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Luciano Manicardi “Carità nella chiesa, chiesa nella carità”

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CONVEGNO DIOCESANO 
Torino, Santo Volto 
 Sabato 22 marzo 2025 



 


La compassione 

La riflessione sulla carità che la vostra chiesa sta attuando, muove dal testo evangelico della moltiplicazione dei pani presente in Mc 6,30 e seguenti. Dove è la compassione di Gesù la radice del suo agire. E compassione (che nulla ha a che vedere con commiserazione) significa farsi cassa di risonanza della sofferenza dell’altro fino a soffrire con lui, fino all’empatia. 

La compassione ha un valore relazionale ed etico enorme in quanto è il no radicale all’indifferenza di fronte al male del prossimo: in essa io partecipo e comunico, per quanto mi è possibile, alla sofferenza dell’altro uomo. La compassione rientra all’interno di quella cultura della cura che è l’antidoto alla cultura della guerra oggi dominante. La guerra infatti, è l’esatto contrario della cura: l’altro è nemico da eliminare, la natura e l’habitat vengono distrutti, la logica della distruzione si sostituisce a quella della riparazione e della custodia, il paradigma dell’inimicizia si sostituisce alla solidarietà. 

Ma la compassione ha anche un ancor più profondo valore rivelativo. La compassione è attributo di Dio nella Scrittura e nei vangeli è attribuita a Gesù o a personaggi di parabole che simbolizzano l’agire divino. E la compassione, lo spaccarsi del cuore (lo sconvolgimento viscerale: questo significa il verbo greco tradotto con provare compassione) di Gesù di fronte alla povertà e abbandono in cui giacevano le folle, che erano come pecore senza pastore, lo porta a insegnare loro molte cose e solo dopo a dare loro cibo da mangiare. Dalla compassione nasce l’azione pastorale, meglio, nascono sia la parola che l’azione, due elementi costitutivi della carità. Gesù nutre con la parola e con il cibo. Non ci sono, infatti, solo povertà materiali ed economiche, ma anche povertà di senso, angustie spirituali, carenze di speranza, smarrimento di direzione, che interpellano la nostra azione caritativa. La carità ha bisogno di azione, ma anche di parola, di pensiero, di riflessione, di preghiera, di radici salde nella fede. 

Chiesa nella carità 

La centralità della carità di Cristo nel testo evangelico della moltiplicazione dei pani, ci suggerisce una cosa decisiva sul piano ecclesiologico, e con importanti ricadute sul piano pastorale. Spesso noi pensiamo la carità come ciò che deve essere fatto, e che ci è immediatamente disponibile. Riduciamo la carità a una dimensione pragmatica che, se da un lato convoglia la generosità e la dedizione verso gli altri, dall’altro assicura al credente il suo essere soggetto, artefice dell’amore. Riduciamo la carità a semplice relazione altruistica, a una dimensione orizzontale che può tranquillamente trascurare il suo fondamento teologico: “l’importante è fare il bene”, si dice. Abbiamo alle spalle anche una tradizione che ha moralizzato, oggettivato, quasi cosificato la carità, rendendola una morale delle opere sempre praticabile non appena lo si voglia. 

In realtà, sulla scia della rivelazione biblica ed evangelica la carità si manifesta “come follia divina capace di sollevare le montagne del male e dell’ingiustizia”. La carità è sì una virtù, ma teologale. Secondo il NT, “Amore” è il nome stesso di Dio: “Dio è agápe” (1Gv 4,16: Deus caritas est), e “Amore” è ciò che Gesù ha vissuto e narrato come Figlio amato dal Padre (Mt 3,17 e par.; Gv 5,20) e che ama gli uomini (Gv 13,1; Gal 2,20), “Amore” è ciò che lo Spirito ha effuso nei cuori degli uomini (Rm 5,5). L’agape è al cuore della Tri-unità di Dio. 

Nel cristianesimo la carità assume dunque una configurazione precisa, quella manifestata nell’evento pasquale, nella morte-resurrezione di Cristo: quello dunque è il luogo fontale dell’esperienza cristiana dell’amore: “Da questo noi abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi” (1Gv 3,16). L’amore di Cristo che dona la sua vita narra l’amore di Dio: “In questo sta l’amore: non noi abbiamo amato Dio, ma lui ha amato noi inviando il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Gv 4,10). Tutto questo ha evidenti ricadute ecclesiologiche e noi dovremmo parlare non tanto di rapporto “chiesa – carità”, ma “carità – chiesa”, non tanto di “carità nella chiesa”, ma anzitutto di “chiesa nella carità” in quanto la chiesa è preceduta costitutivamente dall’agape di Dio. Dalla carità di Dio nasce la chiesa, dal suo amore fondante. La carità non la si fa, ma la si riceve e questo è ricordato perennemente alla chiesa dalla centralità nella sua vita dell’eucaristia, memoriale dell’evento pasquale, della morte e della resurrezione di Cristo, dell’amore preveniente di Dio. La carità non è semplicemente qualcosa che si fa, ma una realtà che ci fa, ci plasma, ci converte: essa riguarda il nostro essere, la qualità della nostra umanità. Essa riguarda la nostra relazionalità. Investe il “chi siamo”, non semplicemente il “che cosa facciamo”. (prosegue a questo link).
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