Enzo Bianchi "La disciplina della parola"
di ENZO BIANCHI
per gentile concessione dell’autore.
Ciò che una persona dice e promette è sconfessato dalla persona stessa poco dopo. Ed è inutile
denunciare questa incoerenza, questo omicidio di una parola da parte di un’altra parola, perché o c’è
poca memoria o non si dà peso alla lealtà e alla verità di ciò che si è detto. E se la parola non è più
affidabile, in cosa noi uomini possiamo mettere fiducia? Sovente sono costretto a mormorare dentro
di me dopo aver ascoltato: “Non è possibile”. Affermare oggi il contrario di quello che si è detto
ieri! Accade in politica innanzitutto ma poi c’è una ricaduta nella vita di tutti i giorni, dove regna
ciò che deve essere chiamato menzogna, mancanza di un’etica della parola.
È dalla parola data con chiarezza e lealtà che impariamo la fiducia tra noi umani, ma se questo non
è più possibile allora c’è posto solo al pensare a sé stessi e al lasciar crescere il rancore per il
dominio della parola falsa, come dice il salmo: “Non c’è più chi è fedele. Tra gli uomini è
scomparsa la lealtà. L’uno all’altro dicono menzogne, labbra adulatrici parlano con cuore
sdoppiato”.
Quando manca di verità e di libertà, la parola crea corruzione e morte nei rapporti interpersonali.
Tutti conosciamo questa triste deriva per esperienza: nelle storie d’amore, in famiglia, nei rapporti
di lavoro e nella vita sociale. Se non si è sinceri, i rapporti degenerano e finiscono.
Accanto alla parola contraddetta sta sempre anche la maldicenza: questa tentazione viene dal
desiderio che gli altri parlino bene di noi, dalla pulsione ad abbassare gli altri per innalzare noi
stessi.
Proporzionalmente all’egocentrismo, cresce l’esercizio della maldicenza. Se gli altri sono
apprezzati, l’egocentrico tenta di eliminarli, insinuando maldicenze.
Queste giungono poco a poco fino alla calunnia, la falsa imputazione del male a un altro.
“Calunniate, calunniate: qualcosa resterà!”… Il malato di narcisismo passa dalla maldicenza alla
calunnia, fino a pervertire la realtà: il bene compiuto dall’altro è da lui giudicato come male. Questo
per affermare il proprio potere ed escludere qualsiasi concorrenza.
Non si pensi che la calunnia sia limitata alle circostanze in cui produce conseguenze legali, ma va
riconosciuta nella banalità della menzogna quotidiana: pettegolezzi, mormorazioni, diffamazione. E
quando la menzogna si diffonde – soprattutto oggi attraverso i media –, non solo la fiducia è ferita,
ma si affermano la diffidenza, la paura, la ricerca dell’immunitas che sconfigge ogni vita comune.
Un altro responsabile della maldicenza è chi la ascolta! Prestare orecchio alla maldicenza,
accogliere diffamazioni non è atteggiamento passivo. Alla maldicenza occorre resistere, mostrando
indisponibilità ad accoglierla. C’è infatti nel silenzio di chi ascolta la calunnia il rischio
dell’approvazione. Occorre invece reagire, dare segno di disapprovazione, per mettere un argine e
suscitare l’interrogativo circa la responsabilità della parola. La disciplina della parola va esercitata
da chi parla e da chi ascolta.