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Francesco Cosentino "Credere dopo il Covid-19: un tempo propizio?"

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Consacrazione e Servizio n. 1 (2021)

Dossier: “Cercate il benessere del paese” (Ger 29,4) 

Credere dopo il Covid-19: un tempo propizio? 

DON FRANCESCO COSENTINO

Nei momenti di grande crisi, che sia essa personale o riguardante più in generale la storia in cui siamo immersi, facciamo generalmente l’esperienza della notte; mentre siamo disorientati, smarriti, risucchiati nella nube della rassegnazione e di uno sguardo privo di speranza riguardo al futuro, questa notte avvolge anche la fede, che di suo – ricordiamolo – non è una risposta magica ai problemi della vita ma, anzi, avanza nella penombra e implica una lotta quotidiana. 

Nella notte della fede – lo abbiamo imparato dalla teologia soprattutto dopo Auschwitz – la domanda che fa eco al dolore e alla protesta è sempre la stessa: dov’è Dio? Perché non interviene? Perché nasconde il suo volto e ci abbandona al nostro destino? 

Dov’è Dio in questa pandemia? 

Domande del genere sono legittime e trovano spazio non solo nel nostro cuore, ma si intrecciano anche nelle storie appassionate, drammatiche e avvincenti di quella storia d’amore più grande che è la Sacra Scrittura. La lotta di Giacobbe, la protesta di Israele nel deserto, il grido di Giobbe ne sono un esempio. 

Questa domanda è luogo di ricerca nel cammino verso Dio, che deve diventare punto di partenza di una riflessione approfondita sul tempo che viviamo. In fondo, la bellezza tragica di questo interrogativo consiste proprio nell’impedirci di evitare il problema: tanto i credenti superficiali e inclini alla superstizione quanto certi atei grossolani e presuntuosi assumono una posizione ideologica solo per evitare di leggere, interpretare e discernere il tempo e le cose della vita. I primi, appellandosi a un Dio “magico” che permette loro di fuggire dalla realtà e resistere ai conflitti del vivere; i secondi, accontentandosi alla giornata di “ciò che passa il convento” oppure, ironia della sorte, consacrando la loro vita ad altri idoli terreni. 

Il Covid-19 ci chiede invece di fermarci, riflettere e discernere: dov’è Dio in questa pandemia? Cosa sta suggerendo alla Sua Chiesa? Quali segnali, percorsi e orientamenti sta indicando ai cristiani e ai consacrati? E, in definitiva: come ricominciare a credere dopo il Covid? 

Un tempo propizio 

Un ospite inquietante si è aggirato con velocità e violenza nelle nostre città e ha sconvolto la nostra vita e le nostre abitudini in poco tempo, provocando non solo numerosi morti, ma anche generando un’angoscia profonda che accompagna il sentire, il pensare e il vivere delle nostre giornate. 

Come ha avuto modo di affermare profeticamente Papa Francesco – in quella splendida cornice di preghiera del 27 marzo 2020 – la pandemia che ha colpito il pianeta è il segno di un mondo ammalato che pensava di essere sano. Il virus non ci ha toccati solo “clinicamente”, ma ha anche messo in crisi il paradigma della nostra vita moderna, la nostra fede cieca nel progresso, i nostri ritmi sempre più accelerati che non consentono più una visione meditata della vita, il senso del tempo e dello spazio che ci ha fatto diventare macchine da produzione prestate al mercato, l’idolatria del consumismo con gli stimoli nervosi che ci propina, la nostra relazione con il pianeta improntata alla logica del consumo e del profitto, e altro ancora. 

A fondamento di questo paradigma, poi, la sicurezza anch’essa idolatrica che pervade la nostra vita occidentale e moderna, di avere sempre e tutto sotto controllo: abbiamo tutto sotto controllo, tutto è nelle nostre mani e, grazie al potere della scienza e della tecnologia, possiamo dominare qualsiasi cosa. E il virus ci ha sconvolti anche per questo: “Nessuno di noi aveva più gli strumenti mentali per immaginare che un evento imprevisto potesse colpirci oltre la nostra acquisita capacità di avere tutto sotto controllo”1 . 

