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La fraternità, vero motore dell’Esodo

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Sui passi dell’Esodo
a cura di 

Nella Bibbia la fraternità non è un dato genetico ma una conquista, non un punto di partenza ma di arrivo: fratelli non si nasce ma si diventa! È quanto insegna già la prima coppia di fratelli che viene alla ribalta della sacra pagina e porta i nomi di Caino e Abele. Il fratricidio è il primo omicidio dell’umanità e da quel giorno in poi – anche nella Scrittura – niente sembra più difficile da fare che amarsi tra fratelli.

Anche Mosè aveva un fratello, oltre che una sorella, la ballerina Miriam. Aronne entra appieno nella sua vita sin dall’inizio della sua missione, quella di condurre gli ebrei verso la libertà. C’è di più: Mosè non avrebbe, forse, neppure accettato la proposta che Dio gli faceva di farsi il suo “servo” per riscattare Israele dalla schiavitù, se non gli avesse anche messo accanto suo fratello, se Aronne non avesse condiviso con lui gli onori e gli oneri di tale epica impresa. «Non vi è, forse, tuo fratello Aronne, il levita?», aveva chiesto Dio con una domanda retorica al reticente Mosè (cf Es 4,14).

Fu così che ebbe inizio la più grande avventura biblica di liberazione di un popolo dall’oppressione di un impero grande e potente che, quella volta, era quello africano. La fraternità è stato, dunque, il motore dell’Esodo, voluta e apparecchiata dal Suo Autore celeste che era Dio. Perché se è vero che nessuno può “salvarsi da solo” – come ci ha recentemente ricordato Papa Francesco nella sua ultima enciclica Fratelli tutti – ancor più oggettivo è che nessuno può salvare il suo popolo da solo! Dio stesso chiama dei collaboratori che sono, appunto, due fratelli. Ma la strada è lunga è percorrerla insieme non è affatto facile.
Arriva il momento in cui i due fratelli si trovano “l’un contro l’altro armati” se pure per opposte ragioni: Aronne si trova a disobbedire alla legge di Dio fabbricando un idolo d’oro – e, quindi anche alla volontà di suo fratello – e Mosè si trova a rimproverare con estrema durezza Aronne non solo per il suo delitto ma anche per quello che ha condotto tutto il popolo a commettere. È un momento di forte conflitto in cui viene a galla la diversità del profeta Mosè dal levita Aronne.

Il profeta è l’uomo di Dio per eccellenza, il suo orecchio è sempre accanto alla bocca di Dio e il suo compito – presso il popolo – è quello di richiamare alla fede e alla fedeltà, all’adesione sincera del cuore e alla trasparenza morale, all’amore e all’attenzione alla Sua alleanza. Il sacerdote è ministro del culto e ha un immenso potere: quello di essere mediatore di Dio presso gli umani. Un’autorità così grande che può sedurre i cuori più deboli e indurre in tentazione l’anima dei sacerdoti per cui, pur di dominare sui semplici credenti, sono disposti persino a fabbricare un dio artificiale. Quanto fu, appunto, il vitello d’oro (cf Esodo 32). Ma Aronne e Mosè furono sorretti e illuminati proprio dal loro amore fraterno per cui seppero perdonare, credere ancora l’uno nell’altro e ricominciare il cammino verso il sogno della terra promessa. Una sapienza che, purtroppo, non tutti i fratelli posseggono.

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