda: Gesù Cristo è risorto, è il Vivente, e noi siamo suoi seguaci anche al di là della morte!

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