Ora, ci sono due modi di vivere una crisi del genere e interpretare questo momento storico segnato dalla pandemia. Il primo – come ha ricordato il Vescovo di Pinerolo Derio Olivero – è pensare che sia solo una parentesi, un tempo transitorio da dimenticare per ritornare quanto prima alla normalità di prima, alle modalità e agli stili di prima2 ; il secondo, invece, è lasciare che lo Spirito parli alle Chiese (Cfr. Ap 2,7) e iniziare a interrogarsi su quali sentieri nuovi questa pandemia ci invita a percorrere. 

Lo sguardo della fede, che ci apre a un Dio eternamente nuovo, ci convince che proprio questo è il tempo favorevole (cfr. 2 Cor 6,3), è l’occasione del cambiamento, è l’opportunità di una vita nuova per le nostre comunità e per la nostra Chiesa. Abbiamo bisogno di uno sguardo più profondo per imparare a scrutare il tesoro nascosto che la pandemia suo malgrado ci rivela. Occorre una nuova immaginazione creativa per il cristianesimo di domani: peggio della crisi infatti – come efficacemente affermato da Papa Francesco – c’è solo il rischio di sprecarla. 

Riscoprire la Parola, vivere relazioni d’amore. 

Cosa ci consegna dunque la recente pandemia? Come interpretare questo tempo? E quale direzione ci indica per ritornare a vivere la nostra vita di fede, specialmente nelle Comunità Religiose e in generale nella Chiesa? 

L’inatteso momento storico ha certamente sorpreso il vissuto della nostra fede e quello ecclesiale; non sono mancati e non mancano esempi di straordinaria “attenzione solidale” verso ciò che la gente sta vivendo sotto la pandemia, ma in generale è emerso un sottofondo di smarrimento, soprattutto nel sentirsi per la prima volta privati della celebrazione dell’Eucaristia. Siamo stati del tutto impreparati a vivere la relazione con Dio in forme e modi diversi, che pure popolano da secoli la tradizione spirituale, liturgica ed ecclesiale. E, così, assaliti dall’ansia della spoliazione, “Abbiamo cercato subito di tappare ogni fessura sostituendo alle attività in diretta quelle in streaming e sui social”3 . 

In tal senso, “La pandemia ha portato alla luce una certa ignoranza religiosa, una povertà spirituale […] Abbiamo dimenticato la ricchezza e la varietà delle esperienze che ci aiutano a contemplare il volto di Cristo. […] Nella situazione che impediva la celebrazione dei sacramenti non abbiamo colto che c’erano altri modi attraverso i quali abbiamo potuto fare esperienza di Dio”4 . 

Da questa crisi, tuttavia, dobbiamo imparare a cambiare. Sarebbe un suicidio pastorale ritornare semplicemente ai modelli, alle forme, ai linguaggi e alle cose di prima. Al contrario, occorre guardare al tempo della pandemia come una preziosa occasione, che ha rilevato tra le altre cose la crisi di una pastorale ecclesiale e di una spiritualità cristiana esclusivamente ed eccessivamente fondata sulla celebrazione della Messa, peraltro spesso concepita e vissuta come atto di culto individuale invece che come azione del Popolo di Dio. 


Anche Papa Francesco, in Evangelii gaudium, ha denunciato l’eccessiva sacramentalizzazione della vita di fede (EG, n. 63), che rischia di farci dimenticare le altre possibilità di incontro con il Signore. 

In tal senso, anche e soprattutto nelle Comunità Religiose, la pandemia va vista come tempo propizio per rinnovare e rifondare il culto cristiano, almeno attraverso due vie: la riscoperta della centralità della Parola di Dio e un nuovo investimento della formazione religiosa e della vita comunitaria in relazioni umane significative e nell’esercizio di una fraternità vissuta nella carità. 

