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Rosanna Virgili “Gesù, l'Ultima Cena e quello stile di servizio che è un monito per i potenti”

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17 Aprile 2025

Il discorso del Maestro ai discepoli ribalta la prospettiva umana e disegna un nuovo modo di stare a tavola e di condividere le relazioni. Per questo è un messaggio sulla vera grandezza.

«Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve?» chiede Gesù ai suoi commensali dell’Ultima Cena. Ultima nella Sua vita terrena secondo quanto ha appena annunciato: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio» (Lc 22,15-16).

Come mai questa strana domanda alla gioiosa tavolata di Pasqua? Il Maestro aveva stravolto i canoni della festa ebraica spezzando non la carne dell’agnello insieme alle erbe amare ma il proprio corpo e il mare amaro del suo sangue perché diventasse un abbraccio di comunione ecumenica. Il Suo corpo aperto come una terra promessa dove ci sarebbe stato posto per tutti: giudei e gentili, uomini e donne, schiavi e liberi. Lontani e vicini. Il suo sangue come un legame di fraternità tra amici e nemici. Per Pietro e per Giuda, per Giovanni e Maddalena. Carne e sangue «versato per voi e per tutti» da mani omicide ma raccolto nel calice che ora vi porgo per una economia di pace.

Ma loro, i suoi commensali, comprendevano le parole e i gesti del Maestro? O i loro pensieri non erano affatto nei pensieri di Lui? Quando Gesù li sorprende dicendo «uno di voi mi tradirà» essi «si chiedevano l’un l’altro chi l’avrebbe fatto». Nessuno escludeva che a farlo potesse essere egli stesso. Nessuno si fidava di chi gli stava seduto accanto. Invece di preoccuparsi per l’incipiente condanna a morte di Gesù – innescata proprio da chi l’avrebbe tradito – si domandavano «chi di loro fosse da considerare il più grande» (Lc 22,24). Chi avrebbe preso il suo posto, il successore, insomma. Ed ecco il motivo della domanda di Gesù: «Chi è il più grande?».

Non era facile neppure per gli Apostoli andare oltre la brama del potere e cambiare idea su chi davvero avesse in mano il destino del loro Paese. Come sempre e come ancor oggi anche noi che come schiavi stiamo trepidanti a guardare i caminetti dei Presidenti, le Sale o i giardini dei Palazzi dove – tra mistici serti di rose e di viole – si incontrano, appunto, e si baciano “i grandi”. Per poi sedersi a lauti banchetti serviti da camerieri coi guanti bianchi.

I discepoli di Gesù speravano che «fosse Lui a restaurare il regno di Israele» (At 1,6), che quell’entrata trionfale, avvenuta qualche giorno prima in Gerusalemme, fosse il segno del Messia. Gesù li spiazza, gli chiede di aprire gli occhi su di Lui: «Chi è il più grande? Chi sta a tavola o chi serve? Eppure io sono in mezzo a voi come Colui che serve» (Lc 22,27), (dal greco, il diacono). Ecco la differenza tra chi siede alle tavole come un dominatore, un estraneo che si fa proprietario di ciò che non gli appartiene e chi, invece, vi siede come un diacono, condividendo e onorando i bisogni e i diritti umani e civili di tutti. A cominciare dai poveri. Dagli affamati, dai senza terra, dagli oppressi, dai perseguitati a causa della giustizia. 

La differenza tra Gesù e quel vagheggiato, potente e anche armato, Messia “politico”, restauratore del Regno di Israele, è in quella diaconìa che papa Francesco – nella Fratelli tutti – ha chiamato «amor politico», la forma più alta della carità

Gesù, il Dio Diacono, non si inchina al potere di turno come gli suggeriva il diavolo nel deserto; Egli ha il coraggio della sovrana libertà dell’Amore, la dignità di chi respira nei corpi delle vittime, nella carne da macello crocifissa coi crocifissi.

Egli non fa il miracolo di trasformare «la pietra in pane» come fanno i potenti che giostrano le Borse e trasformano in miliardi il “pane” di pochi, mentre riducono miliardi di persone a masticare la pietra. 

Terribile quello che accade nei nostri Centri per il Rimpatrio: ragazzi tenuti mesi e mesi a vegetare in condizioni dieci volte peggiori del carcere, che tra i mille gesti di autolesionismo si riducono anche a ingerire pezzi di ferro e di vetro! 

Si può solo commentare con le tristi parole di Franco Battiato: «Il re del mondo ci tiene prigioniero il cuore... povera patria schiacciata dagli abusi del potere... me ne vergogno un poco e mi fa male vedere un uomo come un animale».

Tra le creature tutte ugualmente figlie e sorelle, rigettate, dilaniate, fatte a pezzi, bruciate, private della giustizia e del diritto, c’è quel Figlio dell’Uomo che invita i suoi commensali dicendo: «Prendete e mangiate... Prendete e bevete». 

La carne di Gesù venduta, disprezzata anche dai suoi, ingiuriata, obliterata in un video d’intelligenza artificiale, sepolta sotto la coltre della banalità e del cinismo, gettata via come spazzatura, resiste e risorge come fior di frumento, terreno mite di una nuova umanità, germoglio bello di un mondo diverso, di un’altra primavera

Un paradosso quasi impensabile eppure è il mistero (= il sacramento) della fede cristiana. Quelle creature che – come Gesù – vengono uccise calpestando il diritto nazionale e internazionale, quello di Roma e quello del Tempio; quelle creature che a causa della vigliacca complicità tra i “grandi”, non vengono difese da nessuno, come Gesù che vide ricompattarsi – nel dar la morte a un innocente – due antichi nemici: Erode e Pilato. Dopo quella sua Ultima Cena, Egli aspetta ancora di poter festeggiare un’altra Pasqua. È compito dei credenti farsi diaconi, sulla terra, di quel Regno di Dio dov’Egli possa farlo.


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