Anzitutto, la Parola di Dio al centro. Ciò rappresenta il futuro della vita di fede e di quella pastorale. Se la Parola non ritorna a essere al centro e non si rivitalizzano le forme del credere attraverso un rinnovato annuncio del Vangelo, rischiamo di cadere in un cristianesimo d’abitudine e di convenzione. Così, anche nella vita delle Comunità Religiose, l’ascolto, la meditazione e lo studio della Parola devono essere il fondamento della vita spirituale e della missione apostolica. La frequentazione assidua della Parola e il puntare tutto e nuovamente sul kerigma cristiano potrà aiutare le Comunità Religiose a compiere un passo di fondamentale importanza in questo tempo di crisi della vita religiosa: discernere ciò che è essenziale e lasciar andare tutto ciò che, nel tempo, ci ha appesantiti, cioè ritornare al cuore della spiritualità e del nostro carisma, per trovare anche modi creativi di incarnarlo nella storia di oggi. La Parola di Dio, infatti, ci aiuta in questo esercizio di purificazione e illuminazione, mentre rinvigorisce l’immaginazione spirituale e ci libera da rigidità e nostalgie. 

Al contempo, la pandemia è stata un’esperienza che ci ha visti all’improvviso privi di impegni, con le agende vuote, nell’assenza di riti, celebrazioni e attività “strutturali” della nostra vita comunitaria. Ma proprio questo, forse, può farci recuperare il valore di quella fraternità fondata sulle relazioni umane, che spesso sacrifichiamo al criterio dell’efficienza, dell’organizzazione delle strutture e dell’ansia di portare avanti le molteplici attività. 

Dobbiamo imparare che ciò che serve e che salva, invece, è l’amore fraterno. Mai come in questo tempo di forzato distanziamento, il desiderio di relazioni vere e autentiche è emerso nel cuore di tutti. Dobbiamo chiederci se è così anche nelle nostre Comunità e nella nostra vita comunitaria e cosa possiamo fare – pensare, migliorare, cambiare – per farne dei luoghi di autentico amore fraterno. 

Durante il primo lockdown, la Presidente della conferenza dei religiosi e religiose francesi, suor Véronique Margron, ha divulgato un’ampia lettera, in cui afferma: “Molte delle comunità saranno in queste settimane in digiuno eucaristico. Una mancanza che ci farà soffrire. Che possa essere l’occasione per una comunione più profonda con il popolo invisibile che si raccoglie in ciascuno di noi e nel cuore delle nostre comunità. È il momento di allargarlo ulteriormente”. Questo invito ad “allargare” il cuore e gli spazi comunitari al Popolo di Dio nasce dalla fraternità che – afferma suor Véronique – ci affida il compito di “inventare nuove forme di ospitalità, trovare maniere che dicano la nostra amicizia e la nostra cura”, soprattutto verso le persone desolate o in difficoltà. 

Ma ciò sarà possibile solo se purifichiamo e rinnoviamo le nostre relazioni umane e spirituali all’interno delle Comunità. 

La Parola e l’amore fraterno sono perciò due vie straordinarie per vivere l’incontro con Dio e la missione apostolica. Esse resistono anche alle restrizioni imposte dal virus e, soprattutto, sconfiggono il torpore interiore e il virus dell’indifferenza e dell’ostilità.

1 G. ZANCHI, I giorni del nemico. Il grande contagio e altre rivelazioni, Vita e Pensiero, Milano 2020, 8. 

2 Cfr. D. OLIVERO (a cura di), Non è una parentesi. Una rete di complici per assetati di novità, Effatà Editrice, Torino 2020.

3 E. BIEMMI, «Non è una parentesi? Metafore per non dimenticare», 4-5. 

4 A. SPADARO S.I. – S. SERENI, La Chiesa sulla frontiera. Intervista a mons. Mario Grech, nuovo Segretario del Sinodo dei Vescovi, in La Civiltà Cattolica 4087, 3/17 ottobre 2020, 82-83.

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